Vitamine e integratori prevengono la demenza?

24 Maggio 2019 di Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Vitamine e integratori prevengono la demenzaKatie Marais di Alzheimer’s Research UK ha affermato che una delle domande più comuni che le vengono rivolte è: “Come posso prevenire la demenza?”. Nel mondo, infatti, sono circa 50 milioni le persone affette da demenza, ma il numero sembra destinato ad aumentare nei prossimi decenni con una previsione attendibile che parla di oltre 130 milioni di pazienti entro il 2050 [1]. Da qui l’iniziativa del Lancet di creare una commissione di lavoro composta da 24 esperti internazionali per valutare le ricerche condotte finora nel campo della terapia e della prevenzione delle demenze con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita delle persone affette da questa condizione. Ne è emerso che mentre il 65% del rischio di demenza deriva da elementi costituzionali che non possiamo cambiare, come la nostra età e i nostri geni, ci sono nove “fattori di rischio modificabili” per la demenza, cose su cui potremmo essere in grado di fare qualcosa, inclusi il fumo, la mancanza di attività fisica e l’isolamento sociale. Sempre più spesso, inoltre, si legge che supplementi di vitamine e minerali (un argomento già parzialmente affrontato nella scheda “Vitamine e supplementi dietetici ‘aiutano’?”) possono prevenire la demenza.

Ma davvero vitamine e integratori prevengono la demenza?

A questo proposito una nuova revisione Cochrane ha messo insieme le migliori prove disponibili, fino a gennaio 2018, sulla sicurezza e l’efficacia degli integratori vitaminici e minerali per il mantenimento delle funzioni cognitive e la prevenzione della demenza [2,3]. Sono stati presi in esame 28 studi con 83.000 partecipanti cognitivamente sani over 40, una parte dei quali era stata seguita per 3-12 mesi e un’altra per 10 anni o più. Gli studi avevano valutato l’efficacia di diversi integratori alimentari in varie combinazioni e dosi, tra cui beta-carotene, vitamina C, vitamina E, vitamina D e calcio, zinco, rame, selenio e combinazioni di vitamine del gruppo B.

Dalla revisione è emerso che non ci sono ancora prove di qualità a supporto della tesi che gli integratori vitaminici o minerali abbiano un effetto significativo sul declino cognitivo o sulla demenza. Sono state trovate solo alcune prove, ma deboli, che l’assunzione di vitamine antiossidanti a lungo termine abbia un effetto nel rallentare il declino cognitivo ma servono ulteriori ricerche per dimostrarlo. I dati di tre studi clinici hanno invece evidenziato che la combinazione di vitamine del gruppo B, vitamine antiossidanti e minerali potrebbe avere un effetto minimo o nullo sulla funzione cognitiva dopo circa 8,5 anni di assunzione.

Nel riassumere i risultati della revisione Cochrane gli autori hanno affermato che “non sono state trovate prove che l’integrazione di vitamine o minerali per adulti cognitivamente sani di mezza età o in età avanzata abbia un effetto significativo sul declino cognitivo o sulla demenza, sebbene l’evidenza non consenta conclusioni definitive” [2,3].

Quindi non c’è niente che io possa fare per prevenire la demenza?

Attualmente non esiste una cura che possa guarirci dalla demenza o possa farci recuperare le abilità perdute. Anche per quanto riguarda le cause non ci sono ancora elementi definiti che possano predire la malattia o spiegarne l’insorgenza, tuttavia è stata identificata una serie di fattori di rischio che si presume possano aumentare la probabilità di sviluppare la malattia, insieme a fattori di protezione che invece sono in grado di diminuire la probabilità di ammalarsi [1]. Adottare uno stile di vita sano, che comprenda una dieta equilibrata, esercizio fisico, una riduzione del fumo e del consumo di alcol, sicuramente è consigliabile, e non solo per la prevenzione della demenza. In qualunque caso, è bene ricordare che non c’è niente di certo, nonostante si stiano facendo diverse ricerche sull’argomento.

Vitamine e integratori prevengono la demenzaSicuramente potrebbe essere utile seguire le indicazioni del gruppo di lavoro del Lancet dal momento che, come accennato prima, circa il 35% dei casi di demenza è attribuibile a una combinazione di diversi fattori di rischio. Dalla loro ricerca è emerso che i nove fattori di rischio sono: una scarsa istruzione, ipertensione, obesità, perdita dell’udito, depressione, diabete, inattività fisica, fumo, esclusione sociale. Lavorare su questi aspetti, quindi, tramite lo stimolo intellettuale e la costruzione di reti sociali, o attraverso la prevenzione e la riduzione dell’obesità e l’adozione di una dieta sana, potrebbe aiutare [1].

Della stessa opinione è Eleonora Belloni, psicologa, psicoterapeuta e dottore di ricerca in Scienza sociali presso l’Università di Padova, che dal 2011 si occupa di invecchiamento e demenze, collaborando con gruppi di ricerca in Italia e all’estero. Nel suo libro “Alzheimer: badanti, caregiver e altre creature leggendarie”, infatti, scrive che importanti fattori di rischio per la demenza sono ad esempio l’età avanzata, alcuni fattori genetici, la storia medica (ad esempio la presenza di fattori vascolari come ipertensione, obesità, diabete, cardiopatie, avere avuto ictus o traumi cranici), lo stile di vita e fattori ambientali (per esempio abuso di droghe/farmaci, fumo, alimentazione scorretta, esposizione a sostanze tossiche, inquinamento).

Al contrario i fattori di protezione, che aumenterebbero la riserva cognitiva diminuendo la probabilità di avere una demenza, sono: gli anni di scolarizzazione e la stimolazione durante l’infanzia, attività lavorative e di tempo libero stimolanti, uno stile di vita sano (alimentazione sana, attività fisica, ecc.), un abituale allenamento cognitivo [4]. L’anziano attivo, dunque, integrato all’interno della società e impegnato in un ruolo che lo fa sentire utile agli altri, ha meno probabilità di sviluppare un decadimento cognitivo.

Ma se uno dei miei genitori soffre di demenza è più probabile che mi ammali anche io?

L’idea che la demenza possa essere genetica o ereditaria è per molti familiari fonte di preoccupazioni e timori, soprattutto tra figli. Attualmente, però, è importante sottolineare come sia scorretto dire che la demenza sia ereditaria. Avere in famiglia alcune persone con questa malattia non significa che anche altri parenti siano destinati ad ammalarsi, quindi si può parlare di familiarità della malattia, ma sempre in termini di fattore di rischio e non di causa. Per familiarità si intende la presenza di più casi di demenza in famiglia, e non implica che anche gli altri parenti si ammaleranno. Più persone della stessa famiglia, infatti, potrebbero ammalarsi non perché c’è un gene che li predispone alla malattia, ma perché ad esempio condividono stili di vita o fattori ambientali a rischio che possono portare a una maggiore probabilità di ammalarsi [4].

Autore Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Rebecca De Fiore ha conseguito un master in Giornalismo presso la Scuola Holden di Torino. Dal 2017 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per riviste online e cartacee di informazione scientifica. Fa parte della redazione del progetto Forward sull’innovazione in sanità e collabora ad alcuni dei progetti istituzionali con il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.
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