Il nuovo coronavirus è stato prodotto in laboratorio come arma biologica?

4 Febbraio 2020 di Roberta Villa
guerra coronavirus

Il coronavirus come arma: che cosa c’è di vero?

Tra la fine di dicembre 2019 e i primi di gennaio 2020 è comparso nella città di Wuhan, in Cina, un nuovo virus, capace di provocare gravi polmoniti, in alcuni casi mortali. L’agente è stato inizialmente definito “misterioso” e, come spesso accade in questi casi, si sono subito sparse voci sulla sua possibile origine. La reazione non è nuova: anche in occasione di precedenti epidemie qualcuno aveva messo in dubbio che i nuovi virus potessero essere emersi spontaneamente.
L’ipotesi complottistica stavolta partiva però da un dato obiettivo: proprio nella città di Wuhan esiste un laboratorio di massima sicurezza per lo studio degli agenti patogeni più pericolosi, il National Bio-Safety Laboratory, prima struttura nella Cina continentale che dal 2017 è autorizzata a trattare microrganismi come il virus di Ebola. Un articolo uscito su Nature [1] in occasione della sua apertura avanzava perplessità sulla capacità del sistema cinese di garantire la sicurezza di un centro certificato come BLS-4, il massimo esistente. Vi si diceva che i timori erano supportati da testimonianze di precedenti episodi secondo cui il virus della SARS, che si può trattare a un livello di sicurezza appena inferiore, in passato sarebbe riuscito a sfuggire da altri centri a Pechino, per fortuna senza conseguenze.
Non abbiamo però nessuna prova, a dire il vero nemmeno un indizio, che il nuovo virus sia stato prodotto in laboratorio. Anzi, come precisa la redazione di Nature in una nota aggiunta in testa al vecchio articolo, in nessun modo questo suggerirebbe l’origine “umana” del virus. Dalle sue caratteristiche si può invece dedurre che ha acquisito la capacità di passare agli esseri umani e trasmettersi dall’uno all’altro in natura, a partire da un coronavirus che infetta i pipistrelli, con cui condivide più del 90% del genoma [2,3]. Probabilmente un altro animale ha fatto da ospite intermedio, ma al momento in cui si scrive non ci sono ancora certezze su quale possa essere stato. Anche l’ipotesi che possa essere stato coinvolto un serpente è stata messa in dubbio dagli esperti [4,5].

Perché crediamo a questa teoria sul coronavirus?

La tendenza ad attribuire alla volontà malevola degli esseri umani un fenomeno naturale, o comunque a cercare un colpevole per una catastrofe o un’epidemia, è antica come il mondo. Lo racconta la storia della medicina, ma anche la letteratura, basti pensare alla caccia agli untori descritti da Alessandro Manzoni ne “I Promessi Sposi”.
Davanti a un evento che spaventa, infatti, trovare un colpevole aiuta a convogliare la paura in rabbia. Pensare che l’epidemia sia stata innescata da un errore di laboratorio, o addirittura dalla volontà di spargere un virus per poi fornire un vaccino e lucrarci su, come altri hanno ipotizzato, serve anche a evitare un fenomeno chiamato “dissonanza cognitiva”, cioè la coesistenza di credenze in contrasto tra loro.
Nella nostra cultura è molto forte il mito della natura vista come madre benigna, per cui per definizione ciò che è naturale è ritenuto sano e sicuro. In questo contesto ideologico per alcuni credere alla possibilità che la natura stessa provochi morti o, in altri casi, distruzione, non è ammissibile. L’ipotesi che dietro a un disastro naturale ci sia la mano dell’uomo risolve questa contraddizione.
Infine non può essere trascurato il ruolo svolto da alcune testate giornalistiche nell’alimentare queste teorie, rilanciandole continuamente.

Perché invece non dovremmo crederci?

È vero che nei progetti di ricerca del laboratorio erano previsti studi sulla SARS, provocata da un coronavirus per alcuni versi simile a quello attuale, con cui condivide quasi l’80 per cento del materiale genetico. Nessuno tuttavia sceglierebbe come arma biologica un germe che non distingue tra amici e nemici e contro cui non è possibile armare i propri cittadini e militari con un vaccino.

Al contrario è ben dimostrato il fenomeno dello “spillover” [6], cioè il passaggio di un virus da un animale a un uomo, dovuto a mutazioni e ricombinazioni che talvolta gli conferiscono anche la capacità di trasmettersi in maniera autonoma tra le persone, senza più dover ricorrere all’intervento degli animali. Sappiamo inoltre che questo processo si è verificato anche in contesti come le regioni più remote dell’Africa dove non esistono laboratori di biosicurezza. Lo stesso virus della SARS, a cui il nuovo coronavirus assomiglia tanto, è emerso dai pipistrelli in Cina, quando non esistevano nel grande Paese asiatico centri di ricerca così avanzati.

Più di tutto, infine, davanti a dubbi di questo tipo, è sempre bene affidarsi al cosiddetto “rasoio di Occam”, un principio alla base del metodo scientifico, secondo cui, tra varie ipotesi, conviene scegliere la più semplice, che di solito è anche la più probabile. C’è ancora molto da scoprire e da capire riguardo al nuovo coronavirus, ma nulla fa pensare che si debba dubitare che sia un virus “naturale” [7].

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Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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