I test rapidi per Covid-19 non funzionano più?

12 Settembre 2023 di Roberta Villa

È una domanda che ci ponevamo anche a gennaio 2022, nella scheda “I tamponi rapidi rilevano Omicron?”, quando la variante Omicron proveniente dal Sudafrica spazzò via tutte le altre: i test antigenici rapidi, fatti da soli a casa o in farmacia, riusciranno a individuare un virus così diverso da quello su cui sono stati creati?

Nel momento in cui scriviamo non ci sono ragioni per credere che i test antigenici rapidi autorizzati al commercio abbiano perso capacità di individuare le nuove e nuovissime varianti circolanti.

Sin da quando sono entrati in commercio, questi esami hanno mostrato vantaggi in termini di praticità e costo rispetto ai test molecolari eseguiti in laboratorio. Al contempo, però, sono sempre stati gravati dal sospetto di essere molto meno affidabili. Durante questi anni di pandemia sono comunque stati utili perché, se è vero che possono lasciarsi sfuggire l’infezione soprattutto nei primi giorni di malessere e se la carica virale è bassa, è raro che sbaglino quando confermano la presenza del virus in persone con sintomi o la escludono in individui asintomatici [1,2].

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Dottore, cosa è cambiato con la variante Omicron?

Sul fatto che la loro affidabilità si sia ridotta con le nuove varianti ci sono studi dai risultati contraddittori, anche perché la performance dei test dipende in ogni caso dal grado di circolazione del virus in un determinato contesto, dalla carica virale del paziente, dalla correttezza e dalla tempistica di esecuzione del tampone, dalla qualità del singolo prodotto e da molte altre variabili individuali di cui è difficile tenere conto.

Qualche mese fa un gruppo di ricercatori ha però pubblicato su una rivista di infettivologia importante come Lancet Infectious Disease i risultati di tre diversi kit, con una popolazione via via sempre più vaccinata, in tre fasi della pandemia: durante l’ondata della variante Alfa, nella primavera del 2021; quando prese piede la variante Delta, nell’estate-autunno dello stesso anno; dopo l’arrivo della variante Omicron, all’inizio del 2022.

I dati provengono da un grande database nazionale britannico in cui sono registrati sia gli esiti dei test rapidi, sia quelli dei molecolari. Ciò consente un confronto tra l’affidabilità dei due esami con l’andare del tempo, in persone con e senza sintomi, in ospedale o sul territorio.

Gli studiosi britannici hanno preso in considerazione i risultati di circa 75.000 coppie di test rapidi e molecolari eseguiti sullo stesso individuo nella stessa circostanza. Lo studio, in linea con altre ricerche analoghe, stimò in generale una sensibilità del 63,2% dei test rapidi rispetto ai molecolari, valore che saliva al 68,7% nei pazienti con sintomi e scendeva al 52,8% negli asintomatici. Non sono state individuate differenze tra la capacità degli esami di individuare la variante Delta rispetto alla variante Alfa (e al virus precedente). La comparsa di Omicron non ha fatto sfuggire più casi, ma ha anzi aumentato la percentuale di positivi. Lo studio di alcune catene di contagio ha inoltre permesso di verificare che anche dopo l’arrivo di Omicron i test rapidi permettevano di individuare quasi tre quarti delle infezioni con una carica virale sufficiente a trasmettersi ad altri [3,4].

Dottore, mi ricorda la differenza tra i test molecolari e quelli rapidi?

Sia per eseguire i test molecolari, sia per quelli antigenici rapidi, occorre prima di tutto prelevare del materiale dalla gola o dal naso con un tampone. Per questo, semplificando, si parla spesso di “tamponi” invece che di “test”. Esiste anche la possibilità di cercare la presenza dell’infezione analizzando la saliva, ma i test rapidi su questo materiale non hanno dato risultati soddisfacenti, mentre quelli molecolari richiedono comunque il passaggio in laboratorio, vanificando così la rapidità del prelievo. Questi esami vengono quindi eseguiti solo su bambini piccoli, persone con disabilità o con patologie che rendono difficile sottoporli a prelievo tramite tampone [5].

I test antigenici rapidi hanno il vantaggio di svelare in pochi minuti la presenza di proteine tipiche del coronavirus (antigeni) nel materiale prelevato dalla gola o dal naso. Dopo averlo mescolato a un reagente, se ne lasciano cadere alcune gocce su un substrato contenente anticorpi specifici rivolti contro le parti di proteine virali prestabilite. Se avviene l’incontro tra antigene e anticorpo compare una linea colorata, che conferma la positività, mentre un’altra linea parallela di controllo certifica la corretta esecuzione del test.

I test molecolari utilizzano invece una tecnica chiamata PCR (Polymerase Chain Reaction), che non può essere attuata a casa, ma richiede particolari attrezzature e personale specializzato. Il metodo consente di moltiplicare (in gergo si dice “amplificare”) in milioni o miliardi di copie una sequenza specifica di materiale genetico, in questo caso appartenente al virus. In tal modo è possibile riconoscerne la presenza anche quando la carica virale è molto bassa. Rispetto a un test rapido è più difficile quindi che un test molecolare si faccia scappare la presenza di un’infezione attiva, ma è possibile che riconosca anche poche particelle virali ormai incapaci di trasmettersi ad altri. Si dice quindi che è più sensibile (dà meno falsi negativi in soggetti potenzialmente infetti), ma può continuare a dare risultati positivi a lungo anche dopo la guarigione. Conoscendo questo rischio, gli operatori possono modulare il numero di amplificazioni a cui è soggetto il materiale raccolto per escludere i casi in cui la carica virale sarebbe comunque così bassa da non creare problemi.

Il test molecolare è ancora oggi il più affidabile per accertare l’infezione da SARS-CoV-2: oltre a dire se il virus c’è o non c’è (valutazione qualitativa), può fornire indicazioni sul numero di particelle virali presenti nel campione (valutazione quantitativa), e permette eventualmente di proseguire l’indagine con la lettura del genoma del virus (sequenziamento). Questa operazione, più costosa e complessa, viene eseguita solo in una piccola quota di casi, ma è importante per seguire l’evoluzione del virus nel tempo.

I tamponi rapidi sono sempre gli stessi?

Da quando il coronavirus responsabile di Covid-19 è comparso a Wuhan, in Cina, la sua sequenza genetica costituita da RNA è andata incontro a molte mutazioni. I test rapidi per rilevarlo, invece, sono ancora gli stessi che furono prodotti sulla base della sequenza originaria. La riconosceranno ancora? Il grande studio citato all’inizio fa ben sperare, anche se altre ricerche hanno sollevato dubbi al riguardo [6].

L’emergere di nuove varianti, e in particolare di BA.2.86, che presenta più di 30 mutazioni di distanza dalla omicron BA.2 da cui si è staccata, rinforza questa domanda, ancora priva di una risposta definitiva.

Va detto però che la quasi totalità dei test è basata sulla ricerca di porzioni della proteina N, mentre a cambiare nel tempo è soprattutto la proteina spike. In ogni caso, sia la Food and Drug Administration statunitense sia la Commissione europea sorvegliano sull’insorgenza di varianti che riducano l’efficacia dei test, tenendo aggiornate le liste di prodotti riconosciuti come validi, che chiunque può consultare prima dell’acquisto [7,8].

Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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