Seguire una dieta corretta, indicata dal proprio diabetologo, è fondamentale sia per chi soffre di diabete di tipo 1 sia per chi soffre o è a rischio di diabete di tipo 2 (o diabete mellito). Quest’ultimo è il più comune dei due – riguarda il 90-95% dei casi – e tra i fattori di rischio presenta, oltre alla familiarità e l’età, l’obesità e la mancanza di attività fisica [1].
Dottore, quanto è importante una dieta corretta per controllare il diabete?
Negli ultimi tempi il contributo di una corretta alimentazione nella gestione e prevenzione del diabete è tenuto in crescente considerazione. Secondo alcune ricerche [2], come per esempio una revisione sistematica pubblicata sul British Medical Journal [3], i pazienti che seguono un regime alimentare ipocalorico e a ridotto contenuto di carboidrati, soprattutto nei primi anni dopo la diagnosi, mostrano nel tempo un progressivo miglioramento nei livelli di glucosio e nella pressione sanguigna, una diminuzione del peso corporeo e allo stesso tempo un minore bisogno di farmaci antidiabetici.
Tuttavia, come ci spiega Renato Rossi, medico di medicina generale fino al 2011, nonché esperto di diabetologia, non tutti i pazienti con diabete, i pazienti con condizioni che potremmo definire pre-diabetiche e i pazienti a rischio di sviluppare diabete sono uguali. “Per queste ultime due categorie”, spiega il medico a Dottore ma è vero che, “diversi studi hanno documentato che è possibile prevenire la comparsa di diabete sia grazie a interventi sullo stile di vita (dieta e attività fisica) sia grazie a farmaci, anche se i primi sembrano più efficaci” [4]. Anche i pazienti diabetici che hanno dei valori di glicemia solo appena superiori ai valori soglia e un indice di massa corporea non particolarmente elevato possono beneficiare di uno stile di vita che prevede una dieta ipocalorica, un’attività fisica regolare e una perdita di peso pari anche a solo 4-6 Kg rispetto al peso iniziale. Questi possono restare molti anni con valori glicemici mai elevati senza aver bisogno di farmaci e senza andare incontro a complicanze cardiovascolari. Per contro, altri pazienti con le stesse caratteristiche che aumentano di peso nel corso del tempo tendono a peggiorare anche il loro equilibrio glicemico.
Infine vi sono i casi di cui parlano le ricerche più recenti, come quella del British Medical Journal prima citata, in cui soggetti diabetici vedono normalizzarsi i loro livelli di glicemia ed emoglobina per almeno sei mesi dopo la sospensione dei farmaci. Questo perché una dieta adeguata può riuscire a ridurre l’accumulo di grassi nel fegato e nel pancreas e a ripristinare una corretta funzionalità delle cellule che producono l’insulina (beta cellule).
“Vi sono però delle osservazioni da fare in questo caso” spiega Rossi. “In questi pazienti, per ottenere un miglioramento significativo con la sola dieta, la diagnosi di diabete non deve essere troppo datata. Infatti, se supera i dieci anni è molto difficile che la sola dieta possa far regredire il danno alle beta cellule. Inoltre, la perdita di peso ottenuta con i cambiamenti dello stile di vita deve essere considerevole (secondo gli studi, di almeno 15 kg), e comunque solo una parte dei soggetti trattati, circa il 35-50%, va in remissione”.
“Anche senza porsi l’obiettivo molto ambizioso della remissione della malattia, aderire a un corretto stile di vita – che comprende non solo alimentazione ma anche attività fisica e non fumare – comporta per il paziente diabetico notevoli vantaggi: vede migliorato il suo equilibrio glicemico, se è iperteso può riuscire a ridurre i valori della pressione e qualche volta anche diminuire il numero dei farmaci antipertensivi assunti, si riducono il colesterolo e i trigliceridi”, prosegue il medico.
Dottore, cosa significa remissione?
Con il termine remissione si intende il riuscire a riportare sotto i livelli di guardia alcuni fattori chiave come il peso, il livello di glucosio nel sangue a digiuno per un periodo di almeno sei mesi.
Tuttavia, mentre per alcuni esperti si può parlare di remissione solo quando questi risultati sono ottenuti cessando completamente il trattamento farmacologico che solitamente si prescrive per tenere sotto controllo la glicemia, per altri questo termine è usato anche quando questi criteri sono raggiunti continuando i trattamenti [3].
Alle volte, tuttavia, l’alimentazione corretta e la perdita di peso non sono sufficienti, vero?
Esatto. Dieta corretta e attività fisica sono fondamentali, ma non è detto che siano sempre sufficienti. Come fa notare l’Istituto Superiore di Sanità nella sua guida al pubblico [5], talvolta le prescrizioni dietetiche da sole non sono sufficienti per controllare valori chiave come quello della glicemia. In questi casi è necessario intraprendere un trattamento farmacologico, seguendo con cura le indicazioni del proprio medico. Questo si verifica perché, come dicevamo, ogni soggetto è diverso e in ciascuno è differente, per esempio, il grado di disfunzione delle beta cellule, e cambia quindi il grado di reversibilità del danno. Inoltre, con il passare degli anni la funzionalità delle beta cellule diminuisce fisiologicamente e questo succede in misura maggiore se vi è già una disfunzione, che sia su base genetica e/o provocata dall’accumulo di grassi nel fegato e nel pancreas.
Infine, anche secondo gli stessi studi che mostrano il valore della perdita di peso [3] nel controllo della malattia, per ottenere una remissione del diabete duratura è fondamentale riuscire a mantenere nel tempo la perdita di peso, in caso contrario questo può ricomparire.
Dunque che tipo di alimentazione bisognerebbe seguire?
Come spiega il Nutrition consensus report [6] dell’American Diabetes Association, documento in cui l’associazione fornisce linee guida a medici e operatori in merito all’impiego di corrette indicazioni alimentari quali parte integrante delle terapie per la prevenzione e la gestione del diabete, non esiste un piano alimentare “one size fits all”. Ovvero è necessario che a partire dalle numerose evidenze scientifiche oggi a disposizione le scelte alimentari e i piani siano il più possibile individualizzati da un punto di vista di percentuali precise di macro e micronutrienti, e stabilite anche sulla base delle caratteristiche e delle preferenze del singolo paziente.
Anche perché non tutti i piani alimentari funzionano allo stesso modo per tutti i pazienti e non sono tollerati alla stessa maniera da ciascuno, con il rischio che siano presto abbandonati (diete a contenuto di carboidrati troppo basso, per esempio, sono molto difficili da seguire per lungo tempo). Poiché invece è fondamentale mantenere le scelte alimentari sul lungo periodo, è bene che il piano rispecchi le esigenze personali, che oltre a fisiche sono psicologiche, pratiche, sociali, economiche.
Detto questo, si possono estrapolare alcune indicazioni generali per cominciare a cambiare le proprie abitudini. Indicazioni che sono poi molto simili a quelle che vengono continuamente suggerite a tutta la popolazione per seguire uno stile di vita e un’alimentazione sani ed equilibrati:
- dare la preferenza a verdura e fibre;
- preferire proteine magre come carni bianche, legumi, pesce (soprattutto pesce azzurro);
- controllare il consumo di carboidrati (anche le patate sono carboidrati), favorendo quelli integrali che hanno un indice glicemico minore rispetto a quelli non integrali;
- ridurre il consumo di grassi, di sale e di alcolici;
- non eliminare la frutta dalla dieta, ma consumarla in maniera distribuita durante la giornata e non insieme ad altri alimenti con un alto indice glicemico, possibilmente limitando quella troppo zuccherina (come le banane, i fichi, i datteri, il melone, l’uva);
- se possibile, consumare una piccola quantità di frutta a guscio ogni giorno;
- preferire l’olio extravergine di oliva;
- limitare dolci e zucchero.
Fortunatamente, sembra che una dieta mediterranea con un ridotto contenuto di carboidrati sia un buon punto di partenza [3,7].