Mentre a Milano ci si mette in fila per assaggiare il primo hamburger italiano che contiene nel suo impasto farina di grillo, il dibattito sull’uso degli insetti nell’alimentazione umana e animale è vivacissimo, come sempre quando si tratta di questioni legate al cibo. Dal punto di vista quantitativo, in questo prototipo, l’apporto proveniente dagli insetti, rispetto a quello della carne bovina, è in realtà bassissimo: solo l’1,6%. Quanto basta però – insieme all’originale colore verde del panino in cui è contenuto – a suscitare da un lato curiosità, dall’altro timori e ostilità. Le tradizioni culinarie sono infatti sentite spesso, soprattutto in Italia, come vitali questioni di identità: basti pensare alle reazioni scandalizzate che accompagnano la visione di una pizza all’ananas o la scelta di aggiungere panna nella carbonara.
Dottore, si mangiano larve anche nella tradizione italiana?
A riprova del fatto che il tema è più culturale che di sicurezza c’è il tipico formaggio sardo con i vermi, il più famoso dei quali è chiamato “casu marzu”, o formaggio marcio. A produrne il tipico sapore che lo rende richiestissimo dai buongustai, ma anche a renderlo, secondo il Guinness dei primati del 2009, il formaggio più pericoloso del mondo, è il lavoro di settimane delle larve di mosca casearia (Piophila casei) che digeriscono dall’interno il pecorino o caprino prodotto sull’isola.
Lo si fa da secoli, come dimostra il fatto che questa lavorazione è citata perfino da Plinio il vecchio e da Aristotele [1]. A proibirne il commercio è stata una legge italiana nel 1962 che, ben prima di quella europea sulla sicurezza alimentare del 2002, vieta la vendita di tutti i cibi infestati da parassiti [2,3]. Nonostante questo, la specialità, con denominazione di origine protetta e considerata dagli intenditori una delizia, continua a essere prodotta, venduta sottobanco e mangiata, con larve vive che saltano davanti agli occhi o, per i più sensibili, frullate con il formaggio. Nulla di disgustoso per molti sardi, che lo mangiano fin da bambini e lo portano in tavola nelle grandi occasioni, o lo usano come scambio di doni. Per i pastori, un privilegio di cui in pochi possono godere.
Nel 2005, un gruppo di ricercatori dell’Università di Sassari ha provato ad allevare in laboratorio le mosche casearie per produrre un casu marzu in condizioni igieniche controllate, ma il risultato non è stato lo stesso [4]. Ecco, la normativa europea sul consumo alimentare di insetti vuole fare esattamente questo: introdurre regole che allarghino le opzioni di chi desidera ricorrere a nuove fonti alimentari, purché si mantengano prodotti sicuri per tutti. Poi, come molti non hanno mai assaggiato né hanno intenzione di assaggiare il formaggio sardo con i vermi, così nessuno sarà obbligato a fare uno spuntino con le locuste.
Dottore, assumiamo insetti e loro prodotti anche a nostra insaputa?
Il dibattito in corso ha ricordato come nella nostra alimentazione ci siano già altre fonti di insetti di cui non ci accorgiamo, per esempio moscerini, uova, piccole larve che possono restano nelle verdure o nella frutta o cascare nelle bevande. Ma, a parte queste ingestioni accidentali, ci sono altri usi – se non degli insetti, almeno dei loro prodotti – che hanno radici antichissime: per gli antichi Egizi, Fenici, Greci e Romani, prima che gli Arabi cominciassero a introdurre nel bacino mediterraneo la canna da zucchero, intorno al Settecento dopo Cristo, per secoli il sapore dolce è stato dato solo dal miele che, come la pappa reale, raccomandata dalle nonne come ricostituente, è un prodotto dalle api. Per questa origine animale il miele non è consentito nelle diete vegane, così come un tempo non avrebbe potuto esserlo l’Alchermes.
Anticamente detto “liquore dei Medici” perché molto amato alla corte di Firenze, utilizzato in moltissime preparazioni di pasticceria, prima fra tutte la zuppa inglese – a cui attribuisce il tipico colore rosso –, il liquore prende infatti nome dal termine arabo (e poi spagnolo) per designare le cocciniglie. Dalla triturazione di questi insetti seccati al sole si ricavava infatti un colorante a base di acido carminico (denominato sulle etichette E120), che per decenni ha dipinto di un rosso vivace caramelle, orsetti gommosi, yogurt e dessert alla fragola, gelati e aperitivi tra i più noti.
Come molte altre sostanze può provocare allergie, per cui i soggetti sensibili devono prestare attenzione alla sua presenza, che comunque è sempre più rara. Per il suo costo elevato oggi è infatti stato sostituito per lo più da coloranti di origine sintetica come E122, E124 e E132; ma vegetariani, vegani e chiunque non voglia assumere il prodotto derivato dalle cocciniglie faranno bene comunque a controllare l’etichetta dei prodotti rossi per verificare l’eventuale presenza di E120.
Ma dottore, mangiare insetti è davvero così strano?
Mangiare gli insetti, in gergo tecnico “entomofagia”, non è una soluzione estrema per chi altrimenti morirebbe di fame: in Colombia è normale offrire formiche salate invece delle patatine con l’aperitivo, e in Thailandia acquistare un cartoccio di bachi da seta fritti da gustare passeggiando per strada. Secondo la FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations), l’entomofagia è una pratica comune per almeno due miliardi di persone, con un’antica tradizione in Asia, Africa e America centrale [5].
Nella maggior parte degli occidentali, invece, gli insetti suscitano repulsione, come ha confermato uno studio in cui è stato intervistato un campione di adulti tedeschi e cinesi. I primi hanno definito gli insetti alimenti disgustosi, esotici e primitivi, dicendosi quindi più disposti ad accettarli nei cibi purché questi siano trasformati (in farine, paste o barrette) in modo da non essere riconoscibili, mentre per gli intervistati asiatici il loro consumo è familiare e parte integrante della propria cultura [6].
Eppure il loro aspetto non è troppo dissimile da quello dei crostacei, la consistenza delle larve non è lontana da quella delle lumache o dei molluschi, il loro sapore richiama alimenti comuni nella nostra alimentazione, come nocciole, mele o pane integrale. È probabile che il rifiuto sia prettamente culturale, e destinato a cambiare nel tempo, come è accaduto per il sushi giapponese. Quando è arrivato sulle nostre tavole, molti si rifiutavano di assaggiarlo perché a base di pesce crudo. In realtà a creare sospetto era soprattutto il fatto che fosse una cucina esotica: il pesce crudo, soprattutto marinato, apparteneva infatti già alla nostra tradizione, soprattutto al Sud. Per non parlare di cozze, ostriche e ricci di mare appena pescati, dal sapore ben più forte di un sashimi di tonno.
L’Europa ci imporrà cibi poco sicuri?
A rinfocolare la discussione nelle ultime settimane è stata l’entrata in vigore della norma che consente, da gennaio 2023, la commercializzazione in Europa di prodotti a base di grilli (Acheta domesticus) a scopo alimentare. Nei mesi precedenti ne erano già stati autorizzati altri, proposti sotto forma di snack o come ingredienti di altri prodotti alimentari, sebbene la normativa europea sui cosiddetti “novel food”, insetti compresi, risalga al 2015 e sia entrata in vigore il primo gennaio 2018 [7].
La normativa prevede una serie di controlli e obblighi che garantiscano la sicurezza dell’alimento innovativo o proveniente dalla tradizione di altri Paesi in ogni fase della filiera produttiva, a partire dalla scelta della specie di insetto da allevare fino all’etichettatura e immissione in commercio. Come per i farmaci, tutto questo sarà possibile solo dopo la presentazione da parte delle singole aziende di un approfondito dossier contenente studi scientifici affidabili che dimostrino la loro sicurezza, a cui deve seguire un’autorizzazione da parte di EFSA e dei Paesi membri dell’Unione europea.
Nessuno di questi provvedimenti impone l’uso di questi alimenti, né la loro introduzione all’interno di altri prodotti. La regolamentazione, al contrario, prevede che si possano commercializzare solo specie di insetti ritenute sicure per la salute umana e provenienti da allevamenti autorizzati.
Il rispetto di queste procedure permette di garantire la sicurezza degli alimenti a base di insetti quanto di quella degli altri cibi che si trovano sugli scaffali dei nostri supermercati, per esempio in termini di sostanze chimiche pericolose o di contaminazioni da pare di microrganismi.
La normativa invece, come per gli altri alimenti, non evita i rischi di allergie, per esempio alla chitina che costituisce l’esoscheletro degli insetti come dei crostacei. Per questo, chi è allergico a gamberi e aragoste farebbe bene a evitare di assaggiare i grilli o prodotti che contengono la sua farina, o a farlo con grande cautela.
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