C’è una pillola per prevenire il cancro?

1 Dicembre 2023 di Roberta Villa

Da decenni i ricercatori studiano come cercare di prevenire il cancro, oltre che con sani stili di vita, con farmaci, vitamine o supplementi che siano in grado di ridurre il rischio di sviluppare la malattia nella popolazione. Qualcuno la chiama “farmaco-prevenzione”, altri preferiscono parlare di “chemio-prevenzione”, per sottolineare che non riguarda solo farmaci, ma anche sostanze che non si possono considerare medicinali, come per esempio gli integratori. Questo secondo termine, tuttavia, in ambito oncologico può trarre in inganno per la sua assonanza con la chemioterapia, con cui invece non ha assolutamente niente a che fare [1].

Dottore, ma che caratteristiche deve avere un medicinale “preventivo”?

Il primo requisito richiesto a un prodotto da somministrare per tutta la vita a milioni di persone sane è che sia il più possibile sicuro, anche con un trattamento così prolungato. Mentre, infatti, l’eventuale comparsa di effetti indesiderati può essere giustificata dai vantaggi che ci si attende contro una malattia, non è possibile scendere a compromessi con la tollerabilità e la sicurezza di ciò che si offre a una persona che sta bene. Primum, non nocere, “prima di tutto, non fare del male” al tuo paziente, raccomandava Ippocrate.

La bilancia dei rischi e dei benefici attesi è quindi tarata in modo molto diverso quando si tratta di usare uno stesso farmaco a scopo preventivo o per la cura di una malattia, tanto più quanto questa è grave. Per trattare i tumori si usano a volte medicinali che possono avere effetti collaterali molto pesanti, perché in cambio si può ottenere la sopravvivenza del paziente. Lo stesso livello di tossicità non sarebbe accettabile per condizioni patologiche più lievi, né tanto meno a scopo preventivo.

Poiché a oggi, purtroppo, non abbiamo ancora scoperto nessuna sostanza in grado di proteggere dal cancro senza provocare alcun effetto indesiderato significativo, la farmaco-prevenzione si rivolge per il momento a una popolazione intermedia, costituita da persone sane, ma con fattori di rischio che aumentano le probabilità di sviluppare un tumore in futuro. Perché il bilancio tra rischi e benefici sia bilanciato, quindi, assumere medicinali a scopo preventivo è per il momento consigliato solo a chi, per ragioni genetiche, familiari o di altra natura, abbia un rischio superiore alla norma di determinati tumori per i quali esistono prodotti di provata efficacia. Anche in questi casi, comunque, la scelta deve essere individuale, dopo aver ricevuto una corretta informazione, e concordata con il proprio medico.

Dottore, ma è vero che “si riciclano” i farmaci?

Il secondo criterio che permette di candidare una sostanza a scopo preventivo, dal momento che deve poter raggiungere larghe fasce di popolazione, è che abbia un costo sostenibile.

Quando questo processo di “riposizionamento” dei medicinali riguarda molecole di cui sia scaduto il brevetto, la loro produzione come equivalenti può avvenire da parte di varie aziende diverse a un prezzo più basso. Un “vecchio” farmaco mette inoltre al riparo da eventuali reazioni indesiderate molto rare ancora sconosciute; i medici sanno che disturbi può eventualmente provocare e le categorie di persone che li rischiano di più.

Per questo si punta soprattutto a riutilizzare farmaci già molto noti e di largo uso, cambiando loro l’indicazione, da terapeutica a preventiva. Nel caso del cancro, per esempio, le stesse sostanze che curano la malattia bloccando la crescita delle cellule tumorali quando la massa si è già formata, possono impedire che il processo abbia il via.

Dottore, ma è vero che c’è una pillola che previene il tumore al seno?

Ci sono farmaci per Covid-19?Proprio nell’ambito di un progetto britannico di “riposizionamento” dei farmaci, l’Agenzia regolatoria per il farmaco britannica (MHRA, Medicine and Healthcare products Regulatory Agency) ha autorizzato anche l’uso preventivo di un farmaco usato da molto tempo per la cura dei tumori al seno nelle donne in post menopausa. Il medicinale, chiamato astronazolo, blocca un enzima, l’aromatasi, necessario per la sintesi degli ormoni estrogeni dopo la menopausa. Il trattamento quindi, se da un lato rimuove lo stimolo fornito da questi ormoni alla crescita della maggior parte dei tumori del seno, dall’altro priva della loro azione tutto l’organismo, aggravando i sintomi tipici della menopausa, in maniera che può essere più o meno tollerata dalle singole donne.

Per quanto riguarda i vantaggi, già da alcuni anni era emerso che nelle donne in postmenopausa in trattamento quotidiano con questo medicinale per cinque anni il rischio di sviluppare un tumore al seno era molto inferiore a quello delle coetanee. La seconda fase della ricerca, pubblicata su Lancet, ha mostrato che una riduzione del rischio persisteva fino a dieci anni successivi. Se anche solo una su quattro tra le quasi 300.000 donne inglesi che oggi possono usufruire del prodotto lo assumeranno regolarmente, si stima che si potranno prevenire nei prossimi 11 anni circa 2.000 tumori [3].

Nel principale studio che ha portato a questa decisione, però, non si è osservata alcuna differenza significativa di mortalità tra le donne assegnate al farmaco e quelle che hanno ricevuto il placebo. Su quasi 4.000 partecipanti, nei dieci anni successivi all’inizio del trattamento, i decessi per tumore al seno si contavano sulle dita di una mano [4].

Per il servizio sanitario inglese l’iniziativa è comunque vantaggiosa: a fronte di un costo di meno di 80 sterline a donna per l’intero trattamento della durata di 5 anni, evitare 2.000 tumori significherebbe un risparmio di 15 milioni di sterline, oltre a una significativa riduzione del carico sul sistema. Per il 95% delle donne trattate, tuttavia, che non si sarebbero comunque ammalate, resterebbe il peso degli effetti collaterali della cura.

Dottore, ma è vero che alcuni farmaci prevengono malattie diverse tra loro?

Il medico di Medicina generale può prescrivere il farmaco paxlovidL’idea di ridurre il rischio di malattia assumendo ogni giorno uno o più medicinali ha preso forza sulla scia dei successi ottenuti nel secolo scorso nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Frequenza e mortalità di infarti e ictus sono infatti calati negli ultimi decenni nei paesi a maggior reddito anche grazie alla somministrazione a persone sane di farmaci detti statine e di pastiglie per abbassare la pressione o i livelli di colesterolo, oltre all’acido acetilsalicilico a basso dosaggio (aspirinetta). Questo prodotto fino a poco tempo fa era consigliato a tutti gli ultrasessantenni come protezione contro le trombosi, mentre oggi sappiamo che, per i rischi di sanguinamento che comporta, dovrebbe essere dato solo a chi ha già avuto un infarto, un ictus o altri eventi di questo tipo [5].

Le statine o la stessa aspirina a basso dosaggio sono state molto studiate anche per la prevenzione del cancro, soprattutto dopo che alcuni studi ne hanno mostrato l’efficacia nel diminuire l’incidenza di tumore al colon. Tuttavia, anche un farmaco di così largo uso come l’aspirina ha effetti indesiderati tutt’altro che trascurabili, soprattutto di tipo emorragico. Per questo, al momento, l’aspirina a basso dosaggio è indicata solo per persone con particolari condizioni che predispongono al tumore del colon e non a tutta la popolazione, nemmeno oltre una certa età [6,7,8].

Dottore, ma è vero che si sono sperimentate molte medicine a scopo preventivo?

Anche molti altri farmaci, sulla base del loro meccanismo di azione, sono stati messi alla prova a scopo preventivo: per esempio  la metformina, un farmaco contro il diabete che produce effetti più ampi sul metabolismo, potrebbe essere utile contro il tumore al seno e altri per cui l’obesità rappresenta un fattore di rischio; la finasteride, usata per trattare l’ipertrofia prostatica, potrebbe ridurre anche il rischio di cancro alla prostata; il cortisonico antiasma budesonide è studiato per la prevenzione del tumore al polmone. Su tutti questi medicinali sono stati condotti o sono ancora in corso studi per il loro uso in prevenzione, ma nessuno di loro finora ha mostrato sufficienti vantaggi per essere raccomandato alla popolazione generale, al di fuori di condizioni di maggior rischio.

Dottore, ma supplementi e vitamine non aiutano a prevenire il cancro?

Nel tentativo di riprodurre gli effetti protettivi di un’alimentazione ricca di frutta e verdura, sono stati portati avanti molti studi anche per cercare il cocktail di vitamine, minerali e oligoelementi che potesse riprodurne i benefici, finora però senza risultati soddisfacenti.

L’ultima revisione sistematica condotta dalla task force per i servizi di prevenzione del governo statunitense (USPSTF), pubblicata nel 2022 sul Journal of the American Medical Association (JAMA), che ha incluso 84 studi precedenti che hanno coinvolto in tutto più di 700.000 persone, non ha mostrato vantaggi significativi dall’uso di questi supplementi, nemmeno nei confronti delle malattie di cuore e vasi o della mortalità in generale. Come si è detto sopra, l’abitudine di assumerli abitualmente al di fuori di indicazioni precise stabilite dal medico può anzi non essere innocua: l’assunzione di beta carotene potrebbe aumentare leggermente il rischio di tumore al polmone, la vitamina E quello di ictus emorragico, la vitamina A di frattura dell’anca, la vitamina C e il calcio di calcolosi renale [10].

La stessa analisi non ha trovato vantaggi nemmeno per i supplementi di vitamina D in persone che non ne hanno una specifica carenza. Anche l’Agenzia Italiana del Farmaco dichiara che “la somministrazione di vitamina D è inefficace e inappropriata per la prevenzione cardiovascolare e cerebrovascolare e per la prevenzione dei tumori” [11].

Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
Tutti gli articoli di Roberta Villa

Bibliografia