Come sempre, è bene prima di tutto chiarire i termini. L’espressione “carne sintetica” lascia intendere che il prodotto sia frutto di un processo chimico, per sintesi di altre sostanze. Quella di cui si parla in queste settimane invece si ottiene con una procedura biologica, riproducendo in laboratorio quel che accade negli esseri viventi. Poche cellule prelevate da un animale vivo con una biopsia possono infatti essere fatte crescere e assemblate in un terreno di coltura, anche su strutture edibili che riproducano l’impalcatura fibrosa della carne, senza nessuna manipolazione genetica o di altro tipo. Per questo, estendendo il concetto, si parla di “agricoltura cellulare” e per questo si dovrebbe parlare di “carne coltivata”, non di “carne sintetica” [1].
Gli hamburger o i bocconcini di pollo di carne coltivata non devono poi essere confusi con altri prodotti vegetariani preparati in modo da assomigliare a piatti di carne, come gli spezzatini di tofu o le polpette di legumi. Né ad altri alimenti che, partendo da prodotti vegetali, cercano di mimare il più possibile la carne, provando ad avvicinarsi alle sue caratteristiche organolettiche, per soddisfare le esigenze dei consumatori che cercano il suo sapore e la sua consistenza. Quella che si definisce “carne coltivata” è invece carne a tutti gli effetti, perché è della stessa natura e riproduce il tessuto così come lo preleveremmo dalle carcasse degli animali.
Dottore, ma a che punto siamo con la bistecca creata in laboratorio?
L’idea di produrre carne senza crescere e macellare animali, che ancora oggi sembra futuristica, risale in realtà a quasi un secolo fa. In un articolo sul futuro scritto per la rivista The Strand, Winston Churchill sottolineava già dal 1931 la scarsa efficienza di un sistema che alleva un intero pollo per mangiarne solo petto o coscia, e preconizzava la possibilità di coltivare carne in laboratorio.
Negli ultimi anni, le esigenze etiche di un pubblico sempre più attento al benessere animale e quelle ambientali legate all’impatto degli allevamenti sulle emissioni di anidride carbonica, e quindi sul clima, hanno spinto la ricerca ad accelerare in questa direzione.
Nel novembre 2022, la Food and Drug Administration statunitense ha dichiarato di aver concluso la consulenza preliminare richiesta dall’azienda californiana Upside Foods, senza trovare elementi di preoccupazione nei processi e prodotti coinvolti nel suo progetto di produrre carne di pollo sostenibile. L’azienda tuttavia non ha ancora chiesto la commercializzazione e quindi, come si può leggere chiaramente nel comunicato disponibile online, il parere positivo dell’agenzia statunitense non riguarda ancora l’immissione alla vendita [2]. Anche in Europa il dibattito scientifico e politico è aperto, l’unione finanzia la ricerca, ma non si prevedono provvedimenti a breve o medio termine.
A gennaio 2023, Singapore è ancora l’unico luogo al mondo in cui si possono assaggiare i bocconcini di pollo creati in laboratorio da Eat Just, un’altra delle tante aziende, più di un’ottantina, che nel mondo perseguono l’obiettivo di produrre carni senza allevare e macellare animali.
Dottore, perché produrre la “bistecca artificiale”?
Ci sono molte ragioni per cui tanti laboratori si sono cimentati con la sfida di produrre la carne in laboratorio e per cui questo filone di ricerca è finanziato in tutto il mondo, Europa compresa. Una procedura di questo tipo, portata su larga scala con un risultato accettabile dal punto di vista del gusto, potrebbe infatti contribuire a ridurre il peso ambientale delle emissioni e il rischio epidemico e pandemico legato agli allevamenti intensivi, senza però compromettere la possibilità di garantire un adeguato apporto proteico a una popolazione globale in continua crescita.
Più dubbio, secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change, il vantaggio in termini di risparmio di acqua e di energia [3].
Guardando al futuro, non sorprende poi che tra i grandi finanziatori della ricerca in questo settore ci sia da sempre la NASA, e ora anche l’Agenzia spaziale europea (ESA): una volta resi più efficienti, questi sistemi di produzione della carne potrebbero garantire fonti di proteine rinnovabili agli astronauti anche nell’ottica di lunghissimi viaggi, o consentire a stazioni abitate da molte persone prolungati periodi di permanenza nello spazio [4].
Dottore, questa carne farà concorrenza a quella macellata?
Per capire se questo tipo di carne riuscirà ad affiancare, o addirittura un giorno a sostituire, quella tradizionale, occorre tenere conto di fattori economici e culturali [5]. Il primo hamburger realizzato in un laboratorio dell’Università di Maastricht, cotto nel 2013 da uno chef e assaggiato in diretta televisiva, fu realizzato in due anni di lavoro e costò 300.000 dollari. Troppo anche per i ristoranti stellati più esclusivi.
Da allora però l’evoluzione tecnologica ha abbattuto i costi di produzione, tanto che un petto di pollo da 160 grammi è arrivato a 4 dollari, e secondo gli esperti di Mc Kinsey entro il 2030 il fattore economico potrebbe diventare irrilevante [6].
Da valutare invece sarà la disponibilità dei consumatori ad accettare questa novità, soprattutto in Paesi come il nostro dove all’agricoltura e al cibo si associano valori culturali, ma anche interessi economici, molto forti. Prima ancora che le aziende abbiano fatto domanda e l’Europa abbia espresso alcun parere, infatti, Coldiretti e altre associazioni agricole italiane hanno preso una posizione molto dura e sono state raccolte centinaia di migliaia di firme, anche all’interno del governo, per chiedere a Bruxelles di non lasciare entrare la carne coltivata nei confini dell’Unione [7].
Qualora arrivassero richieste da parte delle aziende, bisognerà comunque passare attraverso un lungo processo di valutazione da parte delle autorità regolatorie, che eventualmente decideranno di autorizzare i nuovi prodotti solo dopo averne accertata la sicurezza. In ogni caso, come nel dibattito sugli alimenti a base di insetti, le autorità potranno certificare che il prodotto non rappresenta un pericolo per la salute, ma nessuno sarà mai costretto a preferire questi alimenti nuovi, in assoluto o per la nostra cultura, a quelli tradizionali.
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