Se la pelle è già abbronzata o scura la crema solare non serve?

27 Giugno 2019 di Roberta Villa

Da dove nasce questa idea?

È esperienza comune che il rischio di scottarsi con l’esposizione al sole diminuisca a mano a mano che la pelle si abbronza. Gli effetti dannosi del sole si manifestano infatti in maniera visibile con maggiore evidenza nei primi giorni di vacanza, quando ci si comincia a esporre. In seguito sembrano sparire, come se la pelle si abituasse e il colorito che va assumendo fornisse una buona protezione nei confronti dei raggi ultravioletti. Infatti chi, per ragioni professionali o stile di vita, è sempre all’aria aperta, si scotta meno di chi lo è solo occasionalmente.

Inoltre, nelle persone dai colori chiari, soprattutto se hanno lentiggini e fanno fatica ad abbronzarsi, la pelle si arrossa o addirittura si solleva in bolle dopo un tempo o un’intensità di esposizione irrilevante per le persone più scure. Viene spontaneo quindi pensare che queste ultime siano al sicuro e non richiedano ulteriore protezione.

All’idea che l’abbronzatura basti a proteggere dal sole contribuisce anche la percezione che nella attuale cultura occidentale la associa a un aspetto “salutare”. In altri tipi di civiltà, come quelle contadine, dove dipende dal duro lavoro nei campi – in contrasto col pallore di chi svolge attività intellettuali e più spesso appartiene a classi sociali privilegiate – non ha questo significato. Nella nostra società, invece, un aspetto colorito si lega per lo più alle vacanze o allo sport. È un obiettivo estetico che, per questi aspetti socioculturali, migliora in molti anche la percezione del proprio benessere, una percezione forte, che si scontra con le raccomandazioni dei dermatologi alla cautela. Molti non vedono quindi l’ora di smettere di applicare filtri solari per il timore di non arrivare a settembre abbastanza abbronzati.

Al fastidio provocato da alcuni prodotti sulla pelle, spesso unti o appiccicosi, l’industria ha risposto da diversi anni con filtri quasi impercettibili. Questa scusa, quindi, non è più credibile.

Che cosa c’è di vero?

phototypeL’abbronzatura rappresenta il modo naturale con cui la pelle si difende dal sole, creando con la melanina un filtro che protegge i suoi strati più profondi. Rappresenta davvero quindi una barriera naturale o indotta dall’esposizione. Questo meccanismo tuttavia non si è selezionato nell’evoluzione in relazione ai fattori culturali a cui si è appena accennato sopra, che solo da un secolo hanno introdotto il concetto di “tintarella”, per cui si cerca volontariamente di “prendere il sole”. L’abbronzatura serve solo come schermo aggiuntivo alla naturale tendenza dell’essere umano a ripararsi all’ombra: in media, infatti, permette di respingere soltanto la metà circa dei raggi che colpiscono la cute, anche se questa quota può variare in relazione a caratteristiche genetiche.

I dermatologi hanno identificato 6 categorie, chiamate fototipi, che dipendono dalla somma di diversi fattori legati al colore di occhi, capelli e incarnato. Da questi elementi si ricava la probabilità di abbronzarsi e, al contrario, la facilità di scottarsi. In linea di massima si possono quindi distinguere:

  • Fototipo 1
    Tende ad avere occhi chiari, capelli rossi o biondo chiaro, pelle lattea, spesso efelidi: si scotta con grande facilità e viceversa è difficile che si abbronzi.
  • Fototipo 2
    Tende ad avere occhi chiari, capelli per lo più biondi o castano chiari, pelle molto chiara: si scotta facilmente e si abbronza poco.
  • Fototipo 3
    Tende ad avere occhi castani e capelli castani, con pelle chiara: si può scottare, ma poi si abbronza.
  • Fototipo 4
    Ha occhi scuri, capelli scuri e pelle olivastra: si scotta di rado e si abbronza facilmente.
  • Fototipo 5
    Ha occhi e capelli scuri o neri e pelle scura anche senza esporsi al sole: di regola non si scotta.
  • Fototipo 6
    Ha occhi, capelli e pelle nera anche senza esporsi al sole: di regola non si scotta.

 

Questa classificazione, definita dal dermatologo Thomas Fitzpatrick nel 1975, nacque sulla base dei colori di pelle, occhi e capelli, ma venne presto integrata per tenere conto della reazione individuale all’irradiazione solare. All’interno dell’estrema variabilità umana esistono infatti moltissime condizioni intermedie: per esempio persone con occhi e capelli scuri, ma pelle lattea sensibilissima al sole o altre di pelle molto scura, che non si scotta mai, ma con occhi chiari.

È vero quindi che il rischio di scottarsi, e la rapidità con cui ciò può accadere, dipendono dalle caratteristiche individuali e dal grado di abbronzatura preesistente. Il punto è che le scottature non sono l’unico danno che il sole può fare alla nostra pelle.

Quali danni può fare il sole alla pelle?

Le scottature sono solo il segno più evidente dei danni del sole. Oltre alle loro immediate, spesso dolorose, conseguenze, aumentano il rischio del più aggressivo tumore della pelle, il melanoma, soprattutto quando si ripetono nell’infanzia e nell’adolescenza. Ciò non significa tuttavia che anche i fototipi più scuri, che non si scottano mai, siano completamente al sicuro da questa eventualità: negli afroamericani, per esempio, per quanto meno frequente, il melanoma è diagnosticato in fase avanzata più spesso che nei bianchi, in parte per una minore consapevolezza del rischio, in parte per una maggiore difficoltà a individuare la macchia sulla pelle già nera [1].

Inoltre, ci sono altri tumori della pelle, chiamati carcinomi di tipo squamoso e basocellulare, che sono molto comuni, meno aggressivi del melanoma, ma comunque di natura maligna. Questi non dipendono da scottature, ma da una prolungata esposizione al sole. Compaiono quindi più spesso con l’età avanzata oppure in agricoltori, pescatori, maestri di sci e altre persone che per ragioni professionali vivono gran parte della vita all’aria aperta [2].

Tutti i raggi solari hanno lo stesso effetto sulla pelle?

Se la pelle è già abbronzata o scura la crema solare non serve?Come spiegato nella scheda “Abbronzarsi fa sempre bene?”, le scottature sono provocate per lo più dai raggi UVB, che sono violenti ma si fermano in superficie e sono frenati dalla melanina presente nella pelle. I raggi UVA, invece, non provocano scottature, ma penetrano in profondità, dove compromettono le fibre di collagene, determinando invecchiamento cutaneo, e favoriscono la comparsa di mutazioni del DNA, potenzialmente cancerogene.

La pigmentazione scura della pelle predeterminata geneticamente o acquisita stando al sole non impedisce quindi ai raggi UVA di raggiungere gli strati sottostanti e provocare danni. La loro capacità di penetrazione si manifesta anche attraverso la capacità di passare attraverso i vetri: ne abbiamo un’idea guardando i tassisti o i camionisti che sembrano molto più vecchi dal lato verso il finestrino che non da quello rivolto verso l’interno del veicolo.

Si ritiene, infine, che entrambi i tipi di radiazioni, in dosi eccessive e prolungate, possano avere un effetto negativo sul sistema immunitario (3).

Che cosa fare in pratica?

Dal punto di vista pratico, quindi, è meglio scegliere un prodotto che filtri sia i raggi UVA sia i raggi UVB.

Il grado di protezione deve essere adeguato al grado di irradiazione (stagione, latitudine, altitudine, meteo) e al fototipo, ma non vi si deve rinunciare nemmeno quando si è già abbronzati.

In caso di irradiazione medio-alta, come d’estate in Italia:

  • Fototipo 1 e 2 devono sempre usare una protezione alta e restare il più possibile all’ombra.
  • Fototipo 3 e 4 dopo aver cominciato con una protezione media possono scendere a una protezione più bassa, se e quando sono già abbronzati.
  • Fototipo 5 e 6 possono usare una protezione bassa, ma non dovrebbero comunque farne a meno.

Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
Tutti gli articoli di Roberta Villa