Il Ginkgo biloba può guarire l’Alzheimer?

20 Febbraio 2018 di Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Dottore, ma cos’è questo Ginkgo biloba?

Si tratta di una pianta originaria della Cina, che viene chiamata volgarmente ginko o ginco o albero di capelvenere. Il nome Ginkgo deriva probabilmente da un’erronea trascrizione del botanico tedesco Engelbert Kaempfer del nome giapponese ginkyō, derivante a sua volta da quello cinese yin-kuo. Molto utilizzata come pianta ornamentale in parchi, viali e giardini, viene anche coltivata industrialmente in Europa, Giappone, Corea e Stati Uniti per l’utilizzo medicinale delle sue foglie. L’estratto di Ginkgo biloba è infatti tra i dieci integratori alimentari più consumati nel mondo occidentale. In particolare i preparati a base di questa specie vegetale rappresentano il trattamento erboristico più diffusamente utilizzato al mondo per prevenire il declino cognitivo legato all’età, con un giro d’affari di molti milioni di dollari.

Se è così venduto vuol dire che fa bene, vero dottore?

L’estratto delle foglie di Ginkgo biloba è ricco di sostanze antiossidanti, come flavonoidi, terpeni, vitamina C e carotenoidi, quindi può forse aiutarci a integrare una dieta troppo povera di queste sostanze. Ma gli effetti sulla salute ‒ ben più importanti ‒ che vengono pubblicizzati dalle aziende produttrici di integratori alimentari a base di questa pianta non sono affatto provati.

A cosa dovrebbe servire questo tipo di integratori?

Gli estratti di Ginkgo biloba hanno proprietà vasoattive, specialmente nei confronti della microcircolazione. Probabilmente l’attività è legata all’azione anti-PAF (Platelet Activating Factor) dei terpeni presenti nella pianta, che contrastando l’aggregazione piastrinica combattono la vasocostrizione e rallentano l’aterosclerosi.

È vero che l’estratto di Ginkgo biloba serve a curare l’Alzheimer?

Non esiste oggi una terapia capace di arrestare o invertire il declino cognitivo e cerebrale causato dalla malattia di Alzheimer. Poiché i farmaci utilizzati per rallentare il declino cognitivo sono prevalentemente a base di alcaloidi di origine vegetale, alcuni ricercatori hanno suggerito l’utilizzo di terpeni, con proprietà simili ma minori effetti collaterali. L’ipotesi che i suddetti principi attivi ‒ di cui la foglia di Gingko biloba è ricca ‒ abbiano un effetto sulle funzioni cerebrovascolari e sui disturbi della memoria tale da suggerirne l’uso nel trattamento della malattia di Alzheimer è però ancora molto controversa.

Sull’effetto degli estratti di Ginkgo biloba nel trattamento del declino cognitivo esistono numerosissimi studi. Nel 2002, una revisione Cochrane (cioè un documento di sintesi che prende in considerazione tutta la letteratura scientifica disponibile su un dato argomento) ha definito l’evidenza sull’effetto degli estratti di Gingko biloba sul miglioramento della funzione cognitiva “promettente”, ma nel 2009 un’altra revisione Cochrane ha deluso le aspettative, sottolineando come quasi tutti gli studi disponibili fossero effettuati su gruppi troppo esigui di pazienti o con metodologie non valide. I loro risultati, quindi, sono stati giudicati “inconsistenti” e “non convincenti”. Interessante notare come persino una recente overview di revisioni sistematiche effettuata dai ricercatori della Scuola di Medicina tradizionale cinese dell’Università di Hong Kong affermi che c’è bisogno di studi clinici di migliore qualità, anche se conclude che l’estratto di Gingko biloba “può avere potenziali effetti benefici” nei pazienti affetti da demenza, a patto di essere assunto “in dosi superiori ai 200mg al giorno per almeno 5 mesi”. Una revisione sistematica effettuata dal gruppo di Stefan Weinmann alla Charité Universitätsmedizin di Berlino è più possibilista: viene registrato un moderato effetto benefico rispetto al placebo, con una rilevanza clinica “difficile da determinare”. Un recentissimo documento della British Association for Psychopharmacology, che ha fatto esaminare a un panel di esperti tutte le opzioni terapeutiche contro la demenza disponibili sul mercato, ha sancito che la Gingko biloba è tra i prodotti non raccomandati. In generale – con piccolissime oscillazioni – il messaggio che arriva dalla letteratura scientifica è sempre lo stesso: non ci sono dati chiari, servono studi più rigorosi.

E finché da questi studi non arriveranno dati più attendibili, l’effetto positivo degli estratti di Gingko biloba sulla demenza, l’Alzheimer e il declino della funzione cognitiva è tutto da dimostrare.

Autore Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Rebecca De Fiore ha conseguito un master in Giornalismo presso la Scuola Holden di Torino. Dal 2017 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per riviste online e cartacee di informazione scientifica. Fa parte della redazione del progetto Forward sull’innovazione in sanità e collabora ad alcuni dei progetti istituzionali con il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.
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