Dopo un colpo in testa bisogna restare svegli?

24 Maggio 2023 di Roberta Villa

Fino a qualche anno fa era considerata buona regola tenere sveglio un adulto o un bambino che avessero subito un forte colpo in testa. Era una raccomandazione consigliata anche dai medici, che genitori e familiari seguivano scrupolosamente, nel timore che l’infortunato potesse passare dal sonno al coma o addirittura al decesso senza che nessuno se ne accorgesse.

Come spesso accade, questa convinzione, nata da quello che si riteneva buon senso, non ha retto alla prova della scienza. Oggi infatti sappiamo che, al contrario, dopo un trauma il riposo è un toccasana, anche quando l’infortunato ha subìto una commozione cerebrale, e che se desidera dormire, anche più della norma, non bisogna assolutamente impedirgli di farlo, perché il sonno può anzi aiutare la ripresa [1].

Dottore, cosa si intende per “commozione cerebrale”?

Dopo un colpo in testa bisogna restare svegli?La commozione cerebrale è una sofferenza acuta con alterazioni delle funzioni del cervello, in genere temporanea e reversibile, dovuta a un trauma cranico di vario tipo: una caduta, un incidente stradale, un colpo in testa o un urto con un oggetto contundente. Può verificarsi anche senza un contatto diretto con un’altra superficie, ma per la diversa forza di inerzia del cervello rispetto al cranio, come nel caso di un colpo di frusta in auto o dello scuotimento da parte di un adulto di un neonato o di un bambino piccolo (la cosiddetta “sindrome del bambino scosso”) [2].

Una commozione cerebrale non implica sempre una perdita di coscienza, cosa che anzi accade solo nel 10% circa dei casi. L’alterazione della funzione cerebrale si può manifestare in molti modi diversi nei diversi individui, con sintomi molto variabili, che possono comparire subito o dopo alcune ore (oppure addirittura giorni) e durare anche settimane. Ci possono essere mal di testa, un generale stato di confusione o stordimento, giramenti di testa, ronzii nelle orecchie, vertigini, nausea, vomito, stanchezza o sonnolenza, visione annebbiata, difficoltà nel parlare e nel rispondere a una domanda oppure perdita di memoria delle circostanze in cui si è verificato l’incidente [3]. Nel tempo possono insorgere anche problemi di concentrazione, irritabilità e altri cambiamenti della personalità, sensibilità alla luce e ai rumori, disturbi del sonno oppure del gusto e dell’olfatto.

Dottore, se dopo un colpo in testa si presentano sintomi, ad esempio nausea o vertigini, che cosa bisogna fare?

Dopo un colpo in testa bisogna restare svegli?Nei casi molto lievi, i cui sintomi regrediscono immediatamente, non occorre eseguire esami, anche se è consigliata la valutazione da parte di un operatore sanitario entro 24 ore dall’incidente.

Dopo uno o due giorni di riposo, poi, in genere il o la paziente si riprende senza bisogno di cure, se non un po’ di paracetamolo contro il mal di testa. In presenza di sintomi più gravi, però, tra cui perdita di coscienza, sanguinamento dal naso o dalle orecchie, difficoltà di movimento e disturbi della vista, convulsioni, e in genere qualora il malessere iniziale, invece che regredire, vada aumentando, è bene ricorrere al pronto soccorso. Qui saranno effettuati un esame neurologico completo, e TC o risonanza magnetica che escludano un’emorragia cerebrale.

Per questo è opportuno nelle prime ore dopo il trauma non lasciare mai solo l’infortunato o l’infortunata, che deve restare sotto la sorveglianza di un familiare in grado di chiedere aiuto in caso di necessità.

Dopo un colpo in testa bisogna smettere di giocare o fare sport?

Dopo un colpo in testa bisogna restare svegli?Molti casi di commozione cerebrale avvengono durante l’attività sportiva, soprattutto negli sport di contatto individuali (arti marziali, lotta) o di squadra (calcio, rugby, pallacanestro, pallamano, pallanuoto), ma sono possibili anche durante altre attività ludiche meno strutturate, per esempio ai giardinetti, in spiaggia, in un campo estivo o sulle piste da sci. Per questo il Servizio sanitario britannico ha pubblicato nuove linee guida rivolte a genitori, allenatori, insegnanti di educazione fisica, a tutti coloro cioè che possono assistere a incidenti di questo tipo al di fuori di eventi sportivi professionistici, dove è invece già prevista un’assistenza sanitaria a bordo campo [4].

Il titolo del documento sintetizza già in maniera efficace – anche grazie all’immediatezza della lingua inglese – il concetto fondamentale che si vuole passare al pubblico: “If in doubt, sit them out”, “Nel dubbio, fateli star fuori”.

Quando, soprattutto un bambino, picchia la testa in modo da manifestare anche solo uno dei sintomi descritti sopra, è meglio farlo smettere di giocare e metterlo a riposo per qualche giorno. Riprendere troppo presto l’attività, infatti, può far peggiorare i sintomi, rallentare la guarigione o, nel caso di un secondo trauma prima della completa ripresa dal primo, può determinare una condizione ad alto rischio chiamata “sindrome dal secondo impatto”.

Nelle prime 24 ore agli adulti si raccomanda di non bere alcol, guidare veicoli, andare in bicicletta o condurre altri macchinari. In ogni caso la ripresa dell’attività fisica e intellettuale deve avvenire gradualmente, evitando nei primi giorni l’uso di smartphone, tablet e computer, sforzi fisici e attività intellettuali che richiedano impegno e concentrazione, introducendo via via quel che non provoca o aggrava i disturbi [5,6].

Quando passano i sintomi – o quando i sintomi sono ormai molto lievi, se il medico è d’accordo – si può tornare a scuola e al lavoro, e poi riprendere gradualmente gli allenamenti, purché si aspettino almeno 21 giorni prima di qualunque forma di competizione. Se dopo quattro settimane qualche disturbo persistesse ancora, una valutazione medica accurata diventa d’obbligo.

Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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