“Pulire il fegato mediante un lavaggio epatico è semplice e arreca numerosi benefici alla tua salute”: è questo il claim che apre una delle numerosissime pagine web che descrivono il metodo Moritz-Clark, meglio noto come lavaggio epatico. Queste pagine indicano un malfunzionamento del fegato come possibile causa di molti disturbi, tra cui: mancanza d’appetito, vertigini e svenimenti, disturbi mestruali e della menopausa, occhi gonfi, problemi cutanei, intorpidimenti delle gambe, e insonnia [1]. Tutti sintomi per cui il cosiddetto lavaggio epatico viene proposto come soluzione.
Il lavaggio epatico consiste in un protocollo alimentare della durata di qualche giorno in grado di ripulire il fegato dalle scorie che questo trattiene al suo interno. Tuttavia, nonostante l’evidente notorietà di questo rimedio terapeutico, non esistono evidenze scientifiche che ne dimostrino l’efficacia. Al contrario, secondo alcune studi il metodo Moritz-Clark si baserebbe su un assunto semplicemente sbagliato.
In cosa consiste la tecnica del lavaggio epatico?
L’idea del lavaggio epatico nasce dalle teorie dell’insegnante di ayurveda, shiatsu, iridologia e medicina vibrazionale Andreas Moritz e della biologa naturopata Hulda Regehr Clark, nota per le sue opinioni sull’origine dei tumori, riportate in diversi saggi dai titoli altisonanti come “La cura di tutti i cancri avanzati” e “Prevenzione di tutti i cancri”.
In sintesi, il lavaggio epatico consiste in una procedura della durata di circa due o più giorni, dopo una settimana di preparazione assumendo succo di mela e osservando alcune regole alimentari. Il lavaggio vero e proprio consiste nell’assumere quasi esclusivamente sale epsom, anche noto come sale inglese o sale amaro (chimicamente è magnesio solfato eptaidrato), olio extra vergine d’oliva spremuto a freddo ed estratti di pompelmo o di arancia.
Questa particolare dieta, unita a qualche ora di riposo (rigorosamente a pancia in su, con la testa leggermente rialzata), avrebbe la capacità di favorire l’espulsione, attraverso le successive defecazioni, di “un gran numero di calcoli biliari, distinguibili dal colore verde e dal fatto che galleggiano mentre tutto il resto affonda” [1].
Ripetuto a distanza di 2-3 settimane, il protocollo garantirebbe – secondo i suoi promotori – una “completa pulizia del fegato” e sensibili benefici per chi vi si sottopone. Infatti, in una delle pagine web che trattano l’argomento (oltre a pubblicizzare l’acquistare del sale epsom necessario per la procedura e dei libri di Andreas Moritz e di Hulda Regehr Clark) si legge addirittura che “un calo della funzionalità epatica non viene quasi mai rilevato dagli esami del sangue, ma da esso derivano quasi tutti i problemi di salute, di bellezza e di invecchiamento precoce” [1].
Ma come spiega Maurizio Koch, primario emerito dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma e coordinatore del Club for Evidence Based Gastroenterology & Hepatology, “il fegato ha una massa di circa 1,4 kg. Questo organo è in grado di svolgere le sue complesse attività fino a un crollo di circa la metà del suo volume. Il fegato ha la funzione di favorire l’assorbimento del cibo, di costruire proteine e fattori della coagulazione, e di accumulare energia, vitamine e ferro. I soli test del fegato utili sono le transaminasi, la fosfatasi alcalina e la bilirubina. Un marcatore globale della funzione epatica non esiste nell’uso comune. La definizione di calo della funzione epatica in assenza di alterazione dei test citati è errata”.
Ma questa tecnica funziona davvero?
Come spesso accadde per le pratiche presentate come naturali e risolutive per un ampio panorama di condizioni patologiche, anche per il lavaggio epatico non esistono evidenze che ne dimostrino una reale utilità. Con un caso clinico presentato nel 2005 sulla rivista The Lancet, due ricercatori neozelandesi hanno dimostrato che le piccole palline di materiale verde espulse attraverso la defecazione dopo il trattamento – presentate spesso come evidenza dell’efficacia del metodo – non sono affatto calcoli biliari (i quali, tra l’altro, si formano nella cistifellea e non nel fegato).
Infatti, queste palline si svilupperebbero per effetto della saponificazione dell’olio d’oliva da parte dell’acido citrico presente nel succo di pompelmo o di arancia assunto in aggiunta al sale di epsom. “Abbiamo dimostrato” si legge nella conclusione dell’articolo neozelandese “che questi regimi utili a espellere i calcoli biliari sono in realtà dei miti e che le affermazioni fatte in merito sono fuorvianti”.
Dunque si tratterebbe di una bufala. “Il fegato è un’officina biochimica complessa e sofisticata dell’organismo, i cui processi biologici sfuggono in gran parte alle semplificazioni necessarie al pubblico per capirne le funzioni. Pertanto esso è da sempre l’obiettivo di ciarlatani che pretendono invece di semplificarne i meccanismi per proporre diete e terapie prive di fondamento scientifico e spesso prive di comune buon senso” spiega Mario Rizzetto, professore emerito dell’Università degli studi di Torino, premiato con l’Hans Popper Prize per l’epatologia.
“Il lavaggio epatico secondo Moritz Clark è una di queste: pretende di ripulire il fegato di calcoli e incrostazioni quasi che l’organo arrugginisse nel tempo. Non v’è nessun fondamento scientifico alla conclusione che il lavaggio abbia un effetto purificatore; che esso espella calcoli e incrostazioni biliari (peraltro prima inesistenti a ogni riscontro clinico o strumentale della cistifellea), è una truffa in quanto tali formazioni non sono l’esito di un effetto depurativo del lavaggio ma una sua conseguenza” commenta l’epatologo, ribadendo che “all’analisi chimica, i cosiddetti calcoli biliari sono risultati essere ammassi di acidi grassi amorfi (non di colesterolo cristallino come i veri calcoli biliari) derivati dall’olio d’oliva digerito dalle lipasi gastrointestinali e saponificato in presenza del succo di limone o di pompelmo assunto nel protocollo ‘depurativo’”.
Sottoporsi a un lavaggio epatico può essere pericoloso?
In effetti sì. Nel 2012 è stato pubblicato dalla rivista Forensic Science International il caso di un uomo di 50 anni che, dopo essersi sottoposto a un lavaggio epatico, è andato incontro a una grave intossicazione da manganese per aver ingerito una dose eccessiva di sale di epsom. Presentatosi in ospedale con letargia, dolore addominale diffuso, vomito e forte diarrea, il soggetto in questione è stato intubato e sottoposto a trattamenti intensivi. Tuttavia, questi trattamenti non sono risultati sufficienti per arrestare il crollo degli organi interni e il paziente è deceduto in meno di 72 ore [3].
“Occorre aggiungere” precisa Maurizio Koch “che il solfato di magnesio è un lassativo da utilizzare solo occasionalmente e sotto prescrizione medica. Gli effetti collaterali possono essere severi e potenzialmente mortali. Il lassativo non deve essere utilizzato se sono comparsi mal di stomaco, nausea o vomito, perforazione intestinale od ostruzione intestinale, colite o alterazione improvvisa delle abitudini intestinali nelle due settimane precedenti [4]. Sono stati segnalati effetti collaterali come confusione, vertigini, battito cardiaco accelerato, lento o irregolare, calo della pressione sanguigna, sonnolenza, diarrea severa. Il lassativo può infatti indurre aumento nel sangue dei livelli di magnesio e del calcio con spasmi muscolari, depressione della respirazione, e arresto cardiaco.”
Argomenti correlati:
AlimentazioneDieteMedicina