I probiotici fanno bene?

17 Settembre 2018 di Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

“Nessun uomo è un’isola”. Con queste parole iniziava l’editoriale di apertura di un numero dell’importante rivista Science nel 2016 quasi interamente dedicato al microbioma (Ash & Mueller 2016). “Tutti gli organismi esistono all’interno di un insieme di microrganismi” e, sebbene alcuni di questi possano rappresentare un pericolo, la maggior parte è funzionale – anzi: essenziale – alla vita. Le ricerche condotte negli ultimi anni stanno poco a poco facendo venire alla luce le relazioni tra il microbioma e la risposta immunitaria.

A che punto è la ricerca sui probiotici?

I probiotici sono utili per curare quali disturbi?Conviene essere sinceri: siamo ancora lontani dall’aver chiarito esattamente come interagiamo col nostro microbioma, con l’insieme dei microrganismi che ospitiamo nel nostro corpo. Nonostante la situazione di grande incertezza, siamo bombardati dalle pubblicità di nuovi prodotti, alcuni dei quali in commercio da anni senza che ne siano state provate le proprietà salutari. Ci stiamo avvicinando alla definizione di nuove conoscenze che potrebbero contribuire a una migliore salute, soprattutto di chi soffre di alcune specifiche patologie o è debilitato dall’assunzione di particolari medicinali, ma quello che sappiamo con certezza è che i claim promozionali dell’industria sono esagerati, e che quest’ultima è in difficoltà nello sviluppare protocolli rigorosi di valutazione che possano tornare utili all’interno dei percorsi regolatori delle autorità che approvano i prodotti biomedicali (Ash & Mueller 2016). Il mercato dei probiotici vale, nei soli Stati Uniti, 35 miliardi di dollari, e nel 2020 dovrebbe arrivare a 50 (Scudellari 2016). Di fronte a un business di questa portata è dunque necessario informarsi con attenzione sulle proprietà dei prodotti che vengono pubblicizzati, senza farsi illudere dalla promozione industriale.

Se i probiotici fanno bene, perché non sono rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale?

Nessun probiotico è stato fino a oggi approvato dalla Food and Drug Administration, l’ente statunitense che regola l’approvazione e la commercializzazione dei prodotti farmaceutici e dei dispositivi medici (Sorscher 2017). Questa stessa prudenza è confermata a livello europeo, dove la European Medicines Agency continua a usare cautela nell’estendere le indicazioni all’uso di probiotici (EMA 2017). Perché? Purtroppo, il motivo è che le prove della loro utilità sono poco affidabili: in altre parole, derivano da studi non rigorosi che non danno garanzie sufficienti di qualità metodologica. Anche nel caso del trattamento della diarrea – problema per il quale frequentemente vengono consigliati – dopo diversi studi di alterna robustezza metodologica (Allen 2010), la rivista medica Lancet ha pubblicato i risultati di una sperimentazione controllata randomizzata su 3000 pazienti anziani trattati con antibiotici. Ebbene, questo studio non ha dimostrato una riduzione degli episodi di diarrea né ha evidenziato l’utilità dei probiotici nel prevenire i casi di infezione da Clostridium difficile, un batterio molto pericoloso perché difficile da eradicare (Allen et al. 2013).

Quali risultati abbiamo sui probiotici nelle altre malattie intestinali?

Anche gli studi sul ruolo dei probiotici nell’eradicazione dell’Helicobacter pylori, riassunti in una revisione sistematica di 11 sperimentazioni che hanno coinvolto 2.200 partecipanti, non hanno portato a conclusioni positive sicure (Szajewska et al. 2015) e lo stesso si può dire riguardo l’uso dei probiotici nelle malattie infiammatorie intestinali, stando a una revisione sistematica curata dalla British Dietetic Association (McKenzie 2015).

Cosa si può fare se non assumere probiotici?

La cosa migliore da fare è nutrire bene i miliardi di microbi che ci tengono compagnia nel nostro sistema digerente: una dieta ricca di fibre provenienti da un adeguato apporto di frutta, verdura e grani integrali può contribuire a mantenere la diversità microbica e a farci stare meglio. Così come evitare di usare gli antibiotici quando non siano indispensabili.

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Autore Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Rebecca De Fiore ha conseguito un master in Giornalismo presso la Scuola Holden di Torino. Dal 2017 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per riviste online e cartacee di informazione scientifica. Fa parte della redazione del progetto Forward sull’innovazione in sanità e collabora ad alcuni dei progetti istituzionali con il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.
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