Esistono fonti scientifiche infallibili?

15 Febbraio 2018 di Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Capita spesso di sentirsi dire “Puoi stare sicuro: l’ho letto sulla rivista…”, e giù un incomprensibile nome in inglese. Oppure: “Ne sono certo: l’ha detto ieri in televisione…”, seguito in questo caso dal nome di uno scienziato famoso.

Riviste, persone o istituzioni: possono darci la garanzia assoluta della qualità di un’informazione?

È una domanda insidiosa e la risposta potrebbe portare troppo lontano, al punto di arrivare a suggerire un atteggiamento scettico o pessimista sulla possibilità di mantenersi correttamente informato. Meglio restare su un piano di concretezza e iniziare da un’altra domanda, simile alla precedente: possiamo fidarci degli esperti? La risposta dovrebbe comunque prevedere un margine di prudenza. Non esiste, ovviamente, un “albo degli esperti” e non di rado ci si autodefinisce “esperti” prima ancora che questa consacrazione giunga dalla comunità scientifica.

Tante persone hanno conquistato particolare autorevolezza in un ambito specifico della medicina grazie al proprio studio e alla capacità di svolgere attività di ricerca o di assistenza al paziente. Il loro punto di vista sarà dunque particolarmente importante ma non perché si tratti di un’opinione “semplicemente autorevole”, bensì perché le loro convinzioni si basano sulle evidenze che sono scaturite dalla sintesi dell’esperienza di migliaia di altri ricercatori e di clinici.

Allora è vero che bisogna affidarsi agli “esperti”?

Ognuno è libero di “affidarsi” a chi vuole. Ma le racconto una cosa. Uno dei più carismatici medici del secondo dopoguerra si chiamava David Sackett [1] e, a un certo punto della sua vita, divenne “il massimo esperto del mondo” su un argomento apparentemente banale ma invece molto importante: la cosiddetta “aderenza alla terapia”, vale a dire il grado col quale un paziente segue le prescrizioni del proprio medico.

Ebbene: Sackett veniva chiamato ovunque a parlare di questo argomento e invitato continuamente a scrivere articoli. Sempre e soltanto su questa “benedetta” aderenza. Al punto che dichiarò pubblicamente di non volersene più occupare.

Passa qualche anno e, avendo concentrato la propria attenzione su un’altra importante questione – la necessità di basare le decisioni mediche sui risultati di ricerche attendibili – si ritrovò di nuovo nella stessa condizione: “esperto” solo e soltanto della cosiddetta “evidence-based medicine”.  A quel punto, con un articolo spiritoso ma serio comunicò su una rivista importante la propria intenzione di dimettersi dalla condizione di “esperto” [2].

Va be’, ma che male faceva?

Era una provocazione, d’accordo, ma secondo Sackett la sua condizione aveva anche degli effetti collaterali non trascurabili: soprattutto, aveva capito che la sua profonda preparazione su un determinato argomento condizionava la sua stessa capacità di immaginare percorsi nuovi e potenzialmente più innovativi. Non solo: intervenendo a congressi, parlando in pubblico, scrivendo articoli scientifici, influenzava eccessivamente gli allievi e i ricercatori giovani inibendo la loro capacità di immaginare nuovi percorsi di studio.

La storia di Sackett può suggerirci una riflessione: nel rapportarci con una persona particolarmente “esperta” non dovremmo dimenticare che il vantaggio della sua competenza potrebbe essere negativamente bilanciato dalla tentazione di muoversi nel solco della cosiddetta “medicina accademica”. Sackett era uno dei più influenti opinion leader del suo tempo, e il ruolo di persone così carismatiche è particolarmente delicato perché il loro agire e il loro punto di vista possono influenzare i comportamenti dei medici molto più di tante linee-guida o di normative istituzionali [3].

Orientano l’attività di ricerca, indirizzano la scelta dei farmaci da preferire nelle unità operative degli ospedali, comunicano col pubblico e coi cittadini tramite interviste ai media e alla stampa laica [4]. Nell’ascoltare un esperto o nel leggere le sue dichiarazioni dovremmo sempre tenere in considerazione questi aspetti.

Dottore, raccontando l’aneddoto sul medico americano ha parlato di “una rivista importante”: cosa si intende per “importante”?

Esistono fonti scientifiche infallibiliSe consideriamo che le riviste medico-scientifiche pubblicate nel mondo sono circa 30 mila, capirà bene quanto conti definirne alcune più “importanti” di altre. Altrimenti, dovendo riconoscere a tutte uguale rilevanza, saremmo fritti.

Una rivista che si distingue dalle altre potrà essere quella citata in un giallo di Sherlock Holmes (The Lancet) oppure quella sulla quale pubblicava lo stesso Arthur Conan Doyle, quando era ancora studente di medicina (il British Medical Journal).

Ma esistono anche altri criteri: il principale è il numero di volte che articoli pubblicati su una rivista sono citati da altri articoli scientifici in rapporto ai contributi pubblicati. Immaginiamo che una rivista pubblichi in due anni 1.000 articoli: se nel corso del terzo anno (il primo successivo, insomma) questi raccolgono 20 mila citazioni, il fattore di impatto di quella rivista sarà pari a 20 (20 mila diviso 1.000).

Si tratta, però, di un indicatore da prendere con le pinze per tante ragioni, non ultima il fatto che un articolo può essere citato anche per parlarne in modo non elogiativo.

Pensiamo ad esempio al famigerato articolo fraudolento scritto da Andrew Wakefield sul Lancet nel 1998 sui presunti rapporti tra vaccinazioni e disturbi dello sviluppo nel bambino: ebbene, quel lavoro completamente inventato e successivamente ritirato dalla rivista è stato ad oggi citato più di 2.700 volte, probabilmente come esempio di letteratura scientifica spazzatura. Eppure, continua a contribuire al cosiddetto “impact factor” del Lancet, una delle riviste più “importanti” del mondo.

Sarà un caso isolato, dottore…

Vorrei poter rispondere di sì. Ma purtroppo sono diversi i casi in cui il prestigio di una rivista è stato messo in crisi dall’evidenza di pubblicazioni che hanno avuto per oggetto dati falsificati o, in alcuni casi, incompleti. È il caso di due articoli su una nuova classe di antinfiammatori usciti sul JAMA (la rivista dei medici statunitensi) e sul New England Journal of Medicine (rivista molto autorevole anche questa, con impact factor molto elevato).

In entrambi i casi il sistema di controllo di qualità non è riuscito a fare da filtro a due studi con importanti limiti di trasparenza nella presentazione dei risultati, limiti che hanno ritardato il ritiro dal commercio di uno dei due prodotti che, nel frattempo, aveva causato la morte di migliaia di pazienti per effetti avversi cardiovascolari [6].

La storia recente offre molti altri casi di pubblicazioni fraudolente o inventate da parte di riviste molto note [7] così che non è più sufficiente che un dato o uno studio sia pubblicato sul New England Journal o sul Lancet per decretarne con certezza l’affidabilità.

È sempre più importante far crescere la capacità dei cittadini – ma anche dei medici e degli altri professionisti sanitari – di leggere tra le righe dell’informazione scientifica. “L’alfabetizzazione scientifica dei cittadini – ha scritto recentemente Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità – è una necessità sociale di cui le istituzioni devono farsi carico. (…) Senza questi sforzi di health literacy il rischio per il nostro Servizio Sanitario Nazionale è che i cittadini siano abbandonati a sé stessi o, peggio, strumentalizzati da qualcuno che potrebbe avere altri interessi” [8].

Quali altri “interessi” potrebbero avere il sopravvento?

Si tratta di interessi di tipo più diverso ma, soprattutto, di ordine economico. Quello della salute e della medicina è un ambito dove vengono investite risorse ingenti: basti pensare alle tecnologie più o meno innovative, ai nuovi medicinali, ad apparecchiature diagnostiche o chirurgiche di ultima generazione. In qualche caso, l’interesse primario del sistema sanitario – la salute della persona e della popolazione – può diventare secondario rispetto alla tentazione di promuovere l’uso di determinati medicinali, di fare carriera, di proteggere il consumo di alcuni prodotti alimentari. Casi esemplari di “conflitti di interessi”: se ne parla molto, in medicina, al punto che la rivista JAMA, organo della American Medical Association, ha dedicato a questo problema un numero intero nel corso del 2017 [9].

Talvolta, dietro alle bufale si nascondono interessi economici molto rilevanti.

È un problema serio anche in Italia?

Forse meno che in altri Paesi. Un motivo per stare relativamente più tranquilli è la recente approvazione di una legge per la legalità e la trasparenza che ha portato molte Regioni e tante aziende sanitarie a lavorare con impegno per informare il personale sanitario sulle situazioni maggiormente a rischio e a formarli al mantenimento di una condotta integra e autonoma da interessi particolari [10].

Argomenti correlati:

Medicina

Autore Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Luca De Fiore è stato presidente della Associazione Alessandro Liberati – Network italiano Cochrane, rete internazionale di ricercatori che lavora alla produzione di revisioni sistematiche e di sintesi della letteratura scientifica, utili per prendere decisioni cliniche e di politica sanitaria (www.associali.it). È direttore del Pensiero Scientifico Editore. Dirige la rivista mensile Recenti progressi in medicina, indicizzata su Medline, Scopus, Embase, e svolge attività di revisore per il BMJ sui temi di suo maggiore interesse: conflitti di interesse, frode e cattiva condotta nel campo della comunicazione scientifica. Non ha incarichi di consulenza né di collaborazione – né retribuita né a titolo volontario – con industrie farmaceutiche o alimentari, di dispositivi medici, produttrici di vaccini, compagnie assicurative o istituti bancari.
Tutti gli articoli di Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)