A oggi l’ictus rappresenta la seconda causa di morte a livello mondiale, con 15,8 milioni di pazienti coinvolti ogni anno e quasi 6 milioni di decessi associabili a questa causa [1,2]. Ma non solo, l’ictus è anche uno dei fattori che più di frequente portano allo sviluppo di disabilità: secondi i dati del Rapporto Ictus 2018 in Italia sono 940.000 le persone che convivono con gli effetti invalidanti di un evento di questo tipo [3].
Tuttavia, come si legge proprio nel documento pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità insieme ad alcune organizzazioni coinvolte nella gestione e prevenzione dell’ictus, il 50% dei casi potrebbe essere evitato attraverso l’adozione di uno stile di vita sano e un maggiore controllo medico nei soggetti a rischio. Il concetto di “stile di vita più sano” si presta però a interpretazioni di vario genere e spesso i media tendono a dare grande spazio a notizie che riguardano risultati scientifici provenienti da studi preliminari, presentandoli come conclusivi. Per esempio, questo si è recentemente verificato per quanto riguarda i cosiddetti pisolini pomeridiani e l’assunzione di ginseng per la prevenzione dell’ictus.
I pisolini pomeridiani proteggono dall’ictus?
Verso la metà di settembre moltissimi quotidiani e siti di informazione riportavano una notizia relativa all’associazione tra sonno e rischio cardiovascolare, con titoli come “Il pisolino pomeridiano protegge da infarto, ictus e scompenso cardiaco”, “Il pisolino fa bene, dimezza i rischi di infarto e ictus”, “Ora è ufficiale! La ‘pennichella’ aiuta a prevenire infarti e ictus” e perfino “Pisolino pomeridiano miracoloso per la salute: anche breve, da quale malattia può salvare”.
Alla base di questo entusiasmo, la pubblicazione sulla rivista Heart dei risultati di uno studio realizzato dall’Università di Losanna (Svizzera) che ha indagato l’associazione tra l’abitudine a fare dei pisolini pomeridiani e il rischio di eventi cardiovascolari in un gruppo di 3.462 cittadini svizzeri sani di età compresa tra i 35 e i 75 anni [4]. Dai risultati è emerso che, nei 5 anni successivi, un ictus o un attacco cardiaco si erano verificati nel 4,6% (93/2014) delle persone che non facevano pisolini e nell’1,8% (12/667) di quelle che invece facevano 1 o 2 pisolini a settimana. Paradossalmente, i tassi di incidenza di ictus più elevati sono stati invece registrati nei gruppi che ne facevano di più: 5,4% (22/141) tra quelli che ne facevano mediamente da 3 a 5 a settimana e 7,6% (28/370) tra quelli che ne facevano fino a 6 o 7 a settimana.
Gli autori della ricerca sono quindi arrivati a concludere che “i soggetti che fanno pisolini una o due volte a settimana hanno un rischio minore di eventi cardiovascolari”. Un’affermazione che ha evidentemente ispirato i titoli degli articoli citati in precedenza ma che è non è sostenuta dalle evidenze prodotte dallo studio. E sono gli stessi autori a farlo notare, nella parte dell’articolo che evidenzia i punti di forza e di debolezza della ricerca: “A causa della natura osservazionale dei dati, non possiamo escludere la presenza di fattori confondenti”.
Lo studio, infatti, aveva indagato solo la correlazione tra frequenza dei pisolini e incidenza di eventi cardiovascolari: un’analisi che non permette in alcun modo di stabilire una relazione di causa-effetto tra le due variabili. Inoltre, l’evidenza relativa all’effetto protettivo di fare 1 o 2 pisolini a settimana si basava su un campione di solo 12 eventi cardiovascolari e i dati relativi alla frequenza e alla durata dei pisolini erano riportati direttamente dai partecipanti, una metodologia caratterizzata da un elevato grado di soggettività. Da qui a prescrivere sonnellini come terapia preventiva per l’ictus, quindi, la strada è purtroppo ancora lunga.
E per quanto riguarda l’assuzione di ginseng?
Paradossalmente, se da un lato c’è chi afferma che un po’ di sonno pomeridiano potrebbe ridurre il rischio di ictus, dall’altro c’è chi sostiene che lo stesso obiettivo si potrebbe raggiungere assumendo una bevanda che viene solitamente utilizzata per restare svegli: il ginseng.
In questo caso gli altisonanti titoli usciti sui giornali (solo per fare un esempio: “Il ginseng protegge il cervello da ictus e malattie neurovegetative”) sono riconducibili a diversi studi pubblicati sugli effetti di una molecola – il Ginsenoside Rb1 – contenuta proprio nelle piante di ginseng. In particolare la notizia era diventata popolare dopo la pubblicazione sulla rivista Brain Research, nel 2007, dei risultati di uno studio cinese che aveva dimostrato come l’infusione di Ginsenoside Rb1 stimolasse la nascita di nuove cellule staminali neurali, i precursori dei neuroni, in seguito a un evento ischemico [5]. Peccato però che la ricerca fosse stata condotta su un gruppo di topi e che le conclusioni raggiunte avessero quindi bisogno di ulteriori studi per essere confermate.
Quella di un possibile utilizzo dei derivati del ginseng nell’ambito dell’ictus resta tuttavia un’ipotesi aperta. Di recente è stata pubblicata sulla rivista Frontiers in Neuroscience una revisione degli studi realizzati su questo tema [6]. Da questa è emerso che il ginseng ha diversi effetti potenzialmente neuroprotettivi, i quali potrebbero avere un’influenza sulle conseguenze a breve e lungo termine dell’ictus, dalle disabilità motorie a quelle cognitive. “Per secoli, il ginseng è stato descritto come una medicina preventiva in grado di rafforzare il sistema nervoso, ma gli effetti sull’ictus e sui meccanismi cellulari sottostanti sono ancora poco chiari”, concludono gli autori. “L’aumento degli studi preclinici fornirà una migliore comprensione delle proprietà del ginseng e dei suoi derivati nel trattamento preventivo e terapeutico dell’ictus”.
Per il momento, tuttavia, poiché i potenziali gli effetti ginseng in termini di efficacia e sicurezza non sono chiaramente definiti (non è noto, ad esempio, quali possano essere gli effetti collaterali associati o le possibili interazioni con altri farmaci) è bene discutere di un possibile consumo di questa pianta e dei suoi derivati con il proprio medico.
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