Da dove nasce questa idea?
Il timore che una persona appena vaccinata possa diffondere un virus, e in rari casi provocare, nei suoi contatti, proprio la malattia da cui intendeva proteggersi con il vaccino, ha un suo fondamento nel passato. Infatti quando le campagne contro la poliomielite erano condotte con il vaccino orale di Sabin, costituito da virus vivi e attenuati, questi venivano eliminati con le feci proprio come accade ai virus selvaggi responsabili della malattia. Come questi ultimi, quindi, anche i virus attenuati provenienti dal vaccino potevano entrare nell’ambiente, contaminando l’acqua o gli oggetti, e raggiungere anche le persone non vaccinate. Questo fenomeno produceva un effetto positivo, perché anche parte delle persone non vaccinate finivano così per essere inconsapevolmente protette dalla campagna vaccinale. Questo effetto del vaccino orale di Sabin è stato quindi sfruttato per estendere al massimo la protezione conferita dalla vaccinazione, ed è ancora utilizzato là dove la malattia non si può considerare del tutto estirpata.
Pur essendo più efficace sulla popolazione, il vaccino orale di Sabin ha però un grave difetto: in rarissimi casi, essendo costituito da virus vivi, questi possono riacquisire la loro virulenza e il vaccino può provocare una vera e propria poliomielite con paralisi. Ciò si verifica circa in un caso su un milione tra le persone che ricevono il vaccino orale di Sabin e a volte, sporadicamente, anche in persone non vaccinate che vivono vicino a loro, soprattutto in ambienti igienicamente scadenti dove possono venire a contatto con acqua o materiale contaminato dai virus di origine vaccinale che hanno recuperato la loro virulenza.
Cosa si è fatto?
Per evitare queste eventualità – che possono essere accettabili a fronte di un alto rischio di malattia ma non in condizioni in cui questo pericolo è remoto – in Italia, come nella maggior parte dei Paesi più ricchi, dove la polio è stata eliminata, si è passati gradualmente al vaccino inattivato di Salk, iniettato per via intramuscolare, che dal 2002 è l’unico somministrato nel nostro Paese. Essendo costituito da virus uccisi, e quindi incapaci di replicarsi, questo vaccino non può provocare la malattia, né nelle persone vaccinate né tanto meno in chi le circonda. È bene ricordare che la maggior parte dei vaccini raccomandati non è costituito da virus vivi e attenuati, come sono quelli contro morbillo, parotite, rosolia, rotavirus, ma da virus uccisi, o proteine modificate (i tossoidi di antitetanica e antidifterica) oppure componenti isolate dal microrganismo (per esempio nel vaccino antipertosse acellulare) o sintetizzate in laboratorio, perfino in assenza dell’agente infettivo (come per l’antiepatite B o l’antimeningococco B). Tutti questi vaccini provocano solo la risposta dell’organismo ma non possono indurre nemmeno in forma blanda la malattia, né tantomeno quindi trasmetterla.
Perché se ne parla?
In origine il timore che fenomeni simili a quello che si verificava con l’antipolio orale si potessero verificare con altri vaccini a virus vivi e attenuati non era teoricamente infondato. Per questo, per molti anni, si è raccomandato di rispettare alcune precauzioni per evitare la possibilità che anche il virus attenuato del morbillo, della parotite o della rosolia, contenuti nei rispettivi vaccini, potessero contagiare persone immunodepresse o donne in gravidanza che in quel caso avrebbero potuto subire gravi conseguenze. A questa indicazione, fornita per anni sulla base di un semplice principio di precauzione, non è però mai seguita nessuna prova di una possibile, reale trasmissione dei virus attenuati contenuti nei vaccini contro morbillo, parotite e rosolia, dalla persona vaccinata a quella che non lo è. Anzi, un’attenta sorveglianza ha dimostrato che nei fatti questa trasmissione non avviene, probabilmente per la difficoltà di replicazione che hanno i virus attenuati, sufficiente solo a indurre la risposta immunitaria ma non la malattia e tantomeno il passaggio da un individuo all’altro.
Solo nel caso della vaccinazione contro la varicella questa evenienza si è verificata, in casi eccezionali (nel 2012 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne aveva registrati 9 in tutto il mondo), per lo più a partire da persone immunodepresse che, proprio per questo, avevano sviluppato un herpes zoster in seguito alla vaccinazione.
Di questa ipotetica eventualità si torna a parlare oggi in relazione alla legge 119 del 31 luglio 2017 che esclude dai servizi e dalla scuola per l’infanzia i bambini non vaccinati, a tutela di altri più fragili. Per reazione alle accuse rivolte ai bambini non vaccinati di essere “piccoli untori”, si è voluto sostenere che anche i bambini appena vaccinati potrebbero rappresentare un pericolo, per la possibilità di contagiare i compagni. Ma la storia di decenni di vaccinazione dimostra che questa possibilità non c’è.