Da questa mattina ho un forte mal di testa, inizio a preoccuparmi e, spinto dall’ansia, mi collego a Internet e inserisco in Google le parole “mal di testa”. Tra i risultati restituiti dal motore di ricerca appaiono molte pagine che riportano informazioni relative a tumori cerebrali! La mia preoccupazione cresce e con essa il desiderio di ricercare in Internet altre informazioni sul mio stato di salute.
Molti utenti si riconosceranno in questa situazione, in cui la ricerca di informazioni online può generare o incrementare la preoccupazione di avere o sviluppare una grave malattia. Questo fenomeno è definito cybercondria, un termine che deriva dalla fusione delle parole “cyber” e “ipocondria”. L’ipocondria è una patologia che colpisce il 5% della popolazione mondiale e che è caratterizzata da un’ansia persistente correlata al proprio stato di salute. Il prefisso cyber- fa riferimento alla realtà virtuale e a Internet.
Una situazione tipica, spesso causa di cybercondria, è la percezione di un sintomo che induce un utente a inserirlo come parola chiave in un motore di ricerca. Questo processo di autodiagnosi è più frequente di quanto si pensi: un sondaggio del 2013 ha dimostrato che il 30% degli adulti americani ha tentato di diagnosticare i propri sintomi in rete.
Prima dell’avvento di Internet, le principali sorgenti informative a disposizione dei cittadini erano principalmente il tradizionale incontro medico-paziente o quotidiani, libri e riviste. L’attuale disponibilità di informazioni sanitarie in rete aumenta la probabilità di sviluppare situazioni di ansietà correlate allo stato di salute.
Un’indagine realizzata dalla Microsoft ha evidenziato come gli utenti, dopo avere inserito in un motore di ricerca i propri sintomi, consultino maggiormente i risultati che mettono in relazione il loro malessere a malattie gravi piuttosto che a disturbi lievi e più probabili. Ciò li spinge ad effettuare ulteriori ricerche con conseguente consultazione di pagine simili che incrementano lo stato di ansietà. Si stima che negli USA otto persone su dieci siano cybercondriache; in Italia il fenomeno interessa il 32,4% della popolazione, secondo i dati di una ricerca del Censis del 2012.
I soggetti ipocondriaci solitamente pongono scarsa attenzione alla provenienza e all’attendibilità della sorgente informativa. Lo stato ansioso, tipico dell’individuo ipocondriaco, rende inoltre più difficoltosa una valutazione obiettiva della qualità e dell’affidabilità dell’informazione. Questa attitudine è ancora più rischiosa in Internet, dove sono pubblicate anche notizie false o con scarsa solidità scientifica.
Internet possiede dunque caratteristiche che possono portare a un aggravamento dell’ipocondria. È quindi opportuno evitare di fare autodiagnosi online, perché un processo diagnostico non può essere effettuato mediante uno strumento automatico e sulla base di alcuni sintomi che vengono inseriti in un motore di ricerca. La capacità di fare diagnosi è un processo complesso che tiene conto di numerose informazioni che il medico ottiene tramite un colloquio con il paziente ed è una competenza che si acquisisce dopo anni di studio ed esperienza. Da qui la raccomandazione di consultare sempre il medico curante prima di prendere decisioni relative alla propria salute in base a informazioni recuperate in rete.
- Markoff J., “Microsoft Examines Causes of ‘Cyberchondria’”, New York Times, November 24, 2008
- Frediani C., “La cybercondria da motore di ricerca”, Corriere della Sera 25 Novembre 2008
- Luger TM, Houston TK, Suls J., “Older Adult Experience of Online Diagnosis: Results From a Scenario-Based Think-Aloud Protocol”, J Med Internet Res 2014;16(1):e16
- Muse K, McManus F, Leung C, Meghreblian B, Williams JM., “Cyberchondriasis: fact or fiction? A preliminary examination of the relationship between health anxiety and searching for health information on the Internet”, J Anxiety Disord 2012 26(1):189-96.
- Lagoe C, Atkin D., “Health anxiety in the digital age: An exploration of psychological determinants of online health information seeking”, Computers in Human Behavior. 2015 52:484-491