Si può parlare con i bambini della guerra?

18 Marzo 2022 di Roberta Villa

Si può parlare con i bambini della guerra?Dopo due anni di pandemia in cui il linguaggio bellico è stato utilizzato per descrivere la lotta al virus, in cui i bambini sono stati spesso chiusi in casa per proteggerli da un nemico invisibile, hanno sentito parlare di coprifuoco, avanzata, ritirata, armi contro la pandemia, tutti questi termini hanno assunto a un tratto un significato concreto e visivo a causa delle immagini che arrivano dall’Ucraina attraverso la televisione, i giornali e internet. Dopo essersi lamentati per due anni delle chiusure dovute ai lockdown, vedono i loro coetanei ammassati nei rifugi e in fuga da un pericolo finora visto solo nei film o nei fumetti.

Come filtrare la comunicazione con i più piccoli e con chi invece, più grandicello, ha maggiore accesso a questa informazione così sconvolgente da turbare anche gli adulti? Come gestire eventuali reazioni di ansia in chi si immedesima di più o è per carattere più sensibile o più fragile dopo i due anni della pandemia? Se lo sono chiesto molti genitori e dagli esperti sono arrivate, su diversi fronti, indicazioni di comportamento.

Come comportarsi con i bambini?

La prima cosa da fare, secondo molti esperti tra cui UNICEF e Save The Children – due delle organizzazioni che hanno maggiore esperienza di infanzia in contesti bellici – è porsi in atteggiamento di ascolto [1,2]. Bisogna darsi un po’ di tempo e con una domanda aperta dare loro la possibilità di spiegare che cosa hanno sentito, che cosa sanno, che cosa li turba di più. “A scuola avete parlato di che cosa sta accadendo? Che cosa è stato detto? C’è qualcosa che ti preoccupa?” si può chiedere, con serenità, senza insistere né incalzare troppo.

Se desiderano farlo, lasciamoli parlare, anche se possono avere un quadro della situazione che non è preciso, corretto, o in linea con quanto pensiamo noi. Alla stessa maniera, accogliamo con rispetto tutte le loro emozioni, senza minimizzare le loro paure o sottovalutare le loro preoccupazioni. Non devono sentirsi giudicati per la rabbia nei confronti dell’aggressore o derisi per la tristezza profonda che manifestano per la sorte di altri bambini. Tutto ciò che provano ha diritto di esistere ed essere espresso. Già questa apertura spesso è sufficiente a rasserenarli e a farli sentire al sicuro. “Un dialogo aperto e onesto con i bambini li aiuterà a dare un nome a quello che sentono” spiega la psicoterapeuta Philippa Perry dalle pagine del quotidiano inglese The Guardian. “Più riescono a parlarne, meno probabile è che l’ansia si manifesti con mal di pancia o comportamenti inappropriati. Non va bene dire ‘siamo spacciati e la fine del mondo è imminente’ ma nemmeno è desiderabile dire loro che tutto va perfettamente bene. Meglio ammettere che è giusto preoccuparsi e che i loro sentimenti sono del tutto comprensibili” [3].

Dottore, ma è vero che è meglio tenere spento il televisore?

Si può parlare con i bambini della guerra?Su questo gli esperti non sono sempre del tutto concordi, ma certamente l’esposizione alla crudezza dei fatti e delle immagini deve essere commensurata all’età e alla sensibilità della bambina o del bambino. L’UNICEF raccomanda in ogni caso di limitare il flusso delle notizie nei tempi e nei modi: se può essere opportuno spegnere il televisore in presenza dei più piccoli, alcune trasmissioni possono essere di spunto per affrontare la discussione con i più grandi. In ogni caso, sottolinea l’organizzazione delle Nazioni Unite, “i bambini hanno il diritto di sapere quel che accade nel mondo, ma gli adulti da parte loro hanno la responsabilità di proteggerli dall’angoscia”. “Se anche non abbiamo intenzione di esporli alle notizie, i bambini capiranno che sta succedendo qualcosa. La cosa potrebbe non toccare i più piccoli, ma tutti i più grandicelli, soprattutto se in possesso di uno smartphone, potranno preoccuparsi e addirittura sviluppare qualche reazione violenta” dice Perry.

Ogni genitore conosce il suo bambino al meglio per cui saprà usare un linguaggio e un tono appropriato, tenendo d’occhio le sue reazioni e il suo livello di ansia, per evitare di accrescerla inutilmente. “Attenzione a non esagerare con i dettagli, soprattutto con i più piccoli” raccomandano a Save The Children. “I più grandi invece potrebbero chiedere maggiori spiegazioni”.

Bisogna ammettere che non abbiamo tutte le risposte, senza negare quel che sta accadendo. Con i bambini occorre sempre sincerità. Non si può negare che stia accadendo qualcosa di brutto, mentre percepiscono la preoccupazione degli adulti, anche se questi spengono il televisore quando sono presenti i più piccoli.

Dottore, i bambini percepiscono le nostre preoccupazioni?

“Mi chiedo infatti se la domanda non dovrebbe essere un’altra: come gestiamo noi per primi le nostre emozioni? I nostri figli le percepiranno e probabilmente rispecchieranno il nostro stato emotivo” riprende la psicoterapeuta inglese. Per difendere i bambini dobbiamo quindi in primo luogo coltivare la nostra capacità di controllare ansia, paura, rabbia.

Perché i piccoli affrontino con serenità la situazione è essenziale che siano tranquilli gli adulti: questo è più facile se si dedica nel corso della giornata un orario specifico all’ascolto delle notizie, senza volersi aggiornare minuto per minuto, e se si preservano spazi di evasione, che per i bambini possono essere rappresentati dallo sport o dal gioco, per gli adulti anche qualunque altra attività che li aiuti a rilassarsi e distrarsi.

Dottore, può essere utile alimentare la speranza?

Si può parlare con i bambini della guerra?Nel parlare con i bambini, soprattutto in questa occasione in cui la guerra riconosce in modo abbastanza evidente un aggressore e un aggredito, è molto importante non trasmettere ai bambini un giudizio che dalle scelte dei singoli governanti si estenda a tutto il popolo che essi guidano. Nello specifico, è importante che il bambino non senta mai appellare in maniera negativa “russi” o “ucraini”. “Nelle nostre scuole e asili ci sono bambini russi, ucraini, bielorussi – spesso nati in Italia – che rischiano di scoprire solo ora quanto conta un passaporto. Abbiamo visto dopo il 9/11 che i bambini musulmani venivano presi di mira e discriminati. Possiamo fare in modo che questo non accada di nuovo? La scuola e l’asilo nido devono restare luoghi sicuri per tutti i bambini, e gli adulti hanno il dovere di impegnarsi a garantire che ciò accada” raccomanda Stefano Zoletto, insegnante e counsellor, dal sito di Uppa.

Inoltre è essenziale focalizzarsi sulla speranza che la situazione possa risolversi presto, soprattutto grazie all’impegno di tutti. Rassicurarli che tanti adulti stanno lavorando per sanare la crisi. Sottolineare sempre come, davanti alla sofferenza di chi sta in un contesto di guerra, ci sono tante persone che portano aiuto di diverso tipo. Soffermarsi sulle iniziative di soccorso e solidarietà, sul lavoro dei volontari, sull’accoglienza che i profughi stanno ricevendo in tutta Europa e nel nostro Paese, coinvolgerli in piccoli gesti di supporto, da una raccolta fondi a un disegno che chieda pace, sono tutti strumenti che possono aiutare i bambini ad affrontare nella maniera migliore una vicenda così dolorosa.

Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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