La terapia del sale fa bene ai disturbi respiratori?

15 Maggio 2018 di Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Perché la terapia del sale possa essere considerata un trattamento efficace per alcune malattie respiratorie – in primo luogo per una malattia grave come la broncopneumopatia – servono studi rigorosi che diano risultati positivi ma anche chiari e indiscutibili. A oggi, non disponiamo di prove che questa presunta terapia possa migliorare la salute dei malati, né la loro qualità di vita.

Da cosa nasce l’idea di una “terapia del sale”?

Il sale rosa può guarire dai problemi respiratori?È difficile risalire all’origine della convinzione degli effetti benefici del sale che, come molti minerali, ha delle proprietà che evidentemente influiscono sulla fisiologia del corpo umano. Molti bambini – soprattutto delle generazioni nate nel Secondo dopoguerra – sono stati “portati al mare” col desiderio di farli riprendere da un inverno trascorso alle prese con infezioni virali ricorrenti: l’imperativo era quello di “respirare l’aria di mare”, anche – se non soprattutto – per la presenza del sale.

Quella che è stata codificata come una “vera e propria strategia terapeutica” prende le mosse da una pratica conosciuta come speleoterapia: all’interno di grotte di sale viene creato un clima naturale con delle caratteristiche uniche dovute a una temperatura dell’aria stabile, a elevata umidità dell’aria, alla presenza di minerali di sodio, potassio, magnesio e calcio e all’assenza di inquinanti e pollini nell’aria (Chervinskaya & Ziber, 1995).

La terapia del sale (che qualcuno chiama haloterapia) si basa su questa premessa e viene usata come un’alternativa per la speleoterapia (Chervinskaya, 2003). In sostanza, il trattamento consiste nell’inalazione di piccole particelle di sale in un ambiente controllato.

Quali prove abbiamo che questi trattamenti siano efficaci?

Non abbiamo prove che questi trattamenti siano utili alla salute delle persone. Dei ricercatori australiani sono andati a rileggere e a valutare la metodologia e i risultati di 151 ricerche che hanno considerato la “terapia del sale” nella cura della broncopneumopatia cronica ostruttiva (Rashleigh, 2014). Purtroppo le conclusioni sono sconfortanti: allo stato attuale non c’è ragione per sottoporsi a questo trattamento allo scopo di migliorare la funzionalità respiratoria.

È importante sottolineare che la qualità metodologica degli studi sulla haloterapia è molto modesta: spesso, i pazienti coinvolti nelle ricerche non sono assegnati al trattamento o alla terapia in modo “randomizzato”, per esempio.

Cosa vuol dire, non capisco…

Il sale dell'himalaya non viene prodotto in himalayaPer capire se un trattamento è utile occorre misurarne l’effetto su un gruppo di persone (una “popolazione”) mettendolo a confronto con l’effetto su un altro gruppo di persone (il cosiddetto “gruppo di controllo”) che abbia caratteristiche analoghe per età, genere, stato di salute, livello di istruzione e così via. Perché i risultati della sperimentazione siano credibili, le persone assegnate al trattamento e quelle assegnate al gruppo di controllo devono essere scelte a caso: la selezione deve essere “randomizzata”, da random, termine che in inglese significa casuale. Ebbene, gli studi sulla “terapia del sale” reperiti nelle banche dati bibliografiche dai ricercatori australiani non avevano le caratteristiche minime di qualità per renderli credibili. In poche parole, erano fatti male.

D’accordo, non abbiamo prove inconfutabili che sia efficace: ma perché non provare?

Non possiamo dimenticare che la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una malattia cronica progressiva con sintomi molto gravosi per la persona che ne soffre: dispnea, aumento della frequenza respiratoria, aumentata produzione di muco e ridotta sopportazione dell’esercizio fisico. I dati elaborati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità inseriscono la BPCO tra le maggiori cause di disabilità (OMS, 2018). L’impatto di questa malattia sulle persone, sulla qualità della vita delle famiglie e sulla spesa sanitaria associata la rendono una priorità di salute pubblica alla quale occorre dare risposte credibili, reali, basate sulle evidenze della ricerca.

Cosa sappiamo delle lampade di sale? Queste, almeno, servono?

Servono a chi le vende, perché dalla bufala del sale (soprattutto del “famoso” sale rosa dell’Himalaya) si è sviluppato un bel giro d’affari. Lo racconta in maniera spiritosa il chimico Dario Bressanini, in un post pubblicato sul blog da lui curato per Le Scienze: “Gli articoli scientifici che ne parlano invece mostrano come questo sale sia sostanzialmente equivalente a del normale sale da cucina sporco di ruggine, e quindi non possa avere nessuna delle varie millantate proprietà, con in più tracce di elementi, come cadmio e nickel, di cui possiamo fare volentieri a meno”.

Sempre a proposito di sale, chi fosse interessato potrebbe leggere la nota pubblicata sul sito BUTAC (Bufale un tanto al chilo) che analizza punto per punto gli argomenti a favore delle presunte proprietà del sale dell’Himalaya. Che, a proposito, è prodotto in Pakistan, che con la “vetta del mondo” c’entra poco o nulla… (BUTAC, 2018).

Autore Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Rebecca De Fiore ha conseguito un master in Giornalismo presso la Scuola Holden di Torino. Dal 2017 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per riviste online e cartacee di informazione scientifica. Fa parte della redazione del progetto Forward sull’innovazione in sanità e collabora ad alcuni dei progetti istituzionali con il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.
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