Possiamo abbassare la guardia contro Covid-19?

10 Novembre 2021 di Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Possiamo stare meno attenti al virus della pandemia?“La domanda che ci facciamo è: che cosa succede adesso nell’inverno?” ha chiesto Giovanni Rezza, direttore generale del dipartimento della Prevenzione del Ministero della Salute, a un convegno sulla pandemia che si è svolto a Venezia il 25 ottobre 2021. “Abbiamo una situazione molto buona, anche se ci sono purtroppo ancora casi e 20-30 decessi al giorno, ma siamo tra i Paesi al mondo con la minor incidenza di Covid-19. Frutto del fatto che manteniamo le misure, la mascherina al chiuso ad esempio.”

Quindi non è ancora venuto il momento di smettere di indossare le mascherine?

No. Ed è stato il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, a spiegare proprio in questi giorni che “si va per gradi: per adesso non abbiamo ancora la capienza piena in diverse attività, c’è ancora la distanza, la mascherina e stiamo procedendo con le vaccinazioni e le terze dosi” [1].

Dottore, perché abbiamo tanta fretta di smettere di proteggerci?

Potrebbe trattarsi non di “fretta” ma di desiderio di liberarsi di un peso psicologico tornando alla normalità. Guendalina Graffigna insegna Psicologia dei consumi e della salute all’università Cattolica di Piacenza e dirige il centro di ricerca EngageMinds: sta studiando da molti mesi le ricadute emotive della pandemia. “La pandemia da Covid-19” spiega a Dottore ma è vero che “è stata connotata dall’esperienza della perdita per la popolazione globale. Perdita di certezze, perdita di libertà, perdita di relazioni sociali, perdita di salute, perdita di affetti e persone care, perdita di lavoro, perdita economica. Il trauma individuale e sociale di questa esperienza è stato grandemente documentato da studi psicologici e sociali condotti nei diversi Paesi del mondo”.

Questo disorientamento ha coinciso con l’adozione di misure di prevenzione straordinarie, che per tutti noi sono ormai indissolubilmente legate alla pandemia: basti pensare al lockdown o al lavaggio delle mani mai così frequente in passato, fino alla loro disinfezione o – per l’appunto – alla raccomandazione di indossare le mascherine.

Possiamo stare meno attenti al virus della pandemia?Non poche persone hanno reagito a una situazione mai vissuta in precedenza con un atteggiamento di negazione: “non è possibile”, “non ci dicono la verità, perché tutto questo non può essere vero”. “Questa prima fase di elaborazione del lutto” spiega Graffigna “sul piano delle condotte si può concretizzare nella prosecuzione di comportamenti analoghi a quelli che si osservavano prima della pandemia, come se nulla fosse accaduto. Insomma, il rifiuto è la prima, fisiologica e naturale risposta alle perdite”. Rifiutare la protezione del viso o, per esempio, smettere di lavarsi le mani può dunque essere una forma di rifiuto, di negazione dello stato di crisi sanitaria che, invece, sta ancora proseguendo.

Conosco persone che alternano comportamenti prudenti e atteggiamenti disinvolti: perché?

Come dicevamo, la tragedia della pandemia ha reso necessario una sorta di “processo di elaborazione del lutto”, come si definisce in psicologia. La convivenza con la pandemia da Covid-19 è una specie di “maratona” durante la quale abbiamo assistito a un saliscendi emotivo. “Una montagna russa dei nostri sentimenti individuali e collettivi” spiega Guendalina Graffigna “che però se non efficacemente accompagnata e gestita diventa pericolosa. Pericolosa per i singoli, per gli strascichi sulla salute mentale delle persone (e non a caso nei primi mesi del 2021 si sono registrati picchi di sintomatologie psichiatriche in diverse fasce della popolazione). Pericolosa per la collettività, per il rischio di non maturazione di un’adeguata convivenza psicologica con l’emergenza e il sopraggiungere di episodi e comportamenti disfunzionali nella prevenzione e gestione della salute e del sistema sanitario” [2].

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Com’è possibile negare la pericolosità dell’infezione da SARS-CoV-2?

Possiamo stare meno attenti al virus della pandemia?C’è una minoranza di persone che è convinta di poter far finta di nulla di fronte agli avvertimenti della ricerca scientifica, convinta della propria superiorità. Alcuni ricercatori della Divinity School dell’Università di Chicago hanno riferito che metà dei partecipanti a uno studio da loro condotto – persone che hanno indicato un’appartenenza religiosa – erano d’accordo con l’affermazione “Dio mi proteggerà dall’essere contagiato” [4]. È uno studio che è stato ripreso e commentato da diversi media: per far fronte alla comprensibile paura della morte, ci illudiamo di pensare di essere invincibili. In sostanza, “potrebbe capitare di morire ad altri, ma non a me” [5]. È un effetto ulteriormente amplificato quando anche i gruppi sociali a cui apparteniamo sostengono opinioni simili alle nostre. In questi mesi di pandemia, abbiamo visto come sia possibile diventare sia più individualisti e diffidenti nei confronti della scienza o del governo, sia più fiduciosi nella capacità di proteggerci della divinità a cui crediamo, se queste posizioni o credenze sono apprezzate e condivise dalla nostra cultura o dalle persone che ci sono più vicine [5].

In certo senso, vivere ai tempi di Covid-19 ci ha reso tutti partecipi di una situazione inedita, che sicuramente meriterà di essere approfondita dagli esperti che lavorano nel campo della psicologia sociale. Le notizie sull’andamento dei contagi, sui ricoveri in terapia intensiva o sui decessi sono purtroppo una sorta di regolare promemoria della nostra finitezza: non tutti eravamo preparati e la reazione a questa sollecitazione può portare – come vediamo – anche a comportamenti estremi come la negazione del rischio o l’aggressione contro coloro che la pensano diversamente da noi.

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Autore Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Rebecca De Fiore ha conseguito un master in Giornalismo presso la Scuola Holden di Torino. Dal 2017 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per riviste online e cartacee di informazione scientifica. Fa parte della redazione del progetto Forward sull’innovazione in sanità e collabora ad alcuni dei progetti istituzionali con il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.
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