Bisogna curare la menopausa?

4 Marzo 2024 di Roberta Villa

La menopausa fisiologica è una normale fase della vita, in cui le ovaie cessano la loro attività e si chiude il periodo di fertilità iniziato con il menarca, cioè la prima mestruazione. Quando insorge spontaneamente intorno ai 50 anni, proprio perché non è una malattia, di per sé non richiede cure, a meno che i disturbi che provoca siano particolarmente fastidiosi [1].

Quelli più comuni e caratteristici sono gli sbalzi di umore e le vampate di calore, per le quali oggi stanno entrando in commercio anche farmaci non ormonali specifici di cui abbiamo parlato nella scheda “Le vampate della menopausa si possono curare senza ormoni?”. Altri sintomi di tipo vasomotorio sono le sudorazioni notturne, che possono contribuire ad aggravare i disturbi del sonno.

La ridotta produzione di estrogeni può inoltre provocare un’atrofia della mucosa vaginale che si manifesta con secchezza e difficoltà nei rapporti sessuali per le quali è possibile aiutarsi con prodotti emollienti o lubrificanti a livello locale. Quando questi non sono sufficienti, è possibile ricorrere a ovuli, anelli e creme a base di estrogeni che in genere risolvono questa condizione, da una decina di anni ribattezzata “sindrome genito-urinaria della menopausa” per sottolineare la possibile estensione del fenomeno alla vulva e alle basse vie urinarie.

Dottore, oltre alla terapia ormonale sistemica quali rimedi ci sono per i disturbi della menopausa?

Aumentare l’attività fisica, seguire un’alimentazione ricca di frutta e verdura, non fumare e ridurre l’apporto di alcol possono migliorare in generale il benessere fisico e psichico e contribuire a ridurre i fattori di rischio per malattie più frequenti dopo la menopausa, ma non esistono prove solide che siano efficaci nei confronti dei disturbi propri di questo periodo, come invece è la terapia ormonale.

Soprattutto per le donne in cui questa è controindicata, in passato sono stati provati altri approcci farmacologici (per esempio alcune classi di antidepressivi) e non farmacologici (yoga, mindfulness), che hanno prodotto risultati poco convincenti, così come vitamine e integratori. Un caso particolare è quello degli isoflavoni estratti dalla soia, la cui efficacia contro i disturbi vasomotori della menopausa è ancora controversa [2,3]. Possono invece essere utili la terapia cognitivo comportamentale e l’ipnosi, che hanno più che dimezzato la frequenza di vampate [4].

Dottore, come comportarsi in caso di menopausa precoce?

L’età media a cui si riconosce la menopausa, dopo 12 mesi senza ciclo, è in genere 51 anni, ma il range è variabile tra i 40 e i 59. In un caso su dieci si verifica prima dei 45 anni e in questo caso si parla di “menopausa prematura”, mentre per “menopausa precoce” si intende quella che si verifica nell’1% della popolazione femminile prima dei 40 anni.

Le cellule, presenti fin dalla nascita, che vanno a costituire la “riserva ovarica” e garantiscono la continuità dell’ovulazione periodica si possono esaurire troppo presto. Ciò può accadere spontaneamente per ragioni genetiche – favorite da altri fattori, per esempio il fumo – oppure in conseguenza di trattamenti medici (per esempio chemioterapia) o chirurgici, quando questi comportano l’asportazione parziale o totale delle ovaie, non solo per tumori, ma anche per grave endometriosi localizzata a quel livello o altri eventi che rendono necessario l’intervento [5].

 Togliere entrambe le ovaie con un’operazione di ovariectomia bilaterale può essere talvolta anche una scelta fatta a scopo preventivo in persone portatrici di mutazioni genetiche come BRCA1 e BRCA2, che aumentano moltissimo il rischio di tumore al seno e all’ovaio. La procedura è divenuta molto nota dopo essere stata adottata dall’attrice Angelina Jolie – che per la stessa ragione si era già sottoposta anche a una mastectomia bilaterale – ma viene effettuata solo in casi particolari, dopo aver ben soppesato rischi e benefici, oltre che i desideri e le scelte riproduttive di ogni singola persona. Spesso, per esempio, si arriva a questa decisione dopo una o più gravidanze, dal momento che il tumore insorge più spesso in età avanzata.

L’asportazione di entrambe le ovaie, infatti, rende da un lato impossibile una successiva gravidanza spontanea e dall’altro comporta una brusca interruzione nella produzione di ormoni. Ciò può aggravare le conseguenze e i sintomi di una menopausa fisiologica, che in genere è anticipata da un periodo detto climaterio, della durata di mesi o anni, in cui i cicli si fanno irregolari e l’organismo – ma anche la persona – si adatta gradualmente al cambiamento.

Nei casi di menopausa prematura o precoce, a meno di controindicazioni, è quindi raccomandata la prescrizione di ormoni femminili che sostituiscano quelli non più prodotti dall’ovaio, almeno fino al sopraggiungere dell’età di una menopausa fisiologica. Chi non li può ricevere, per esempio per una malattia oncologica di base, può comunque cercare di controllarne i sintomi più fastidiosi con trattamenti non ormonali.

Dottore, chi va in menopausa a 50 anni deve prendere gli ormoni?

La somministrazione di ormoni femminili in menopausa è stata oggetto nel tempo alternativamente di grandi entusiasmi e vittima di grandi paure. Cominciò a essere raccomandata negli anni Sessanta, prima negli Stati Uniti e poi in Europa, diffondendosi nei decenni successivi insieme all’idea che la menopausa fosse una condizione patologica, una vera e propria “sindrome da carenza di ormoni” che andava quindi curata.

L’idea sottostante è che il notevole allungamento dell’aspettativa di vita rispetto al passato estende oggi il periodo in cui l’organismo femminile resta con un basso livello di estrogeni, che durante l’età fertile proteggono dall’osteoporosi, dalle malattie cardiovascolari, ma anche dai segni esteriori dell’invecchiamento.

Occorre infatti tenere conto del fatto che la menopausa non è solo una questione fisica, ma anche psicologica e culturale. La concezione della funzione riproduttiva come valore essenziale dato per secoli al corpo femminile da un lato, l’esasperazione data ai giorni nostri all’importanza dell’aspetto esteriore dall’altro, possono complicare l’elaborazione di questa fase di passaggio, che talvolta coincide con altre difficoltà, per esempio l’uscita di casa dei figli, la cura dei nipoti, la necessità di accudire i genitori anziani, situazioni che purtroppo tendono a ricadere sempre sulle donne.

Più in generale, si tratta di affrontare lo spettro dell’invecchiamento, che sembra quasi piombare addosso all’improvviso in un mondo in cui fino a quarant’anni e oltre ci si sente, e si è definite, “ragazze”. Siccome la biologia non segue l’evoluzione della società, i farmaci sono talvolta richiesti anche per colmare la distanza tra queste due dimensioni, rallentando le manifestazioni, anche estetiche, dell’invecchiamento. La cura, in questo senso, intende ristabilire una situazione “fisiologica” più prolungata nel tempo, e più adeguata alle circostanze odierne: per questo molti non parlano di terapia, ma di “trattamento sostitutivo”.

Al di là di queste dimensioni socioculturali, le ragioni mediche della somministrazione di ormoni in menopausa sono state oggetto di molti studi, che hanno prodotto talvolta risultati contrastanti e hanno alimentato un dibattito su cui ancora non è stata messa la parola “fine”.

Dottore, la terapia ormonale previene l’osteoporosi e le malattie del cuore?

In un’ottica “sostitutiva”, per sopperire agli ormoni mancanti, la prescrizione di ormoni in menopausa è quindi stata – e in parte è ancora – motivata, oltre che dal controllo dei sintomi, anche e soprattutto dalla volontà di prevenire osteoporosi e malattie cardiovascolari. Per questo spesso il trattamento è caldeggiato anche in quel 30% di persone che non soffrono di vampate né altri disturbi significativi, o prima che questi si manifestino. Per quanto alcuni ginecologi o altri medici lo consiglino, questo approccio non rappresenta il consenso scientifico prevalente sulla base dei dati attualmente disponibili.

La principale associazione dei ginecologi statunitensi (American College of Obstetricians and Gynecologists), per esempio, raccomanda la cura solo per i sintomi, ricordando che il trattamento può aumentare il rischio di malattie della cistifellea e trombosi venose (se preso per bocca) e, di poco, quello di tumore al seno, ma protegge da quello del colon e dall’osteoporosi. Per quanto riguarda il rischio di infarto e ictus, i risultati sono contraddittori e richiedono nuove ricerche [6].

Altre società scientifiche, come la British Menopause Society, ritengono che anche la sola prevenzione dell’osteoporosi possa essere un’indicazione sufficiente alla prescrizione [7]. In un documento congiunto, la Società Italiana della Menopausa e la Società Italiana di Ginecologia della terza età hanno esteso le indicazioni alla prevenzione dell’atrofia della cute, dei tessuti connettivi e dei dischi intervertebrali, ma concludendo comunque che la terapia debba essere “prescritta esclusivamente a donne sintomatiche” [8]. In ogni caso, non per prevenire infarti e ictus.

Dottore, quali sono i rischi degli ormoni in menopausa?

I primi timori sui rischi di questo trattamento emersero negli anni Settanta, quando ci si rese conto che l’uso di estrogeni poteva favorire lo sviluppo di tumori dell’endometrio, cioè della superficie interna dell’utero. Da allora si somministra la terapia combinata, che associa agli estrogeni anche ormoni derivati dal progesterone (progestinici), che neutralizzano questo rischio. Unica eccezione, le persone a cui l’utero è stato asportato per varie ragioni, che ovviamente non corrono questo pericolo.

La più importante svolta negativa nella percezione pubblica di questi trattamenti venne tuttavia all’inizio degli anni Duemila, con la pubblicazione dei risultati di uno studio condotto negli Stati Uniti per 13 anni su oltre 27.000 partecipanti, di cui più di 16.000 con utero intatto e quindi sottoposte a trattamento combinato. Lo studio, chiamato Women’s Health Initiative (WHI), creò moltissimo scompiglio perché in questo gruppo maggioritario di pazienti il trattamento estroprogestinico non sembrava affatto ridurre il rischio di complicazioni dovute alla menopausa, ma anzi aumentava il rischio di un generico esito negativo, ottenuto considerando insieme l’eventualità di infarto, ictus, frattura dell’anca e vari tumori. Particolarmente evidente era l’aumento di rischio di tumore al seno. Le vendite di questi farmaci crollarono e il trattamento per molto tempo venne riservato a chi aveva disturbi tali da condizionare la propria qualità di vita, solo alle dosi minime e per il tempo necessario a controllarli [9].

Negli anni successivi, nuove analisi di quegli stessi dati, prodotti più innovativi e studi più recenti hanno permesso di ridimensionare l’allarme: presi sotto i 60 anni, subito dopo o prima della menopausa, si ritiene che i benefici di questi farmaci nei confronti dei sintomi superino i rischi legati al loro uso [10]. L’idea che debbano essere prescritti a scopo preventivo anche a chi tollera senza difficoltà i disturbi della menopausa (o non ne ha proprio), solo con l’obiettivo di prevenire fratture da osteoporosi, è invece, come si è detto, ancora dibattuta, ma non è avallata dal nostro Istituto superiore di sanità.

La scelta di adottarla va quindi presa a livello individuale, soppesando insieme al proprio medico in ogni singolo caso rischi, benefici, peso dei disturbi e delle proprie aspettative.

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Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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