La fibrillazione atriale può essere diagnosticata da una app?

10 Settembre 2019 di Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Che la fibrillazione atriale rappresenti un problema importante per la salute della popolazione è confermato dai numeri: sembra che negli Stati Uniti ne soffrano tra i 2,7 e i 6,1 milioni di persone [1]. Un dato indubbiamente allarmante. Colpisce, però, l’indeterminatezza delle cifre: la seconda è più del doppio della prima, così che la domanda sulla disponibilità della app per la diagnosi deve necessariamente essere preceduta da un altro interrogativo.

Smart watch fibrillazioneQual è la reale diffusione di questa malattia? “Studi pubblicati una quindicina di anni fa riportavano una prevalenza nella popolazione generale dello 0,5-1%”, scrive Massimo Zoni Berisso, responsabile della Struttura cardiologica semplice della ASL3 genovese, sul sito dell’Associazione italiana di aritmologia e cardiostimolazione (AIAC) [2]. “Tuttavia in base ai numeri dei ricoveri ospedalieri e di visite specialistiche per fibrillazione atriale riportate nella letteratura più recente, l’impressione era che la prevalenza della fibrillazione atriale fosse sicuramente maggiore di quanto riportato solo un decennio fa.” Una survey condotta dall’AIAC ha rilevato che su un totale di 295.906 pazienti italiani, 6.036 avevano una diagnosi di fibrillazione atriale pari quindi al 2,04%. “Proiettando questa cruda percentuale di frequenza all’intera popolazione italiana con età maggiore o uguale a 15 anni – sostiene Zoni Berisso – abbiamo calcolato una prevalenza della fibrillazione atriale in Italia dell’1,85%.

Dunque il doppio di quanto prima riportato.” Pertanto, ci troviamo di fronte a una patologia frequente che, forse, viene spesso non diagnosticata.

La fibrillazione atriale è una malattia pericolosa?

La presenza di fibrillazione atriale è associata a un aumentato rischio di ictus, scompenso cardiaco e morte [3]. In effetti, recenti rilevazioni indicano che la fibrillazione atriale è associata a un terzo di tutti gli ictus ischemici [4]. Le terapie farmacologiche per la FA sono efficaci ma un numero elevato di ictus si verifica in persone che non hanno in precedenza avuto sintomi così che proprio questi episodi gravi e acuti sono la prima manifestazione della malattia [5].

Davvero esiste una app che può dirmi se soffro di fibrillazione atriale?

Uno studio controllato randomizzato pubblicato nel 2016 sul Journal of American Heart Association, la rivista dell’associazione statunitense di cardiologia, [6] ha valutato le prestazioni diagnostiche di una app per smartphone che utilizzava la fotocamera e il flash dello smartphone per ottenere una registrazione fotopletismografica dell’onda del polso [7]. È il principio alla base di numerose e ormai diffuse app utilizzate per misurare la frequenza cardiaca, per esempio per monitorare l’esercizio fisico e la forma fisica.

In questo caso il passaggio aggiuntivo – spiega il commento del cardiologo Ben Friedman del Charles Perkins Centre di Sydney [3] – “è un algoritmo per analizzare la regolarità delle onde del polso e diagnosticare la fibrillazione atriale.” Sfortunatamente, tutti questi dispositivi sono soggetti a interferenze o a eventi esterni – basti pensare al movimento di mani, dita e braccia o all’interferenza con dispositivi vicini – che sono difficili da neutralizzare. Alcuni algoritmi tentano di compensare, ma un segnale privo di rumore è fondamentale per fornire un’accuratezza diagnostica ottimale, indipendentemente dal dispositivo o dalla tecnologia utilizzata.

Nello studio di cui prima si diceva [6] è stata valutata la sensibilità e la specificità di una app per diagnosticare la fibrillazione atriale.

Cosa si intende con sensibilità e specificità di una procedura diagnostica?

Più un esame è sensibile, più è capace di identificare le persone che realmente presentano la malattia: la percentuale che rappresenta la sensibilità corrisponde alla proporzione di soggetti realmente ammalati identificati come tali dal test. Come spiega il sito Saperidoc, “la sensibilità è importante quando l’obiettivo è quello di non farsi sfuggire i casi di malattia, come nel caso di malattie gravi rapidamente evolutive, in cui un intervento tempestivo può essere cruciale. Se un test molto sensibile risulta negativo, si può ragionevolmente ritenere che la malattia non c’è e non occorre generalmente procedere con ulteriori esami” [7].

Invece, un esame è tanto più specifico quanto maggiore è la sua capacità di identificare i soggetti che non presentano la malattia e corrisponde alla proporzione di soggetti realmente sani che sono identificati come tali dal test. “La specificità è importante quando è necessario essere sicuri della diagnosi fatta, come nel caso di una diagnosi che indichi un intervento di chirurgia demolitiva. Se un test molto specifico risulta positivo, si può ragionevolmente ritenere che la malattia è presente e si può generalmente procedere con i trattamenti previsti” [8].

Tornando allo studio di Pak-Hei Chan e dei suoi collaboratori [6], i risultati hanno indicato una sensibilità del 92,9% e una specificità del 97,7% per la diagnosi di fibrillazione atriale, che sarebbe adeguata per l’utilizzo dell’app per smartphone per lo screening. Bisogna però considerare che studi come questo sono supervisionati da personale sanitario molto qualificato, che guida le persone partecipanti in maniera tale da garantire registrazioni di alta qualità. Questo non sarebbe necessariamente il caso se l’app fosse ampiamente utilizzata nella comunità.

Sono stati condotti altri studi per valutare l’utilità delle app?

Certamente. È un campo in grande espansione sia per la crescente diffusione delle app, sia per gli interessi economici che sottostanno all’industria delle telecomunicazioni. È stato avviato uno studio di proporzioni enormi: si chiama Apple Heart Study ed è, ovviamente, sponsorizzato dalla Apple [9]. È uno studio pragmatico a braccio singolo prospettico: attenzione, ciò vuol dire che non prevede un gruppo di controllo e le persone “esposte” all’intervento (l’uso dell’app per monitorare il ritmo cardiaco) non sono confrontate con persone paragonabili che non la usano. Lo studio ha arruolato 419.093 partecipanti. L’obiettivo principale è misurare la percentuale di partecipanti con un ritmo irregolare rilevato dallo Apple Watch che vedano confermata la diagnosi di fibrillazione atriale al successivo controllo elettrocardiografico ambulatoriale. Lo studio è condotto virtualmente, con screening, consenso e raccolta dati eseguiti elettronicamente all’interno di una app per smartphone. Le visite di controllo vengono eseguite dai medici dello studio di telemedicina tramite chat video integrate nella app e le patch per la rilevazione ambulatoriale del ritmo vengono inviate ai partecipanti.

Tutti gli studi finora condotti concludono raccomandando la personalizzazione dell’eventuale prescrizione terapeutica al paziente al quale venga diagnosticata la fibrillazione atriale. Ma, in generale, secondo alcuni esperti questa linea di ricerca non è esente da rischi.

Quali possono essere, allora, i “rischi” di ricorrere alle app per lo screening di questo tipo di condizione?

Non si può negare che sia ragionevole pensare a migliorare la prevenzione dell’ictus utilizzando anche lo smartphone. Come è ragionevole anche permettere ai cittadini di avere un controllo sui propri dati di salute e una loro valutazione clinica. “Ma ancora una volta” spiega l’aritmologo John Mandrola [10] “c’è il rischio che gli elettrocardiogrammi ottenuti in questo modo possano distrarre sia i pazienti che i medici. Conosciamo già quali possano essere i modi efficaci per prevenire l’ictus. In uno studio su oltre 11.000 pazienti ad alto rischio, un gruppo di ricercatori svedese ha osservato un rischio di ictus inferiore del 72% nelle persone che seguivano un’alimentazione sana, si muovevano, mantenevano un peso corporeo normale, bevevano quantità di alcol basse o moderate e non fumavano [11]. Capisco che non sia un consiglio molto… sexy, ma non c’è nulla di meglio per prevenire l’ictus che seguire uno stile di vita salutare.”

Il pericolo è dunque quello di incorrere in quella che viene definita sovradiagnosi: vale a dire, la diagnosi di una condizione che in assenza di esami sarebbe rimasta silenziosa – e, beninteso, non avrebbe dato conseguenze – lungo l’intero corso della vita di una persona. Purtroppo, vuoi per il progresso della tecnologia, vuoi per un culto del benessere talvolta eccessivo, si corre il rischio di medicalizzare la vita quotidiana: il monitoraggio continuo attraverso i dispositivi che indossiamo può favorire questa corsa alla medicalizzazione senza apportare reali vantaggi alla nostra salute.

Autore Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Rebecca De Fiore ha conseguito un master in Giornalismo presso la Scuola Holden di Torino. Dal 2017 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per riviste online e cartacee di informazione scientifica. Fa parte della redazione del progetto Forward sull’innovazione in sanità e collabora ad alcuni dei progetti istituzionali con il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.
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