In primo luogo chiariamo di cosa stiamo parlando. “Cannabis” è un termine molto generale, usato nel linguaggio comune per indicare un insieme di sostanze derivate da piante e tinture appartenenti al genere cannabis. Il principale composto chimico capace di alterare l’attività mentale (per questo si usa il termine psicoattivo) in tutti i prodotti della cannabis è il Δ9-tetraidrocannabinolo (THC). La cannabis è una delle sostanze “ricreative” più utilizzate nei Paesi europei, in Nord America e Australia, dove l’uso riferito nel 2015 era rispettivamente del 5,7%, 7,5% e 10% (Amato 2017). Il termine “ricreativo” è mutuato dall’inglese poiché il ricorso a questo tipo di sostanze è definito “recreational drug use”.
Per rispondere alla domanda sarebbe importante “vedere se si può mettere ordine in una situazione complicata, perché oggi abbiamo l’impiego di prodotti non ben caratterizzati”, spiega il farmacologo Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri. “Accanto ai principi attivi che conosciamo ci sono tantissimi altri tipi di sostanze sulla cui efficacia non sappiamo nulla. È un po’ il problema principale dei prodotti che ora girano anche nelle farmacie. Si dovrebbero estrarre solo principi attivi per evitare di somministrare altro e fare studi clinici controllati.”
È stata studiata l’efficacia e la sicurezza della cannabis nella sclerosi multipla?
Diversi studi hanno valutato l’utilità della cannabis nella gestione di alcuni sintomi sofferti dai pazienti affetti da sclerosi multipla. Diversi di questi studi hanno trovato spazio su riviste importanti e autorevoli (Zajicek 2003, Svendsen 2004).
Recentemente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incaricato un gruppo di ricercatori italiani di svolgere una sintesi dei risultati degli studi condotti fino a oggi. È stata dunque preparata una revisione sistematica che ha valutato la qualità delle ricerche condotte e pubblicate e, successivamente, ha illustrato cosa sappiamo a oggi dell’efficacia della cannabis per sostenere il paziente con sclerosi multipla. La revisione sistematica è uno “studio degli studi esistenti” ed è stata preparata dall’Alcohol and Drug Group della Cochrane, una rete internazionale di ricercatori (Amato, 2017).
È uno studio importante perché la sclerosi multipla è una malattia degenerativa cronica del sistema nervoso centrale che colpisce circa 500.000 pazienti in Europa e più di 2,3 milioni nel mondo. Come spiega lo studio di Laura Amato e dei suoi collaboratori, “la malattia è caratterizzata da una vasta gamma di segni e sintomi e la spasticità è uno dei sintomi più comuni che colpisce più dell’80% dei pazienti durante il corso della malattia”. L’efficacia e la tollerabilità dei farmaci più comunemente usati in questi pazienti sono limitate. Un altro sintomo importante della sclerosi multipla è il dolore. Il numero di persone affette dalla malattia che soffrono di dolore è elevato, con stime che variano notevolmente a seconda delle rilevazioni. Le terapie del dolore disponibili non sono in grado di gestire al meglio il dolore nella sclerosi multipla e gli estratti di cannabis possono rappresentare un’opzione interessante.
Dottore, allora la cannabis riduce la spasticità e il dolore?
Gli studi di buona qualità metodologica finora svolti – e per queste caratteristiche inclusi nella revisione sistematica – hanno coinvolto un totale di 2.431 pazienti. Nove studi testavano il Sativex (composto estratto dalla pianta di cannabis e contenente Δ9-tetraidrocannabidiolo, THC, e cannabidiolo, CBD), altri cinque l’estratto di cannabis sativa in capsule di gelatina e uno le sigarette di cannabis. Tutti gli studi utilizzavano il placebo come gruppo di controllo: in altre parole, per valutare efficacia e sicurezza a un gruppo di persone veniva somministrato “l’intervento” (derivati della cannabis) e a un altro gruppo di persone era data una sostanza inerte priva di un principio attivo al proprio interno.
Se guardiamo all’effetto sulla spasticità, i risultati variavano a seconda delle scale utilizzate per misurare questo esito. I risultati degli studi che utilizzavano la scala Ashworth (5 sperimentazioni controllate randomizzate svolte in parallelo, per un totale di 1.216 pazienti coinvolti negli studi) non mostravano alcuna differenza tra cannabis e placebo. Alcuni studi utilizzavano la Numerical Rating Scale (una scala di valutazione basata su numeri: “Se 0 significa nessun dolore e 10 il peggiore dolore possibile, qual è il dolore che prova ora?”). Ebbene, in questi studi il risultato era in favore della cannabis. Il livello di rigore metodologico era buono per entrambi i confronti.
Sempre rispetto al placebo, la cannabis non sembra invece migliorare la qualità del sonno misurata con la scala NRS.
Alcune delle ricerche considerate misuravano gli effetti affidandosi semplicemente al giudizio del paziente espresso verbalmente, senza ricorrere a “scale” che sono solitamente in grado di dare risposte più affidabili. Ebbene, stante a questo resoconto “narrativo” la cannabis è più efficace del placebo.
Dottore, può spiegarmi meglio questa storia delle “scale”?
Come sa chi frequenta il sito Dottore ma è vero che, negli ultimi decenni la medicina ha fatto un grande lavoro per migliorare la qualità delle conoscenze su cui basare le decisioni che riguardano la strategia diagnostica e la terapia. Quella che è chiamata la medicina basata sulle prove raccomanda che la ricerca fornisca evidenze quanto più possibile “oggettive” ed è quindi cresciuto il bisogno di quantificare con scale e punteggi i risultati del trattamento. Scale affidabili e sensibili sono strumenti di valutazione oggettivi e validati per la misurazione di possibili cambiamenti a seguito di trattamenti riabilitativi.
Quindi, dottore?
Come abbiamo detto, il ruolo dei cannabinoidi nella gestione di sintomi della sclerosi multipla è stato studiato e continua a essere approfondito. È un ambito di ricerca importante anche per la mancanza di risposte concrete alla domanda di cura dei pazienti (Zajicek, 2011).
Per dare risposte prive di incertezza circa l’efficacia e la sicurezza della cannabis come terapia di supporto nella gestione della sclerosi multipla sono necessari ulteriori studi, che coinvolgano un numero di pazienti più ampio. Queste ricerche dovrebbero anche ricorrere agli stessi sistemi di misurazione degli esiti così che i risultati possano essere successivamente confrontabili.
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