Quando si legge un articolo giornalistico che fa riferimento ai risultati di una scoperta scientifica – specie in ambito medico – si tende a considerarla come un’informazione certa, magari immediatamente applicabile alla realtà della vita quotidiana. Ad esempio, se si legge un articolo relativo a uno studio che ha dimostrato l’esistenza di un’associazione tra l’abitudine a consumare un determinato cibo X e la minore prevalenza di un tumore Y, si è portati a concludere che il dato cibo X protegga dallo sviluppo del tumore Y e, magari, a decidere di mangiarlo più spesso. Uno studio così strutturato, invece, non permette di arrivare a conclusioni di questo tipo. Esistono infatti diverse tipologie di “studi clinici”, ognuna delle quali è funzionale a esplorare un determinato tipo di ipotesi e permette di trarre conclusioni specifiche. In un’altra scheda, abbiamo declinato questo argomento sul tema della COVID-19.
In generale questi possono essere suddivisi in due grandi famiglie: quelli sperimentali e quelli osservazionali.
Quali sono le caratteristiche degli studi sperimentali?
Gli studi sperimentali – che, richiamandosi al termine inglese, alcuni chiamano trial clinici – sono studi caratterizzati da un intervento attivo da parte dello sperimentatore. In altre parole, sono quelli in cui i ricercatori decidono di intervenire su una o più variabili (es. il dosaggio di un farmaco) per poi poter valutare gli effetti di tale intervento (Coggon, 1997). Ne esistono di diversi tipi:
- Studi clinici controllati randomizzati: la sperimentazione viene effettuata parallelamente su due o più gruppi di soggetti, secondo uno schema predeterminato e imposto agli operatori sanitari esecutori della ricerca. Tipicamente uno sottoposto al trattamento oggetto di studio (gruppo sperimentale) e uno (gruppo di controllo) a cui viene prescritto un trattamento di cui si conosce l’effetto, oppure nessun trattamento. I partecipanti vengono assegnati casualmente all’uno o a l’altro gruppo (procedura di randomizzazione), in modo che i fattori prognostici – sia noti sia sconosciuti – siano distribuiti in modo equo nei due gruppi. Questa categoria di studi rappresenta la metodologia preferenziale per l’analisi dell’efficacia di qualsiasi intervento sanitario (Byar, 1976).
- Studi clinici controllati non randomizzati: come nel caso precedente, la sperimentazione viene condotta su uno o più gruppi sperimentali e su un gruppo di controllo. In questo caso, però, l’assegnazione dei soggetti ai vari gruppi non è casuale (Abel, 1999).
- Studi clinici non controllati: non è presente un gruppo di controllo. Il trattamento sperimentale viene somministrato a tutti i pazienti che prendono parte allo studio e l’effetto viene analizzato in termini di beneficio assoluto (es. più del 95% dei pazienti trattati manifesta un miglioramento).
Quali sono le caratteristiche degli studi osservazionali?
Gli studi osservazionali sono quelli in cui non c’è intervento sulle variabili da parte degli sperimentatori: essi si limitano a osservare il naturale decorso dei fenomeni. A differenza degli studi sperimentali, non permettono quindi di individuare relazioni di causa-effetto certe tra le variabili oggetto di studio (Rosembaum, 2005). Anche in questo caso, ne esistono di diversi tipi (Grimes, 2002):
- Studi descrittivi: sono quelli in cui i ricercatori si limitano a osservare e riportare un fenomeno naturale, senza sottoporre i risultati osservati ad analisi statistiche. Per quanto non permettano di ottenere informazioni generalizzabili, questi studi hanno comunque un ruolo fondamentale in situazioni quali, ad esempio, l’identificazione degli effetti collaterali di un trattamento o la descrizione di una nuova patologia. Fanno parte di questa categoria i report sui casi clinici singoli e sulle serie di casi.
- Studi analitici: appartengono a questa categoria, invece, quegli studi in cui i ricercatori effettuano delle analisi statistiche sulle loro osservazioni, spesso in presenza di un gruppo di controllo. Ne esistono di tre tipi: studi di coorte, in cui i ricercatori seguono nel tempo l’evoluzione di una determinata popolazione (che condivide una caratteristica o un’esperienza in comune) in relazione a una o più variabili e affiancando o meno una popolazione di controllo; studi caso-controllo, analisi retrospettive utilizzate prevalentemente nella ricerca che si occupa di stabilire le cause di certi fenomeni (ricerca eziologica) in cui si confronta l’esposizione a specifici fattori di rischio in due gruppi di soggetti, uno composto da pazienti che presentano una determinata condizione e uno composto da individui – paragonabili per caratteristiche cliniche, demografiche e socio-economiche – che però non presentano la condizione; studi trasversali (detti anche ‘di prevalenza’ o ‘cross-sectional’), utilizzati solitamente per valutare la frequenza di una determinata malattia o condizione in una popolazione in relazione a variabili quali l’età, il sesso, il luogo o il tempo.
Quali sono punti di forza e di debolezza delle due categorie di studi?
I punti di forza e di debolezza di un qualsiasi disegno sperimentale dovrebbero essere visti alla luce del tipo di domanda che lo studio si pone (Sacket, 1997). In alcuni casi gli studi osservazionali sono l’unica metodologia a disposizione dei ricercatori (Black, 1997). Ad esempio, non si può decidere di sottoporre volontariamente un gruppo di soggetti a una situazione potenzialmente pericolosa solo per valutarne gli effetti sulla salute: l’unica alternativa è quella di osservare tale associazione nella realtà.
Tuttavia, per la loro stessa natura, i risultati degli studi osservazionali sono soggetti a interpretazioni diverse. Al contrario, negli studi clinici controllati randomizzati gli effetti del caso sono ridotti al minimo (anche se non sono azzerati), motivo per cui questo tipo di disegno sperimentale è considerato lo standard più elevato per la produzione di evidenze scientifiche solide.