La pizza “gonfia”?

17 Gennaio 2024 di Roberta Villa

Ci sono pochi alimenti amati e demonizzati quanto la pizza. Bandiera dell’italianità nel mondo, in ogni Paese si è poi trasformata seguendo i gusti locali, soprattutto negli Stati Uniti, dove è diventata un classico la cosiddetta “pepperoni pizza”, equivalente della nostra pizza al salamino piccante, e ha preso piede la pizza all’ananas, aborrita da ogni purista della cucina italiana. Proprio l’estrema variabilità di questo piatto rende difficile definirne le caratteristiche generali, mentre abbastanza unanime è l’idea che la pizza possa lasciare un fastidioso senso di gonfiore a causa del lievito presente nella pasta. Ma è proprio così?

Dottore, il lievito fermenta nella pancia?

Qualcuno pensa che il lievito possa fare all’addome quel che fa all’impasto di acqua e farina, gonfiandolo prima che sia disteso nella teglia, condito e infornato. Durante la lievitazione, infatti, il fungo Saccharomyces cerevisiae – che da solo costituisce il lievito di birra, mentre si trova insieme ad altre specie nel lievito madre – comincia il processo di digestione dei carboidrati contenuti nella farina da cui si libera anidride carbonica, che fa “crescere”, come si dice, l’impasto [1].

Ciò, tuttavia, non può accadere nel nostro stomaco, perché il lievito non può sopravvivere alla temperatura presente nel forno durante la cottura, ed è quindi del tutto inattivo quando arriva a tavola [2].

Se anche ne restasse, tuttavia, a causa di una lievitazione troppo breve o di una cottura insufficiente, non farebbe alcun male. La fermentazione da parte di lieviti o batteri “buoni” è una componente importante dei benefici apportati da un sano microbiota e gli enzimi presenti nella saliva o prodotti dal pancreas per digerire l’amido (amilasi) agiscono comunque nello stesso modo.

Dottore, si può essere intolleranti al lievito?

Per spiegare la pesantezza che si avverte dopo aver mangiato la pizza, qualcuno ritiene invece di avere una intolleranza individuale al lievito. Anche questa non esiste, come altre false intolleranze a centinaia di alimenti che sostengono un mercato di visite ed esami senza fondamento scientifico, come hanno recentemente ribadito le più importanti società scientifiche italiane che si occupano di questo tema, ma anche la FNOMCeO e il Ministero della Salute [3,4].

Mentre l’intolleranza al glutine o al lattosio si basa sulla difficoltà di digerire queste sostanze, il lievito, come si è detto, aiuta caso mai la digestione e il benessere dell’intestino. Saccharomyces cerevisiae è al contrario un’importante componente del nostro microbiota intestinale e viene dato come probiotico per rinforzarlo [5]. È vero che esiste una rara forma di allergia al lievito, che tuttavia si manifesta per inalazione della sostanza, come può accadere a chi lavora nella panificazione, non per averla introdotta per bocca.

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Dottore, ma allora perché la pizza può sembrare “pesante”?

La pizza di per sé è un piatto sano ed equilibrato nelle sue componenti di carboidrati (la farina), proteine (la mozzarella) e grassi (l’olio di oliva). Per completare il pasto mancherebbe solo un piatto di verdura e un frutto, dal momento che la salsa non contiene una quantità di fibre significative. Il pomodoro cotto, però, contiene licopene, una sostanza a cui sono attribuite proprietà benefiche, addirittura nei confronti di alcuni tumori [6].

Tutto questo si applica alla classica pizza margherita, ma sappiamo quanto spesso – anche nelle pizzerie italiane che disdegnano le versioni americane – alla ricetta base si aggiungano le più ricche e svariate farciture di formaggi, carni lavorate, addirittura patatine fritte. A questo punto la digestione non è appesantita tanto dal disco di pasta di pane, ma dalla grande quantità di grassi e proteine che devono essere demolite e assorbite lungo il tratto digerente.

La pizza fa ingrassare?

A determinare il senso di pieno, pesantezza o gonfiore è quindi soprattutto la quantità, più che la qualità, dei nutrienti contenuti nella pizza, il cui apporto calorico dipende certamente dalla eventuale farcitura supplementare, ma anche dalle dimensioni, dal peso, dalla quantità di olio o di mozzarella che il singolo pizzaiolo aggiunge al disco di pasta.

Anche una semplice pizza margherita, comunque, contiene in media circa 900 Kcal, con almeno 30g di grassi, quasi la metà del fabbisogno giornaliero di un adulto e il massimo di sale (5g) consentito dalle Linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità [7].  È per questo che dopo aver mangiato la pizza spesso ci si sveglia durante la notte per la sete. L’impressione di gonfiore può essere data anche dalla quantità di acqua che il sale richiama nell’intestino insieme ai gas prodotti dalla fermentazione degli amidi.

Dottore, posso mangiare la pizza ogni tanto?

Tutto ciò non significa che si debba rinunciare a questo piatto della nostra tradizione, che spesso rappresenta anche un appuntamento sociale importante con la famiglia o gli amici. Per inserire con maggiore facilità il piacere della pizza nella nostra alimentazione, anche con frequenza settimanale, non occorre quindi cercare chi la fa con grani antichi o mozzarella light, ma semplicemente evitare le versioni più guarnite e ridurne le dimensioni.

Si può scegliere quella per bambini, proposta in molti locali, o dividerla con qualcuno, tenendo conto dell’apporto calorico che comporta negli altri pasti della giornata e anche di che cosa si beve per accompagnarla: birra o bibite gassate possono infatti aumentare la sensazione di gonfiore, oltre all’apporto calorico.

Infine, un consiglio sempre valido: masticare, bene e lentamente, bocconi piccoli permetterà di migliorare la digeribilità della pizza e insieme permetterci di gustarla anche in minori quantità.

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Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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