Nella continua ricerca di una soluzione contro la malattia da nuovo coronavirus SARS-CoV-2, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che la vitamina D possa avere dei benefici nella prevenzione e nel trattamento della Covid-19. I risultati degli studi, però, sono stati deludenti a proposito dei benefici extrascheletrici della vitamina D, ovvero degli effetti che ha al di fuori del tessuto osseo e muscolare. La conferma viene direttamente dal Ministero della Salute, sul cui sito si legge: “La vitamina D protegge dall’infezione da nuovo coronavirus? Falso! Non ci sono attualmente evidenze scientifiche che la vitamina D giochi un ruolo nella protezione dall’infezione da nuovo coronavirus” [1]. Ma andiamo per ordine.
Perché è circolata questa falsa notizia?
Il 26 marzo due quotidiani nazionali hanno comunicato con titoli a tutta pagina che stimati ricercatori dell’Università di Torino, dopo avere riscontrato bassi livelli di vitamina D nei ricoverati per Covid-19, avrebbero iniziato uno studio per valutare l’efficacia della vitamina D in queste condizioni [2]. Sono bastati questi articoli per scatenare la più classica delle reazioni a catena, determinando un aumento esponenziale delle notizie sull’argomento. Successivamente, però, i ricercatori torinesi hanno precisato che il documento non era il risultato di uno studio, ma riguardava ipotesi e non prove di efficacia.
Dottore, a cosa serve la vitamina D?
La vitamina D è una vitamina liposolubile, ovvero fa parte delle vitamine che si sciolgono nei grassi. È naturalmente presente soprattutto nei pesci grassi (salmone, tonno, anguilla, sardine, pesce spada), nell’olio di fegato di merluzzo, nei tuorli d’uovo, nel fegato di manzo e in alcuni tipi di funghi. La vitamina D, però, piuttosto che dal cibo, viene in grande parte prodotta e accumulata dal nostro organismo attraverso l’esposizione ai raggi solari. Questa vitamina agisce aiutando il corpo ad assorbire il calcio dagli alimenti e per questo è utile nell’azione di calcificazione delle ossa. Le persone con poca vitamina D, infatti, rischiano di avere le ossa fragili, una condizione conosciuta come rachitismo nei bambini e osteomalacia negli adulti. Inoltre, la vitamina D contribuisce a mantenere nella norma i livelli di calcio e di fosforo nel sangue. Ricordate che la maggior parte delle persone riesce a ottenere i nutrienti necessari a partire dal cibo, dunque salvo in rare eccezioni non è necessario assumere la vitamina D attraverso gli integratori.
Quindi perché la vitamina D servirebbe contro la Covid-19?
Si è iniziato a parlare dei benefici che potrebbe avere la vitamina D sui pazienti con Covid-19 perché esistono dati a favore di un possibile effetto della vitamina D sullo sviluppo di infezioni respiratorie. Si tratterebbe, in particolare, di un’azione protettiva del colecalciferolo, la forma di vitamina D che viene prodotta dalla cute per esposizione al sole [3]. Si tratta, però, di un contributo preliminare: il passaggio dagli studi in vitro alle ricerche sperimentali è stato deludente nella grande maggioranza degli effetti extrascheletrici al di fuori del tessuto muscoloscheletrico del colecalciferolo.
Anche voci accademiche sostengono la causa della vitamina D nella lotta alla Covid-19. Alcune di queste sono basate su una supposta azione di stimolo sulla risposta immunitaria, ma i risultati dei trial clinici sono in realtà contrastanti. Altre, invece, sono basate su un suo ipotetico effetto antivirale [4] e su una generica azione protettiva sulle infezioni respiratorie [5]. L’ipotesi più recente, infine, è stata suggerita da un rappresentante dell’endocrinologia nazionale ed europea, che arriva ad attribuire alla carenza di vitamina D la più elevata mortalità da Covid-19 nell’Italia del Nord, soprattutto in Lombardia [6]. In questo caso occorre far attenzione a non scambiare l’effetto per la causa. Il fatto che i livelli nel sangue di una componente della vitamina D siano bassi nei ricoverati in condizioni critiche da varie cause è noto da tempo, ma l’orientamento attuale è di ritenere la carenza di vitamina D più come conseguenza della malattia e delle cattive condizioni del paziente che non causa della situazione compromessa [7].
Occorre ribadire ancora una volta come per tutte queste opinioni non sia assolutamente possibile parlare di evidenze, per cui al momento attuale la somministrazione di vitamina D per combattere un’infezione da SARS-CoV-2 o migliorarne l’evoluzione polmonare è da considerare non sostenuta da adeguate prove di efficacia.
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