È una domanda indubbiamente di attualità e tante persone devono essersi già risposte positivamente se è vero, com’è vero, che l’industria degli integratori dietetici vale negli Stati Uniti qualcosa come 30 miliardi di dollari l’anno. Più di un americano su due usa almeno un integratore, scelto tra i 90 mila prodotti che affollano i banconi dei negozi e, soprattutto, le pagine web che vendono online [1]. Anche in Italia i consumi sono elevati e in aumento: un’indagine Nielsen e Eurisko dice che nel 2012 sono state vendute 131 milioni di confezioni e la tendenza è in crescita del 3% ogni anno [2]. Indagini successive ci dicono che la prevalenza d’uso è di circa il 50%: maggiore nelle donne (56%) che negli uomini (41%).
Facciamo una pausa: con il termine prevalenza si intende il rapporto tra il numero di persone che, in questo caso, ricorrono agli integratori o ai supplementi dietetici, e la “popolazione” osservata o studiata, in questo caso le persone che sono state coinvolte nell’indagine. In breve, indica la presenza di un evento a un certo punto del tempo [3]. Per l’epidemiologia – la disciplina che studia la distribuzione e la frequenza delle malattie o degli eventi di interesse medico o sanitario, la prevalenza è una “misura di frequenza”.
Per tornare al ricorso a vitamine e integratori, i dati possono variare ma, in generale, possiamo dire che un sacco di gente li assume e, nel complesso, sono all’origine di una spesa molto elevata.
Chi usa gli integratori?
Dovessimo immaginare il consumatore-tipo sarebbe una donna, di livello di istruzione medio-alto, che vive in una grande città, che pratica attività sportiva, fa uso regolare di prodotti integrali e che dichiara di essere affetta da un certo livello di stress [2]. Il suo obiettivo principale è soprattutto quello di migliorare la propria salute, e solo secondariamente perdere peso o integrare la propria dieta. Nella popolazione maschile che ricorre ai supplementi dietetici, lo scopo principale è legato all’attività sportiva e all’esigenza di migliorare la performance. Insomma: dal punto di vista del marketing, due profili di consumatori ideali…
Dottore, ma funzionano davvero?
È una domanda alla quale non si può rispondere se non entrando anche sinteticamente nei dettagli. Il ricorso di routine all’integrazione con nutrienti non è raccomandato per la popolazione generale [4]. L’uso di integratori può essere suggerito a persone ad alto rischio perché sofferenti di specifiche condizioni mediche, in particolari passaggi del ciclo vitale, o esposti a determinati fattori di rischio [4].
È questo il caso, per esempio, dell’acido folico, essenziale integrazione per la prevenzione di alcune malattie congenite, in particolare quelle a carico del tubo neurale [5]. Come raccomandato dal Network italiano promozione acido folico per la prevenzione primaria di difetti congeniti, “una donna in età fertile, che preveda o non escluda una gravidanza dovrebbe, infatti, assumere una quantità aggiuntiva di 0,4 mg/die, a partire almeno da 1 mese prima del concepimento fino al terzo mese di gravidanza (periodo periconcezionale). È importante ricordare che, in Italia, l’acido folico a questo dosaggio è inserito nell’elenco di farmaci a rimborsabilità totale (classe A). È dunque sufficiente la prescrizione su ricetta rossa da parte del medico curante per acquistare questo integratore pagando solo il ticket previsto dalla propria Regione.” Quindi, l’acido folico non va assunto “in gravidanza” ma “quando si ritiene possa instaurarsi una gravidanza”. Si parla dunque di assunzione preconcezionale [6].
Ai bambini servono integratori?
I bambini che seguono una dieta equilibrata non hanno bisogno di integrazioni multivitaminiche o multiminerali e dovrebbero evitare di assumere micronutrienti in dosi che possano contribuire a superare le dosi giornaliere raccomandate [4]. Talvolta, i genitori sentono un po’ di pressione in merito alla possibilità di integrare la dieta dei propri figli e – come fanno osservare Mauro Destino (docente di Scienza dell’alimentazione) e Federico Marolla (pediatra di famiglia) – “non si bada mai a spese quando si tratta di acquistare vitamine e minerali per il proprio figlio, con la convinzione che male non fanno e che gli sono utili per crescere. (…) Bastano 10-15 minuti di esposizione di braccia e gambe scoperte al sole due volte a settimana, nelle ore centrali del giorno nella stagione primaverile o estiva, per produrre in modo sicuro una quota di vitamina D sufficiente [7].
In generale, sebbene non ci siano evidenze “sulla necessità di integrazioni al di fuori di situazioni particolari” [7], è necessario che il pediatra vigili sulla possibile carenza di vitamina D nel bambino e suggerisca ai genitori il modo più semplice per riequilibrare la situazione. Evitare, comunque, qualsiasi soluzione “fai da te”.
Agli anziani servono integratori?
La supplementazione multivitaminica o di minerali della dieta degli adulti o degli anziani in salute non è raccomandata [4, 8]. In generale, negli anziani come anche nei bambini sono stati condotti degli studi che a parere dei loro autori sembravano suggerire effetti positivi, ma che sono giudicati di qualità modesta dal punto di vista metodologico [4].