Per curare l’otite nei bambini è indispensabile l’antibiotico?

28 Febbraio 2020 di Roberta Villa

Conseguenze dell'otite sulla crescita del bambinoPrima di rispondere a questa domanda – che è una tra quelle che più frequentemente i genitori rivolgono al pediatra – è opportuno fare una premessa. L’infezione dell’orecchio è la malattia infettiva più frequente nel bambino: basti pensare che la gran parte dei bambini ha almeno un’infezione dell’orecchio nei primi tre anni di vita.

I neonati e i bambini piccoli sono più a rischio perché le dimensioni e la forma del condotto che collega l’orecchio alla faringe (si chiama tuba di Eustachio) favoriscono il ristagno di liquido. Minore è l’età del bambino alla prima otite e maggiore sarà la probabilità di averne altre. Ugualmente, se un genitore o un fratello ha sofferto ripetutamente di otiti è più probabile che anche il bambino ne soffrirà. I raffreddori spesso portano a otiti: i bambini che vanno all’asilo si prendono più spesso il raffreddore perché sono esposti a un numero maggiore di virus [1]. Fin qui, le cattive notizie.

Ma la buona notizia è che molto spesso l’otite guarisce senza nessun problema. L’otite media acuta è dunque una condizione molto frequente, soprattutto in età pediatrica. Si stima che più di 6 bambini su 10 ne soffrano almeno una volta prima di compiere i 3 anni di età, e uno su 4 in questo stesso periodo ne subisca almeno 3 episodi [2].

In passato, alla comparsa dei segni caratteristici dell’otite, non era infrequente la prescrizione di un antibiotico da parte del medico: del resto, questo era considerato l’approccio terapeutico di prima scelta, valido per tutti indistintamente. In altre parole: si pensava fosse la prima cosa da fare per il bene del bambino.

In realtà, la maggior parte delle otiti è dovuta a infezioni da virus, contro cui gli antibiotici sono inefficaci. È vero, però, che le infezioni virali possono predisporre a quelle batteriche. Tra queste, sono diventate meno frequenti le otiti da pneumococco per effetto della vaccinazione dei bambini piccoli contro questo batterio. È la conferma del possibile ruolo di alcune vaccinazioni contro l’uso eccessivo di antibiotici e la conseguente insorgenza di batteri resistenti [3].
In definitiva, ancora oggi alla diagnosi di otite media acuta fa seguito spesso la prescrizione di antibiotici nel bambino, come viene segnalato anche nell’ultima edizione del Rapporto sull’uso dei farmaci curato dall’Agenzia italiana del farmaco [4]. “Gli antibiotici sono i farmaci più prescritti, soprattutto a livello ambulatoriale, nella popolazione pediatrica”, spiega Francesco Trotta, dell’Agenzia italiana del farmaco. “Un uso così frequente è in parte dovuto all’elevata incidenza delle malattie infettive in questa fascia d’età: basti pensare alle infezioni delle alte vie respiratorie, come bronchite, faringotonsillite e, appunto, otite media acuta [4].”

Che cosa è cambiato negli anni nella cura dell’otite?

Mentre i medici pediatri e gli specialisti in Otorinolaringoiatria statunitensi continuarono fino alla fine degli anni Novanta a prescrivere sempre e subito l’antibiotico in caso di otite, indipendentemente dall’età e dalle caratteristiche del paziente, in Olanda e altri paesi del Nord Europa si diffuse un approccio più prudente, detto di “vigile attesa”: alla comparsa di un’otite si somministravano solo farmaci contro la febbre e il dolore, e si iniziava a prescrivere l’antibiotico solo se dopo tre giorni i sintomi persistevano o andavano peggiorando.

bagnetti febbre bambinoSi trattava di due approcci alla cura della malattia assai diversi che erano documentati da diversi studi condotti in vari Paesi del mondo. Una sintesi delle ricerche condotte in varie nazioni metteva in evidenza che mentre in Olanda il 56% delle otiti medie acute era curato con antibiotici, negli Stati Uniti, in Canada e in Australia la percentuale raggiungeva il 95% [5]. La stessa sintesi di molti studi, dopo averne esaminato 13 che avevano coinvolto circa 3.400 bambini e quasi 4.000 episodi di otite in Paesi ad alto reddito, dimostrava che entro un giorno dall’inizio del trattamento più della metà dei bambini (il 60%) aveva avuto un miglioramento della condizione di salute, indipendentemente dal fatto che al bimbo fosse stato somministrato un antibiotico o un placebo, vale a dire una sostanza inerte priva di effetti farmacologici [5].

I risultati dell’insieme degli studi condotti indicavano anche che l’antibiotico era poco efficace nel ridurre il dolore e i danni a lungo termine al timpano, così come i successivi episodi di malattia (recidive), mentre era utile a ridurre il rischio di un interessamento dell’altro orecchio o di danni e perforazioni del timpano a breve termine. Le rare complicanze gravi dell’otite, come la mastoidite, erano ugualmente frequenti sia se il bambino prendeva l’antibiotico, sia se non lo assumeva. Però, i bambini che prendevano un antibiotico erano ovviamente esposti a possibili reazioni avverse da farmaci [5].

Per curare l’otite nei bambini è indispensabile l’antibiotico?Alla luce di questi dati e della crescente presenza di ceppi batterici che resistono all’azione degli antibiotici, molte istituzioni e società scientifiche hanno preparato delle linee guida per i medici che suggeriscono i criteri da seguire per la prescrizione di questi farmaci nell’otite media, in relazione all’età, ai fattori di rischio, alla gravità dei sintomi lamentati dal bambino [6]. In generale, le autorità sanitarie di tutti i Paesi – compresa l’Italia – raccomandano maggiore prudenza nella prescrizione di antibiotici. Gli effetti di queste raccomandazioni si vedranno a medio termine: nonostante i dati dell’Agenzia italiana del farmaco siano promettenti [7], nella maggior parte dei paesi in cui è stato verificato l’impatto di queste raccomandazioni, tra cui l’Italia, questo è stato modesto: per adesso, si registra solo una leggera riduzione nell’uso di antibiotici per l’otite, un leggero miglioramento nell’appropriatezza della scelta del farmaco e nell’utilizzo di antidolorifici [8].

Uno studio condotto nel pronto soccorso pediatrico nella sede di Modena della clinica universitaria dell’Università di Modena e Reggio Emilia ha rilevato che tra il 2007 e il 2013 la percentuale di bambini con otite media trattati con antibiotici si manteneva sopra l’80%. La ricerca non mostrava differenze significative avvenute dopo l’introduzione delle linee guida italiane. Allo stesso modo non si evidenziava una riduzione del rischio della complicanza più grave dell’otite, cioè l’estensione dell’infezione all’osso e ai tessuti circostanti, nei bambini trattati con antibiotico [9].

Quindi, dottore, l’antibiotico non è sempre indispensabile per curare l’otite?

È sempre il medico, dopo aver visitato il piccolo paziente, a decidere la strategia più adatta nel singolo caso. Come abbiamo detto in precedenza, le raccomandazioni delle istituzioni sanitarie e delle società scientifiche partono da un dato di fatto: nella maggior parte degli adulti e dei bambini con otite media la somministrazione dell’antibiotico non offre particolari vantaggi e non modifica l’andamento della malattia, che può durare da tre giorni a una settimana e in genere si risolve spontaneamente [10]. L’uso dell’antibiotico andrebbe quindi preso in considerazione solo nei casi più gravi e sempre su valutazione del medico.

Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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