Fin dal 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha inserito la “malattia X” nell’elenco di infezioni su cui è prioritario investire in ricerca e sviluppo [1]. L’ idea di una malattia senza nome, perché ancora sconosciuta, serviva a rappresentare in maniera tangibile – accanto a ebola, SARS, peste e altre minacce note – la certezza degli scienziati che la salute dell’umanità potesse, e ancora oggi possa, essere minacciata da un agente infettivo ignoto, che non è quindi possibile definire in altri modo che con una X [2]. E se non lo conoscono medici e scienziati, impossibilitati quindi per definizione a sapere come individuarlo, curarlo o prevenirlo, tantomeno lo conosce il sistema immunitario, che non avendolo mai incontrato non sarebbe in grado di difendere l’organismo da eventuali gravi conseguenze dell’infezione.
Dottore, come emerge una malattia X?
A facilitare l’emergere di nuovi agenti infettivi ci sono oggi rispetto al passato molti fattori, tra cui la crescita del numero e dell’ampiezza di spostamenti di persone e merci tra le diverse parti del mondo, la deforestazione che avvicina esseri umani a specie animali prima isolate da barriere naturali, i profondi cambiamenti climatici cui sta andando incontro il pianeta.
Per questo dall’inizio del millennio il tasso di comparsa di nuovi virus o la loro diffusione rispetto al secolo precedente è andato aumentando, ben prima della pandemia di Covid-19, con le prime infezioni umane del virus dell’influenza aviaria H5N1 e la comparsa di SARS (2002-2003), l’emergenza di MERS (2012), la grande epidemia di Ebola in Africa occidentale (2014-2015) e la diffusione di Zika in Sud America (2015-2016) [3].
La maggior parte di queste infezioni origina dal passaggio di specie di un agente infettivo da un ospite animale (per lo più mammiferi o uccelli) a un essere umano, fenomeno detto spillover. Nel 2018 già si stimava che esistessero circa 1,6 milioni di specie virali ancora ignote appartenenti a famiglie adatte a questo salto, e che un numero variabile tra 631.000 e 827.000 di questi virus avrebbero il potenziale per attaccare gli esseri umani [4].
Dottore, ma Covid-19 non è già una malattia X?
Al di là delle pestilenze che hanno colpito e decimato periodicamente l’umanità, in epoca di medicina moderna il concetto di virus nuovi, capaci per questo di provocare pandemie, era strettamente collegato all’influenza, perché sono i virus influenzali a riassortirsi in modo da dare origine a particelle ignote ai sistemi immunitari, verso cui l’umanità non ha quindi difese.
Già nel secolo scorso, tuttavia, si verificò una sorta di malattia X, quando un virus fino ad allora nuovo e sconosciuto, HIV, si diffuse in tutti i continenti, provocando con l’AIDS un enorme carico di sofferenza e morti. Il fatto che non si trasmettesse per via respiratoria spinse tuttavia a classificare questa condizione in maniera diversa da quelle che dilagano con le goccioline di saliva o per aerosol. Sempre nel Ventesimo secolo furono scoperti anche altri agenti infettivi, come Ebola, Marburg, Lassa o Nipah, per citarne alcuni, che tuttavia restarono confinati ad aree limitate e non rappresentarono mai una minaccia per il mondo intero.
Dietro ai focolai scoppiati nei primi anni dei Duemila, invece, c’erano diversi virus a trasmissione respiratoria, due dei quali, SARS e MERS, erano coronavirus, agenti infettivi molto diffusi nel mondo animale in grandissima varietà, fino ad allora noti solo come causa di banali raffreddori. Ciò spinse alcuni esperti a ipotizzare che la successiva pandemia, o comunque una seria minaccia alla salute globale, potesse avere origine anche da un agente infettivo di questa famiglia o da altre fino ad allora mai prese in considerazione.
Si cominciò così a parlare di malattia X, senza sapere che l’ipotesi si stava per concretizzare nel mercato del pesce della città cinese di Wuhan, dove alla fine del 2019 si verificarono i primi casi di polmonite umana da parte di un coronavirus mai visto prima (in seguito chiamato SARS-CoV-2), da cui originò la pandemia da Covid-19 ancora in corso. Covid-19 aveva tutte le carte in regola per rispondere alla definizione di malattia X: è stata provocata da un virus fino ad allora ignoto, con ogni probabilità proveniente da un serbatoio animale ancora da individuare, capace di diffondersi facilmente tra le persone provocando una pandemia che ha a sua volta causato milioni di morti e un profondo impatto sulle economie e le società di tutto il mondo [5].
Dottore, ma può arrivare un’altra malattia X?
Anche volendo considerare Covid-19 un esempio di malattia X, non è detto che non ne possano arrivare altre. Anzi, al recente incontro dell’World Economic Forum di Davos, il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha ricordato ai potenti del mondo che la dolorosa esperienza da cui stiamo uscendo non esaurisce la minaccia di nuove malattie emergenti [6]. Anzi, le condizioni che dicevamo sopra (cambiamenti climatici, spostamenti di merci e persone, deforestazione e così via) continuano a essere importanti fattori di rischio in molte parti del mondo, soprattutto nei Paesi a medio e basso reddito dove è più facile che si verifichino contatti tra animali selvatici ed esseri umani, anche se il prossimo spillover, a dire il vero, potrebbe accadere ovunque.
Nel suo discorso Ghebreyesus ha sottolineato ancora una volta che la questione non è “se”, ma “quando” ci troveremo di fronte a una nuova pandemia, davanti alla quale dovremmo farci trovare più preparati di quanto eravamo all’inizio del 2020. La risposta dovrebbe essere questa volta coordinata tra i vari Paesi, per essere più rapida, coordinata, equa ed efficace.
Dottore, come ci si sta preparando alla prossima malattia X?
A tale scopo occorre un nuovo trattato pandemico che dovrebbe essere sottoscritto da tutti i Paesi del mondo, per unire le risorse pubbliche e private in vista di una risposta rapida ed efficace a una minaccia potenzialmente anche più grave di Covid-19, imparando dagli errori e dalle iniquità emerse negli ultimi anni. Per fare meglio ci vorrebbe una forte volontà di collaborazione per la ricerca e lo sviluppo di nuove strategie e tecnologie, per aumentare la capacità di risposta di ogni parte del mondo, anche quelle a più basso reddito, per rinforzare i servizi sanitari e così via [7].
La bozza del documento impegna quindi tra le altre cose le diverse nazioni alla massima trasparenza e sollecitudine nello scambio di informazioni, fin dai primi inizi di una possibile malattia emergente, e le aziende a rinunciare ai brevetti di vaccini e farmaci perché possano essere prodotti nei Paesi a medio e basso reddito. Tutti, quindi, sono chiamati a rinunciare a qualcosa; e in un momento come questo, in cui non si sente l’urgenza di prendere decisioni che riguardano una circostanza futura, la negoziazione non è facile.
Si discute ancora infatti di molti aspetti, dalla definizione stessa di “pandemia” a come debba essere finanziata l’iniziativa. A ostacolarla ci sono anche le false voci secondo cui l’accordo sposterebbe all’OMS il diritto di imporre lockdown e altre limitazioni della libertà individuale, mentre il trattato sottolinea che ogni Paese dovrebbe mantenere la sua sovranità. Per tutto questo è difficile che il Trattato sia sottoscritto nel corso dell’Assemblea generale dell’OMS prevista per maggio 2024, come invece si auspicava. Speriamo che comunque un’intesa si riesca a raggiungere prima che la prossima malattia X si manifesti e riceva un suo proprio nome [8].
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