Si fanno troppi vaccini in bambini troppo piccoli?

3 Marzo 2018 di Roberta Villa

Da dove nasce questa idea?

In Italia i bambini nati all’inizio degli anni Sessanta ricevevano quattro vaccinazioni, tutte obbligatorie: antivaiolosa, antipolio, antitetanica e antidifterica. Con il passare degli anni, il calendario vaccinale si è infittito. All’antivaiolosa, sospesa nel 1977 e definitivamente abrogata nel 1981 in seguito all’eradicazione del vaiolo dal globo terrestre, subentrò all’inizio degli anni Novanta l’obbligo di vaccinare i neonati contro l’epatite B. Negli anni successivi, con la messa a punto di molti nuovi prodotti, il numero delle vaccinazioni disponibili e consigliate o francamente raccomandate è andato via via aumentando, anche se, confidando nella volontà di ogni genitore di proteggere il più possibile i propri figli, si ritenne di non doverne rendere nessuna obbligatoria.

L’offerta vaccinale a oggi più completa si è raggiunta con il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019, che raccomanda nel primo anno di vita vaccini contro nove malattie (cioè, oltre alle quattro già obbligatorie in precedenza, antipertosse, anti Haemophilus B, antipneumococco, antimeningococco B e antirotavirus) e altre cinque nell’anno successivo (anti morbillo, parotite, rosolia e varicella, possibilmente in un’unica iniezione, e antimeningococco C). Il Piano raccomanda inoltre la vaccinazione anti papilloma virus in entrambi i sessi e la tetravalente contro i meningococchi ACWY negli adolescenti, oltre a una serie di altre vaccinazioni per gli adulti nelle diverse fasi della loro vita.

Con la legge 119 del 31 luglio 2017, anche l’obbligo per l’accesso a scuola è stato esteso dalle quattro precedenti a dieci di queste vaccinazioni (aggiungendo antipertosse e anti Haemophilus B, già compresi nella vaccinazione esavalente effettuata nei primi mesi, e anti morbillo, parotite, rosolia e varicella all’inizio del secondo anno di vita).

È comprensibile quindi che i genitori si chiedano se tutte queste vaccinazioni non rappresentino uno stimolo eccessivo per il sistema immunitario di bambini tanto piccoli.

Cosa la smentisce?

Uno dei principali motivi di equivoco è che le famiglie basano le loro preoccupazioni sul numero delle vaccinazioni, mentre per il sistema immunitario quel che conta è il numero di antigeni – cioè di molecole capaci di stimolarlo – che riceve attraverso le vaccinazioni, indipendentemente dal fatto che siano contenuti nel prodotto rivolto contro una o più malattie.

Da questo punto di vista i vaccini sono molto diversi tra loro. Un vaccino può infatti contenere un solo tipo di antigene, come nel caso dell’antitetanica o dell’antiepatite B; meno di dieci, come l’anti Haemophilus influenzae di tipo B, l’antimeningococco B o l’antipneumococco, oppure decine (vedi tabella).

Tutti i prodotti più recenti tendono ad avere il numero minimo di queste sostanze necessario a conferire protezione dalla malattia. La sola antivaiolosa, per esempio, conteneva circa 200 antigeni, e il vecchio vaccino a cellule intere contro la pertosse addirittura 3000. Per produrre il vaccino acellulare incluso nell’esavalente ne sono stati scelti solo 3, quelli più importanti per la produzione di anticorpi protettivi.

I bambini nati negli anni Sessanta, con le quattro vaccinazioni allora obbligatorie, per essere protetti quindi da quattro sole malattie (vaiolo, polio, difterite e tetano) ricevevano 215 antigeni a dose, numero che balzava a 3215 per chi faceva anche l’antipertosse.

Quelli nati nel 1980 ne ricevevano circa 3041 contro sette malattie (polio, difterite, tetano, pertosse, morbillo, rosolia e parotite), mentre nel 2000 il numero degli antigeni del calendario vaccinale era già sceso a 123-126 pur proteggendo da undici malattie (polio, difterite, tetano, pertosse, morbillo, rosolia, parotite, Haemophilus influenzae di tipo B, epatite B, pneumococco e varicella. Per arrivare alle vaccinazioni comprese nell’ultimo Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale sono da aggiungere l’antimeningococco C (2 antigeni), l’antirotavirus (65 antigeni) e l’HPV (4 antigeni, o 9 con il vaccino più nuovo), che però viene somministrato molti anni dopo, all’inizio dell’adolescenza. In totale, quindi, si tornano a contare circa 200 antigeni, pari al numero di stimoli immunitari che proteggeva dal solo vaiolo, ma difendendo i nostri figli da 15 tipi di diverse infezioni.

1900 1960 1980 2000 2017
vaccino anti antig. vaccino anti antig. vaccino anti antig. vaccino anti antig. vaccino anti antig.
vaiolo ca 200 vaiolo ca 200 difterite 1 difterite 1 difterite 1
difterite 1 tetano 1 tetano 1 tetano 1
tetano 1 pertosse (a cellule intere) ca 3000 pertosse (acellulare) 2-5 pertosse (acellulare) 2-5
pertosse (a cellule intere) ca 3000 polio 15 polio 15 polio 15
polio 15 morbillo 10 morbillo 10 morbillo 10
parotite 9 parotite 9 parotite 9
rosolia 5 rosolia 5 rosolia 5
emofilo B 2 emofilo B 2
varicella 69 varicella 69
pneumococco 8 pneumococco 8
epatite B 1 epatite B 1
meningococco B 3+1
meningococco C 2
rotavirus 65
papillomavirus 4-9
TOTALE ca 200 ca 3217 ca 3041 123-126 ca 200

Non c’è ragione quindi di pensare che il sistema immunitario del bambino sia sottoposto oggi a un impegno maggiore di quel che accadeva una volta. Tanto più che queste sollecitazioni non sono nemmeno paragonabili a quelle che il piccolo riceve naturalmente: solo al momento della nascita passando per il canale del parto, e nelle sue prime ore di vita, il bambino viene improvvisamente a contatto con un enorme numero di virus e oltre 400 specie diverse di batteri, ognuno dei quali contiene in media circa 3000 antigeni. Gli stessi con cui il sistema immunitario di un bambino si confronta ogni giorno, che si graffi o si sbucci un ginocchio.

Perché se ne parla?

Lo stimolo immunitario indotto da tutte le vaccinazioni raccomandate oggi è quindi di molto inferiore a quello provocato dal contatto con un solo batterio che superi la barriera cutanea.

L’idea che la stimolazione legata a una piccola escoriazione “serva a farsi gli anticorpi”, sia benefica e immune da rischi, mentre quella indotta dalle vaccinazioni sia potenzialmente pericolosa deriva da un’istintiva alterazione nella nostra percezione del rischio, per cui siamo spinti a credere che tutto ciò che è “naturale” sia di per sé più sicuro di ciò che è prodotto dall’uomo, soprattutto a livello industriale.

L’allontanamento della maggior parte della popolazione da un reale contatto con la natura negli ultimi decenni ha contribuito ad accentuare questa percezione idealizzata, che dimentica la dimensione minacciosa per la sopravvivenza della natura stessa.

Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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