Il cibo industriale è più sicuro per i bambini?

21 Agosto 2018 di Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Per rispondere a una domanda così delicata chiediamo aiuto a Mauro Destino, specialista in Scienza dell’alimentazione, e a Federico Marolla, pediatra di famiglia che svolge attività di formazione all’interno dell’Associazione culturale pediatri. In sintesi, che il cibo industriale che si acquista al supermercato sia migliore per i nostri figli è un luogo comune.

Perché sarebbe un luogo comune?

Il cibo industriale è più sicuro per i bambiniPer accorgersene basta ascoltare i telegiornali o leggere i quotidiani: periodicamente, nonostante i controlli siano accurati e capillari, sappiamo di seque­stri o anomalie. “Un recente studio italiano ha riscontrato nel 27% dei cam­pioni di omogeneizzati di carne una micotossina tossica con effetti ormonali (simil-estrogenici), lo zearalenone, prodotta da muffe presenti nelle granaglie usate per l’alimentazione degli animali” [1].

D’accordo, ma quali certezze abbiamo riguardo al cibo acquistato al mercato?

“Non è detto che il cibo che compriamo al mercato o al dettaglio sia sempre il più sano, ma abbiamo almeno la possibilità di controllare noi stessi cosa andiamo a comprare e, oggi sempre più facilmente, qual è il luogo di produzione; come è avvenuta la coltivazione o l’allevamento, come la raccolta e la lavorazione, quale la certificazione di controllo.”

Cosa sappiamo della sicurezza dei cibi che diamo ai nostri bambini, rispetto all’inquinamento ambientale?

Il cibo industriale è più sicuro per i bambiniAnche di questo, Destino e Marolla hanno parlato in un libro da loro curato [2]. “Non è sbaglia­to chiedersi se, per produrre e distribuire il cibo che diamo ai nostri figli, l’industria abbia determinato un livello di inquinamento ambientale – in termini di materie prime consumate, petrolio bruciato, rilascio di sostan­ze tossiche nell’ambiente, accumulo di rifiuti non riciclabili – che possa ripercuotersi sugli stessi nostri figli. Siamo infatti oramai tutti consape­voli che i processi industriali debbano assolutamente tendere all’impatto zero, sia in termini di sfruttamento delle risorse ambientali che di rilascio nell’ambiente di sostanze tossiche durante tutto il processo di lavorazio­ne e di smaltimento; non è accettabile che, mentre diamo ai nostri figli cibi lavorati, conservati e controllati, contemporaneamente favoriamo un peggioramento dell’ambiente in cui dovranno vivere loro con i loro figli.

Una produzione che tenda al chilometro zero, all’uso di prodotti non tossici per le colture e per il bestiame e alla sostenibilità ambientale deve essere valutata nella scelta del cibo da parte del genitore consumatore.”

Quindi?

“Meglio andare al mercato o al supermercato, scegliere bene frut­ta, verdura, cereali, legumi, pesce, carne, uova e quello che volete voi, leg­gendo le etichette dei prodotti o chiedendone la provenienza, e se il cibo bio ci darà le giuste garanzie sarà sicuramente da preferire. Dobbiamo essere consapevoli che il nostro stile di consumo è in grado di indurre dei cambiamenti nell’industria che, ovviamente, per poter vendere i propri prodotti, deve venire incontro alle richieste dei consumatori.”

È vero che i bambini sono più vulnerabili?

Il cibo industriale è più sicuro per i bambini“Certamente – risponde Giacomo Toffol, medico e animatore del gruppo dei Pediatri per un mondo possibile. [3] “Nei primi anni di vita, a parità di unità di peso i bambini mangiano cinque volte, bevono quattro volte e respirano due volte in più rispetto agli adulti. L’assorbimento è perciò molto maggiore. Ecco perché a nostro parere i limiti e le soglie dei vari inquinanti dovrebbero essere tarati sui bambini e non sugli adulti.”

Autore Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Rebecca De Fiore ha conseguito un master in Giornalismo presso la Scuola Holden di Torino. Dal 2017 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per riviste online e cartacee di informazione scientifica. Fa parte della redazione del progetto Forward sull’innovazione in sanità e collabora ad alcuni dei progetti istituzionali con il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.
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