La diffusione di Covid-19 è legata a quella della rete 5G?

17 Aprile 2020 di Giada Savini (Pensiero Scientifico Editore)

Continuano a diffondersi ormai da diverse settimane notizie a proposito di una presunta correlazione tra il nuovo coronavirus e la rete telefono-dati 5G. Potremmo rispondere molto sinteticamente a questa domanda rimandando a ciò che troviamo nella pagina del Ministero della Salute nella sezione dedicata alla Covid-19 e alla falsa informazione. “Non ci sono evidenze scientifiche che indichino una correlazione tra epidemia da nuovo coronavirus e rete 5G. Ad oggi, e dopo molte ricerche effettuate, nessun effetto negativo sulla salute è stato collegato in modo causale all’esposizione alle tecnologie wireless” [1].

Ma, per farsi un’idea, andiamo a vedere quali sono le principali teorie che muovono queste notizie. La prima sostiene che le reti 5G possano indebolire il sistema immunitario, rendendo quindi più a rischio le persone esposte alle onde radio dei ripetitori. La seconda afferma che le reti 5G possono facilitare la diffusione di batteri all’interno delle comunità. Entrambe le supposizioni sono false e mancano di studi scientifici che le confermino. Ciononostante, sono molti i personaggi pubblici ad aver condiviso o ritwittato le notizie false e ad aver preso sul serio la questione. Tra questi anche Gunter Pauli, ideatore della Blue Economy e tra i consiglieri economici del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte [2]. Il tweet di Pauli intendeva sottolineare che le Regioni maggiormente colpite dal virus fossero anche quelle con la distribuzione maggiore delle antenne 5G. Niente di più falso, poiché – almeno in Italia – le Regioni con la copertura più ampia sono Veneto, Umbria, Puglia e solo in parte Lombardia e Toscana. Tra queste ci sono quindi anche Regioni colpite solo marginalmente dal virus (con numeri straordinariamente inferiori rispetto alle province lombarde), eppure con una grande quantità di antenne. Nel mondo, l’Iran non ha ancora aderito a questa sperimentazione, eppure è stato gravemente colpito.

Tra le persone che sostengono una relazione causale tra tecnologia 5G e Covid-19 c’è anche un professore in pensione dell’università di Washington negli Stati Uniti, Martin Pall. Personaggio eccentrico, che ha concentrato i propri interessi di ricerca sugli argomenti preferiti della “cultura antiscientifica”: dalle cause della cosiddetta sindrome da fatica cronica a quelle dei ronzii all’orecchio (tinnito), fino agli effetti delle vitamine e degli integratori [3]. Come spesso accade in questi casi, il “famoso studioso” si rivela alla fine un commerciante: è lui che vende i propri prodotti, come spiega un articolo del quotidiano inglese The Guardian [4].

Cos’è il 5G?

Con il termine 5G si intende lo standard di quinta generazione delle comunicazioni per i sistemi radiomobili cellulari. Questa innovazione ha le potenzialità per cambiare sensibilmente la vita quotidiana, migliorando la qualità della comunicazione e la velocità di trasmissione minimizzando la potenza utilizzata. Questo si traduce in una maggiore velocità sia nel trasferimento di dati sia nella latenza (ovvero la risposta nell’instaurare la connessione), la quale consente applicazioni in tempo reale in ambito industriale e di controllo veicolare. L’obiettivo era quello di adottare lo standard in tutto il pianeta entro il 2020 (le sperimentazioni hanno interessato numerose aree geografiche, inclusi diversi comuni italiani). Ma i problemi logistici legati alla diffusione del nuovo coronavirus potrebbero rallentare quella della rete 5G. Anche gli effetti collaterali potrebbero giocare un ruolo importante, visto che nel Regno Unito nelle scorse settimane sono state attaccate – e incendiate – molte centraline o antenne della rete ultraveloce, esponendo a forti rischi la comunicazione in un momento di crisi internazionale [5].

Esistono studi scientifici che dimostrano che la rete 5G comporta dei danni alla salute?

Partiamo dalla teoria che collega il 5G alle difese immunitarie. Secondo diversi studi, i livelli di energia delle onde radio 5G sono molto bassi e non abbastanza forti da influenzare il sistema immunitario. Leggiamo cosa sostiene Simon Clarke, professore associato di microbiologia cellulare presso l’University of Reading: “Le onde radio coinvolte nel 5G si trovano all’estremità a bassa frequenza dello spettro elettromagnetico. Meno potenti della luce solare, non sono abbastanza potenti da danneggiare le cellule, a differenza delle radiazioni all’estremità di frequenza più alta dello spettro che include i raggi X e i raggi UV” [6]. Inoltre, “sarebbe anche impossibile per il 5G trasmettere il virus – aggiunge Adam Finn, dell’Università di Bristol – poiché l’attuale epidemia è causata da un virus che si trasmette tra esseri umani. (…) Virus e onde elettromagnetiche, che rendono possibile la comunicazione tra telefoni cellulari e Internet, funzionano diversamente. Gesso e formaggio sono diversi” [7].

Ormai da diversi anni l’uso di dispositivi tecnologici ha visto un incredibile aumento, ma i numerosi studi epidemiologici che sono stati condotti non hanno confermato un aumento di patologie correlate. Studi sull’interazione tra campi elettromagnetici e sistemi biologici sono in atto da diverse decine di anni ma gli eventuali effetti nocivi non sono stati ad oggi dimostrati (sulla base di 30.986 pubblicazioni scientifiche e 6.713 sintesi di singoli studi scientifici) [8].

Dottore, ma allora gli studi su cui si basano queste teorie da dove provengono?

I percorsi di ricerca su cui poggiano queste supposizioni sono principalmente due. Il primo viene dall’Istituto Ramazzini di Bologna e si basa su una sperimentazione del 2018 effettuata – come riportano i ricercatori – su “2.448 cavie esposte per 19 ore al giorno, dalla vita prenatale alla morte spontanea, a campi elettromagnetici a radiofrequenza, equivalenti alle emissioni ambientali di un ripetitore da 1.8 GHz” ma con risultati “non statisticamente significativi” come concludono gli stessi ricercatori [9]. Dovremmo quindi essere preoccupati per una maggiore esposizione ai campi elettromagnetici? No, poiché l’esposizione umana è solo in parte dovuta ai trasmettitori degli oggetti o delle stazioni base. Il livello di esposizione è soprattutto determinato dall’uso ravvicinato dei terminali personali (dagli smartphone) e dalla loro potenza. Il campo elettromagnetico cala esponenzialmente con la distanza, quindi già a uno o due metri il suo impatto è trascurabile rispetto al campo vicino.

La sperimentazione dell’Istituto Ramazzini si collega a un altro studio sui telefoni cellulari condotto dal programma di ricerca statunitense National Toxicologic Program (che tra l’altro non si basa né sul 4G né sul 5G ma tiene conto di tecnologie precedenti) che non ha evidenziato un incremento significativo delle patologie che si ritiene siano collegate [10].

L’altra ipotesi poggia invece su uno studio del 2011 effettuato da alcuni ricercatori della Northeastern University di Boston e dell’università di Perugia secondo la quale i batteri riuscirebbero a diffondersi meglio grazie a un solido supporto elettromagnetico (ma nel caso della Covid-19 parliamo di un virus, non di un batterio) [11]. I ricercatori concludono che le radiazioni elettromagnetiche possono influenzare alcune reazioni chimiche e non, come riportato in maniera distorta da alcuni, che il supporto elettromagnetico favorirebbe la proliferazione delle colonie batteriche. A questo proposito, rispolveriamo la differenza tra virus e batterio: il primo non riesce in alcun modo a sopravvivere (e quindi replicarsi) in un ambiente esterno. Ecco perché la sua resistenza al di fuori dell’organismo è estremamente bassa, nonostante alcuni virus respiratori riescano a sopravvivere a lungo. I batteri, invece, sono in grado di riprodursi autonomamente nell’ambiente in cui si trovano, su qualsiasi superficie.

Dobbiamo considerare che se normalmente occorrono dai sei agli otto mesi prima che una un’informazione falsa o fraudolenta si diffonda dai confini della Rete ai media più ascoltati, il tempo di diffusione di fake news in una situazione come quella che stiamo vivendo con la Covid-19 si riduce drasticamente diventando questione di settimane se non di pochi giorni [12]. Questo è dovuto soprattutto all’inquietudine che deriva dall’incertezza: ma una delle cose che dovremmo apprendere, da questa drammatica emergenza sanitaria, è la capacità di restare razionali in una situazione di incertezza e di conoscenza imperfetta.

Autore Giada Savini (Pensiero Scientifico Editore)

Giada Savini è Web content editor in ambito medico-scientifico. Dopo gli studi classici e dopo aver collaborato con Medici Senza Frontiere onlus, ha abbracciato la carriera editoriale. Collabora con Il Pensiero Scientifico Editore, dove si occupa di medicina, salute e scienza.
Tutti gli articoli di Giada Savini (Pensiero Scientifico Editore)

Bibliografia