È noto che un’alimentazione molto calorica e ricca di zuccheri può portare allo sviluppo di patologie quali obesità e diabete. Anche per questo motivo, sempre più persone decidono di sostituire gli zuccheri presenti nella loro dieta con varie tipologie di dolcificanti ipocalorici [1]. Tuttavia, non è chiaro quanto questa scelta abbia veramente un effetto positivo sulla salute. Di recente l’argomento è stato affrontato da un gruppo di ricerca internazionale, il quale ha messo insieme i dati provenienti da 56 studi condotti finora sulla relazione tra assunzione di dolcificanti e salute. I risultati hanno messo in evidenza come questa scelta potrebbe essere meno efficace di quanto si possa pensare. Tuttavia, è anche emerso che in futuro la questione dovrebbe essere studiata in modo più rigoroso e approfondito [2].
Cosa sono i dolcificanti?
Sono sostanze usate per addolcire cibi, bevande o altri prodotti destinati a un uso alimentare. I dolcificanti (o edulcoranti) possono essere naturali (es. miele, stevia, sciroppo di malto) o artificiali (es. aspartame, saccarina, acesulfame K) e non differiscono dagli zuccheri solo in termini di gusto ma anche per quanto riguarda il modo in cui vengono metabolizzati dal corpo e da come influenzano vari processi fisiologici [3, 4]. In generale, pur essendo più dolci del saccarosio, essi contengono meno calorie degli zuccheri semplici o non ne contengono affatto. Proprio per questo motivo, quindi, si è ipotizzato che il loro utilizzo possa avere un effetto positivo sulla probabilità di sviluppare patologie quali obesità e diabete.
Ma è vero che fanno meno male dello zucchero?
Con l’obiettivo di chiarire la questione e fornire indicazioni utili per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, un gruppo di ricercatori provenienti da Germania, Francia e Ungheria ha recentemente analizzato i risultati di 56 studi relativi all’associazione tra consumo di dolcificanti e stato di salute [2]. In particolare, essi hanno valutato gli effetti di tale abitudine alimentare nella popolazione generale e in sottogruppi specifici quali i bambini e i soggetti obesi o in sovrappeso, prendendo in considerazione diversi parametri di salute. I risultati della ricerca, pubblicati sul British Medical Journal, hanno messo in evidenza come “per la maggior parte dei parametri considerati non siano emerse differenze significative tra le persone che assumono dolcificanti e quelli che non lo fanno o tra quelle che li assumono a dosaggi elevati e quelli che lo fanno a dosaggi bassi”. Di conseguenza, nella parte finale dell’articolo i ricercatori concludono che “non sono stati riscontrati possibili effetti benefici per la salute, mentre non possono essere esclusi potenziali danni”.
Quindi i dolcificanti sono inutili e potenzialmente dannosi?
Al momento le evidenze disponibili non permettono di giungere a questa conclusione. Gli stessi autori dello studio pubblicato sul British Medical Journal sottolineano infatti come la qualità degli studi presi in considerazione sia in molti casi bassa. Dal loro punto di vista per riuscire a comprendere sul serio gli effetti legati alla sostituzione dello zucchero con i dolcificanti gli studi dovrebbero prevedere campioni più ampi, periodi di follow up più lunghi e l’inclusione di sottogruppi clinici specifici, come le donne in gravidanza e i diabetici. Dello stesso parere è Vasanti S. Malik, ricercatore del Department of Nutrition dell’Harvard T.H. Chan School of Publich Health di Boston e autore di un editoriale di commento, per il quale “il disegno completo deve ancora emergere” [5]. Anche secondo Malik, infatti, la qualità degli studi realizzati fino a oggi non permette di trarre conclusioni definitive, specie per quanto riguarda un tema che potrebbe avere implicazioni importanti per la salute pubblica. “La comprensione degli effetti potenziali sulla salute dei dolcificanti” spiega nella sua conclusione “è particolarmente importante per lo sviluppo di policy utili a ridurre il consumo di zucchero, le quali potrebbero portare a una riformulazione dei prodotti e a una maggiore presenza di queste sostanze nelle forniture di cibo”.
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