Da più di quarant’anni in Europa è vietato utilizzare ormoni per favorire la crescita degli animali da allevamento [1], dal 2006 sono proibiti anche gli antibiotici e dal 2022 questa normativa è stata resa ancora più severa [2]. Sono ormai consentiti solo gli estrogeni necessari per indurre l’estro in bovine, pecore e cavalle a fini riproduttivi in vista di una inseminazione artificiale, mentre gli antibiotici possono essere prescritti dal veterinario solo a scopi terapeutici, lasciando l’uso preventivo a casi molto particolari. In ogni caso, prima della macellazione, occorre aspettare un tempo sufficiente a smaltire ogni residuo di farmaci dalla carne, che infatti raramente si trovano, e in dosaggi irrisori, al momento dei controlli eseguiti regolarmente dagli Istituti zooprofilattici.
Il divieto riguarda ogni tipo di carne, compresa quella di pollo, spesso a torto ritenuta così “piena di ormoni” da provocare ingrossamento delle ghiandole mammarie o pubertà precoce nei bambini. Negli allevamenti avicoli in realtà l’uso di queste sostanze era molto limitato anche prima dell’introduzione della normativa: non erano infatti molto utilizzati dati i costi eccessivi di questi farmaci rispetto al vantaggio minimo che se ne può derivare in animali dal rapido ciclo di crescita come i polli, che raggiungono comunque rapidamente il peso idoneo alla vendita.
Quindi alla domanda iniziale si può rispondere che no, la carne che acquistiamo dal macellaio o al supermercato non contiene antibiotici né ormoni. Qualche problema tuttavia rimane.
Dottore, gli antibiotici negli allevamenti hanno creato superbatteri?
Negli anni Cinquanta negli Stati Uniti si scoprì per caso che aggiungendo basse dosi di antibiotici ai mangimi degli animali da allevamento se ne favoriva la crescita, con un importante ritorno in termini economici per gli allevatori. La pratica si diffuse in tutto il mondo e il consumo veterinario di questi farmaci superò quello umano, arrivando a tre quarti del totale. Ben presto però ci si rese conto delle sue conseguenze per la salute umana: la somministrazione cronica di piccole dosi di antibiotici a milioni di animali in tutto il mondo, insieme all’uso eccessivo e inappropriato sugli esseri umani, ha infatti contribuito alla selezione di molti ceppi di batteri resistenti a molti o a tutti gli antibiotici esistenti, un fenomeno considerato tra le maggiori minacce alla salute dei nostri tempi.
Sebbene infatti la carne che mangiamo non contenga antibiotici, questi farmaci e i loro metaboliti dagli allevamenti passano all’ambiente e nelle acque reflue, così come i batteri che sopravvivono all’azione antimicrobica dei medicinali, che quindi possono essere liberati negli scarichi e nel terreno, da dove possono contagiare anche animali selvatici, oltre a crescere in quelli da allevamento e a ritrovarsi, questi sì, nella carne.
Nella maggior parte dei casi questi germi non sono patogeni per l’uomo, ma la loro capacità di resistere agli antibiotici può essere trasferita ad altre specie più pericolose tramite lo scambio di materiale genetico. Inoltre, anche batteri che la maggior parte degli individui riesce a tenere a bada con un sistema immunitario efficiente possono creare invece gravi infezioni in persone anziane, fragili o debilitate: in questo caso la possibilità di usufruire di cure efficaci diventa essenziale, e la resistenza agli antibiotici può essere fatale.
Sono state prese iniziative per limitare il fenomeno?
In tutta Europa sono state prese iniziative per controllare il fenomeno: oltre ai controlli casuali sui campioni di carne, che dovrebbero scoraggiare anche l’acquisto di farmaci online, per ridurre i rischi è stato vietato, anche in caso di infezioni, l’uso per gli animali di antibiotici importanti per la salute umana come le cefalosporine. Inoltre, la necessità di una ricetta elettronica – recentemente introdotta in Italia – permette di tracciare la frequenza d’uso, il numero di dosi, le indicazioni per cui i veterinari prescrivono antibiotici in un allevamento.
Intanto si cerca di migliorare le condizioni igieniche degli allevamenti e di controllarne gli accessi riducendo così il rischio di infezioni e di contagio per cui dover ricorrere ai farmaci.
I dati del 2021 prodotti dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare mostrano un calo dei consumi in ambito veterinario, la cui media europea è scesa finalmente sotto il livello dell’uso umano [3].
Nella carne ci sono batteri resistenti agli antibiotici?
Con un’indagine condotta nel 2019, Altroconsumo ha ritrovato tracce di batteri resistenti ai più comuni antibiotici su tutti e 42 i campioni di carne di pollo acquistati in supermercati e da macellai di Milano e Roma [4]. L’ultimo rapporto dell’Unione Europea sulla resistenza antimicrobica nei batteri prelevati da umani, animali e alimenti tra il 2020 e il 2021 mostra tra gli altri la presenza di Escherichia coli multiresistenti nel 55% dei campioni di maiali, nel 62% dei vitelli, nel 52% dei polli e nel 47% dei tacchini [5].
Il rapporto europeo mostra, oltre a questo, una significativa presenza di altri batteri resistenti agli antibiotici negli animali da allevamento e nella carne, ma sottolinea anche, almeno in media, una netta tendenza al miglioramento. Secondo i dati resi noti nel documento, la percentuale media di E. coli vulnerabili alla maggior parte degli antibiotici in Europa è infatti in aumento, mentre quella di batteri resistenti anche ai farmaci di ultima generazione è in calo, anche in Italia, dove si registra un dimezzamento della loro presenza nei campioni di polli da carne esaminati rispetto alla rilevazione precedente.
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