L’urina neutralizza il veleno delle meduse?

27 Agosto 2019 di Roberta Villa

Urina contro il veleno delle meduse: da dove viene questa idea?

urina neutralizza il veleno delle meduseL’idea che l’urina possa neutralizzare l’effetto del veleno delle meduse è diffusa in tutto il mondo, soprattutto dopo che, nel 1997, in una puntata della famosissima serie televisiva “Friends”, Chandler ricordò di aver sentito del rimedio in un documentario, e lo adottò sulla povera Monica dolorante sulla spiaggia [1].

In realtà la leggenda metropolitana è più antica, e deriva dall’idea che il veleno delle meduse possa essere neutralizzato con l’ammoniaca e dal fatto che nell’urina è contenuta l’urea, che ne è un derivato.

Un’altra interpretazione si basa sul fatto che gli organelli ripieni di veleno rimasti conficcati nella pelle e detti nematocisti sono suscettibili a sbalzi di concentrazione nell’ambiente circostante: poiché nell’urina sono contenuti sali ed elettroliti, sarebbe quindi meglio sciacquare la parte con questa che con acqua corrente [2].

Il trattamento non è comunque l’unico consigliato dalla saggezza popolare in questi casi: qualcuno consiglia di asportare eventuali resti di tentacoli strofinando la pelle con un asciugamano o grattandola con un cartoncino rigido e spigoloso, come la carta di credito o il bancomat, altri propongono di applicare bicarbonato di sodio, schiuma da barba, alcol, e perfino un prodotto usato nei paesi anglosassoni in cucina per rendere la carne più tenera. Infine, c’è addirittura chi cerca di neutralizzare la tossina con il calore di un accendino o di una sigaretta accesa.

Che cosa c’è di vero?

Poco o nulla. Non è dimostrato che l’ammoniaca neutralizzi le sostanze urticanti liberate dalle meduse. Il loro veleno è costituito da una miscela di sostanze diverse, ancora non tutte ben identificate, e differenti da specie a specie [3]. Ma se anche l’ammoniaca potesse essere utile in questi casi, nelle urine delle persone sane non è contenuta questa sostanza, ma urea, che ne è un derivato con caratteristiche chimiche diverse.

L’ammoniaca è leggermente basica, come il bicarbonato di sodio: solo per alcune specie di meduse che non si ritrovano nel Mediterraneo, come Cyanea capillata e Chysaora quinquecirrha, sembra che impastando bicarbonato con acqua di mare si possa ottenere un sollievo maggiore che con un prodotto acido [2]. L’unico rimedio casalingo che, secondo alcuni studi, potrebbe eventualmente dare sollievo per la maggior parte delle altre specie di medusa, è infatti al contrario l’aceto, o acido acetico diluito al 5%, sebbene un piccolo studio condotto su 25 persone riporti che possa peggiorare gli esiti sulla pelle rispetto alla semplice immersione in acqua calda [4,5].

L’idea di usare l’urina a causa della sua concentrazione di sali è altrettanto poco fondata, dal momento che in ogni individuo, in diversi momenti della giornata, questa può essere più o meno diluita. Si suggerisce quindi in genere di sciacquare la parte con acqua di mare, che ha il grado di concentrazione a cui le cellule dei tentacoli sono abituate, evitando così di farle scoppiare, come può accadere con l’acqua dolce che invece rischia di liberare il veleno contenuto nelle nematocisti rimaste nella pelle. Alcuni studi sembrano tuttavia indicare che anche questa procedura potrebbe essere controproducente [6,7].

Meno dell’1% della tossina si libera al momento del primo contatto [7], per cui occorre prestare la massima cura nell’evitare di fare uscire il resto. Ecco perché non bisogna fasciare né sfregare la parte, per esempio con un asciugamano, ed è sconsigliato cercare di togliere i resti di tentacoli con uno strumento spigoloso, come la carta di credito.

Che cosa è meglio fare?

Dopo questo primo intervento, il provvedimento più utile per ridurre il dolore, come nel caso delle punture da tracina, è l’immersione in acqua calda, meglio se salata, per almeno 20, ma anche 40 minuti, sostituendola a mano a mano che si raffredda. A seconda della parte colpita, può andare bene anche una doccia. L’idea di usare il calore di un accendino o di una sigaretta si basa sullo stesso principio, cioè che la tossina è termolabile. È stata probabilmente ideata in contesti estremi in cui non era disponibile acqua calda, ma difficilmente può riscaldare tutta la parte colpita in maniera sufficiente senza rischiare ustioni. Se ci si trova su una spiaggia o uno scoglio isolato, soprattutto se la lesione è estesa, meglio comunque avvicinarsi al più presto a un luogo dove poter ricevere soccorso.

La gravità delle lesioni provocate dalle meduse varia infatti moltissimo da specie a specie: ve ne sono di completamente innocue mentre altre, soprattutto quelle che vivono nei mari dell’Australia, possono essere rapidamente mortali, provocando con il loro veleno un arresto cardiaco anche in persone precedentemente sane.

Anche con le specie dalle tossine meno urticanti non si può tuttavia escludere una reazione anafilattica. Particolarmente pericolose sono le cubomeduse, con ombrella di forma più cubica che tondeggiante. Alcune loro specie tipicamente tropicali ultimamente si trovano sempre più spesso anche nel Mediterraneo. Uno studio condotto su questa classe in particolare ha riscontrato un grave peggioramento conseguente al risciacquo con acqua di mare e agli impacchi di ghiaccio usati per dare sollievo al dolore, dopo la prima fase in cui è importante usare il caldo per neutralizzare la tossina [7].

Per controllare il dolore, che può durare 24 ore, sono invece sicuri ed efficaci anestetici locali come la lidocaina e analgesici per bocca come il paracetamolo.

La discordanza di alcune raccomandazioni conferma la conclusione di tutti i lavori finora pubblicati, compresa la revisione Cochrane del 2013: le meduse sono moltissime, hanno diverse caratteristiche e liberano sostanze differenti tra loro. Occorrono nuovi studi per confermare il miglior comportamento da seguire nei diversi casi, soprattutto ora che, a causa dei cambiamenti climatici, specie tropicali più pericolose stanno raggiungendo mari molto frequentati dai bagnanti.

 

 

Aggiornato in data 16.09.19

Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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