Il test per il tumore del colon si può fare in casa?

23 Aprile 2024 di Roberta Villa

Sono disponibili online e in farmacia molti diversi kit che permettono di eseguire da soli, a casa, un esame delle feci finalizzato alla diagnosi precoce del tumore del colon [1-3]. Nessuno di questi test, tuttavia, permette di riconoscere o escludere con certezza la malattia. Il loro scopo, nell’ambito di un programma di screening organizzato, consiste nel selezionare la popolazione a maggior rischio da sottoporre a ulteriori accertamenti, in genere la colonscopia.

Quando il test sulle feci è condotto in autonomia, invece, non c’è un percorso diagnostico prestabilito. Occorre quindi prestare attenzione a non trarre dai risultati di questi test conclusioni definitive, allarmandosi per niente o traendone un falso senso di rassicurazione, senza prima aver consultato il medico.

Dottore, come funzionano questi test?

Il principio più comune su cui si basano questi esami è la cosiddetta “ricerca di sangue occulto nelle feci” (con un acronimo inglese, FOBT). I tumori presenti nell’intestino tendono infatti a perdere piccole quantità di sangue, che possono restare nelle feci e talvolta non sono visibili a occhio nudo.

Il test al guaiaco (gFOBT) riconosce la presenza di emoglobina, la proteina che trasporta l’ossigeno nel sangue. Poiché l’emoglobina è presente anche nella carne e in altri alimenti, nei giorni precedenti il prelievo questo tipo di esame richiede una serie di vari accorgimenti, anche alimentari.
Un secondo tipo di test, detto test immunochimico, non necessita di queste precauzioni e quindi è più spesso utilizzato nei programmi di screening e nei kit venduti in farmacia.

Dal momento che dalla superficie delle masse tumorali si staccano anche cellule, sono stati messi a punto e autorizzati anche kit che permettono di individuare, oltre al sangue, il DNA tumorale contenuto in queste cellule [4]. Anche questi sono disponibili in farmacia. Sono anche in fase di studio metodi per scovare il DNA tumorale presente nelle feci in forma libera, indipendentemente dalla presenza di cellule [5-8], ma la loro affidabilità non è ancora stata riconosciuta dalle autorità sanitarie.

Dottore, quanto sono attendibili questi esami?

Il risultato di questi esami può essere tuttavia negativo anche in presenza di un tumore (si parla allora di “falso negativo”) o, viceversa, può essere positivo per la presenza di un polipo (una lesione precancerosa, che nella maggior parte dei casi va quindi rimossa), di uno stato infiammatorio, di emorroidi e così via.

Per questo, se il test risulta positivo, occorrono ulteriori accertamenti per verificare o escludere la presenza della malattia. Il passo successivo è in genere la colonscopia, che consente anche di rimuovere polipi o altre formazioni sospette, che vengono poi esaminate in laboratorio per stabilirne la natura e decidere il da farsi.

Nei programmi di screening organizzati, in caso di presenza di sangue nelle feci, il paziente è invitato a presentarsi per questo esame di secondo livello, fissato dal sistema in maniera prioritaria e completamente gratuito.
Se invece il test è eseguito in autonomia, occorre inserirsi nelle liste di attesa del Servizio sanitario pubblico o sottoporsi all’esame privatamente, pagandolo di tasca propria.

Dottore, che cos’è uno screening?

Lo screening è una procedura che prevede la somministrazione di un test a un’ampia fascia di persone senza sintomi di malattia per scovare più precocemente quei pochi che l’hanno. Si tratta di un intervento di sanità pubblica, che è tanto più efficace quanto più esteso nella popolazione e allo stesso tempo mirato ai gruppi a maggior rischio.

Il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci viene offerto gratuitamente quasi ovunque dal Servizio sanitario nazionale, a tutte le persone tra i 50 e i 70 (o 74) anni, cioè a coloro che possono trarne maggiore vantaggio. Dal momento che questo programma di screening organizzato fa parte dei livelli essenziali di assistenza – come quello per la ricerca del tumore al seno e del collo dell’utero nelle donne – ogni Regione è tenuta a offrirlo ogni due anni ai cittadini compresi nella fascia di età citata. Solo in Piemonte si preferisce una rettosigmoidoscopia (cioè una colonscopia limitata all’ultimo tratto dell’intestino) tra i 58 e i 60 anni, eventualmente da ripetere ogni dieci anni [9].

Questa scelta permette di saltare un passaggio nel caso in cui ci siano formazioni sospette nell’intestino, perché possono subito essere asportate ed esaminate nel corso dell’esame, ma presenta anche notevoli svantaggi, soprattutto la scarsa adesione della popolazione all’invito delle autorità sanitarie per il disagio legato alla procedura e alla fastidiosa preparazione richiesta.

Dottore, che vantaggi ci sono nel farlo a casa?

Eseguire il test al di fuori dei programmi stabiliti, a casa, con un kit fai-da-te o presso un laboratorio privato permette di anticipare l’età a cui iniziare i controlli o di eseguirli con maggiore frequenza rispetto al programma organizzato. Se ciò, da un lato, aumenta le possibilità di cogliere la malattia in fase precoce, è dimostrato che non riduce la mortalità, mentre aumenta il rischio di un risultato falsamente positivo, tanto più quanto si è giovani rispetto alla soglia di età prevista di 50 anni o almeno di 45, come raccomandato dalle più recenti linee guida statunitensi [10].

Eseguirlo da soli con un kit fai da te, inoltre, aumenta il rischio di errori e non garantisce che al segnale di un esame positivo segua il percorso diagnostico e terapeutico più adeguato, come previsto invece dai protocolli degli screening regionali.

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Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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