La magnetoterapia funziona?

3 Settembre 2019 di Fabio Ambrosino (Pensiero Scientifico Editore)

La magnetoterapia sembra essere uno di quei casi in cui l’efficacia di un intervento terapeutico viene semplicemente data per scontata. Molto diffusa in diverse aree della medicina, il suo utilizzo si basa sull’idea che l’applicazione statica o intermittente di campi magnetici abbia una serie di effetti a livello cellulare, tra cui un’azione antinfiammatoria e antidolorifica. Tuttavia, la natura di questi effetti non è ancora stata chiarita scientificamente, così come non esistono dati solidi circa l’efficacia degli interventi clinici basati su questa tecnica. Ciò nonostante, sedute di magnetoterapia vengono frequentemente consigliate da fisioterapisti e prescritte da ortopedici e altri specialisti. Inoltre, questo approccio è molto diffuso nell’ambito dell’automedicazione: infatti, il mercato offre moltissimi dispositivi utilizzabili dai pazienti in completa autonomia, alcuni dei quali acquistabili per poche centinaia di euro.

Che cos’è la magnetoterapia?

magnetoterapia“Dire che è un paziente è stato stimolato magneticamente è specifico tanto quanto dire che gli è stato somministrato un farmaco”, scrive Marko S. Markov, ricercatore del Research International di Wiliamsville (New York) e sostenitore dell’utilizzo della magnetoterapia [1]. Infatti, esistono diverse terapie magnetiche, a seconda delle caratteristiche del campo magnetico applicato: statico o permanente, pulsato, pulsato a radiofrequenza, a bassa frequenza. La più diffusa, tuttavia, è la magnetoterapia a campi pulsati, la cui somministrazione è stata associata negli anni a vari effetti clinici: vasodilatazione, modificazione di processi infiammatori, riduzione dell’edema e riparazione dei tessuti [2,3,4]. Per quanto riguarda i dispositivi sviluppati per la somministrazione, invece, ne esistono di diverse tipologie, inclusi braccialetti, solette, bande per polsi e ginocchia e persino cuscini e materassi [5].

Per quali disturbi viene utilizzata?

A giudicare da quanto si legge nei moltissimi siti web dedicati o che si sono occupati della magnetoterapia, questo tipo di trattamenti sembra essere utilizzato nell’ambito di un numero considerevole di condizioni. Tra queste, quelle che vengono indicate più di frequente sono: artrite, artrosi, lombalgia, osteoporosi, fratture e ritardi di consolidamento osseo, ernia del disco, dolori o reumatismi articolari, dolori muscolari, edema, e tunnel carpale. In alcuni casi, poi, si sostiene addirittura che la magnetoterapia possa essere utilizzata “in tutte le patologie in cui sia presente dolore, infiammazione, deficit funzionale e vascolare, con benefici su ossa, articolazioni, muscoli e sistema circolatorio” [6].

Ma funziona davvero?

Negli stessi siti si legge spesso che l’efficacia della magnetoterapia nel trattamento dei disturbi sopra elencati è stata dimostrata in studi scientifici. Tuttavia, come sottolineato già nel 2006 da Leonard Finegold della Drexel University di Philadelphia e Bruce Flamm del Kaiser Permanente Medical Center di Riverside, molti di questi studi hanno delle limitazioni a livello metodologico [5]. Nello specifico, secondo i due ricercatori la debolezza di molte di queste ricerche deriva dal fatto che è difficile somministrare una terapia magnetica senza che il paziente ne sia consapevole: di conseguenza, i risultati rilevati potrebbero dipendere da un effetto placebo. Un esempio è uno studio randomizzato in cui è stata testata l’efficacia di un braccialetto magnetico nel trattamento dell’osteoartrite dell’anca e del ginocchio, in cui solo a metà dei pazienti era stato dato un dispositivo contenente realmente un magnete [7]: “Questi se ne accorgevano perché spesso i magneti si attaccavano alle chiavi che tenevano in tasca” commentano Finegold e Flamm. “È quindi possibile che fossero inconsciamente distratti dal dolore ogni volta che i loro braccialetti sfioravano un elemento ferromagnetico (ubiquitari nella vita moderna)”. Casi simili sono stati poi riportati anche nell’ambito del trattamento della fibromialgia [8,9]. Al contrario, uno studio che ha valutato l’efficacia della magnetoterapia nel trattamento del dolore causato da sindrome del tunnel carpale, assicurandosi però che intervento clinico e placebo non fossero riconoscibili, non ha individuato alcuna differenza significativa tra le due condizioni, seppure in entrambi i gruppi si siano riscontrati dei miglioramenti [10]. “Anche a livello teorico, la magnetoterapia non è credibile” scrivono Finegold e Flamm. “Se i tessuti umani fossero affetti dai campi magnetici, quelli enormi generati dalle risonanze magnetiche dovrebbero avere effetti profondi. Tuttavia, anche il più intenso dei campi magnetici utilizzati nell’ambito delle risonanze non ha effetti, né negativi né positivi” [11,12].

La magnetoterapia può essere pericolosa?

A parte alcuni casi in cui può essere controindicata, come nei portatori di dispositivi, la magnetoterapia è considerata una pratica sicura. Tuttavia, dal momento che l’utilizzo di questi trattamenti non si basa su prove di efficacia solide, essi possono essere considerati negativi da un punto di vista economico. “I soldi spesi per terapie magnetiche costose e di non provata efficacia potrebbero essere spesi per pratiche mediche basate su evidenze” scrivono Finegold e Flamm. Inoltre, poiché la magnetoterapia è spesso utilizzata in modo autonomo dai pazienti è inoltre possibile che il suo utilizzo faccia sì che delle condizioni mediche finiscano per non essere esaminate e trattate da un medico. “Ai pazienti bisognerebbe dire che non esistono prove dei benefici delle terapie magnetiche” concludono Finegold e Flamm. “Se insistono a voler utilizzare questi dispositivi bisognerebbe consigliare loro di comprare quelli più economici. Questo quantomeno allevierà il dolore al loro portafoglio.”

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Autore Fabio Ambrosino (Pensiero Scientifico Editore)

Fabio Ambrosino ha conseguito un master in Comunicazione della Scienza presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste. Dal 2016 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per siti di informazione e newsletter in ambito cardiologico. È particolarmente interessato allo studio delle opportunità e delle sfide legate all’utilizzo dei social media in medicina.
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