In Giappone c’è un “batterio mangiacarne”?

10 Aprile 2024 di Roberta Villa

L’espressione “batterio mangiacarne” non è solo poco scientifica, ma anche impropria. Il termine indica infatti non una, ma diverse specie di batteri che non si nutrono affatto di carne umana, come il nome farebbe pensare. Se a volte sono chiamati così è perché, in alcuni casi particolari, possono provocare una condizione molto grave e dolorosa, detta “fascite necrotizzante”, che sembra divorare i tessuti molli della parte del corpo colpita.

Si tratta di una violenta infiammazione localizzata negli strati profondi della pelle e dei tessuti sottocutanei, che si espande rapidamente attraverso i connettivi, portando alla formazione di vescicole e poi alla necrosi, cioè alla morte cellulare, dei muscoli e delle regioni corporee interessate. Non c’è pus, ma un essudato grigio, mentre le strutture sembrano diventare friabili. Il trattamento richiede un’aggressiva terapia medica e chirurgica urgente, con rimozione anche demolitiva delle zone infette [1,2].

Come si è detto, non sono i batteri a causare direttamente la fascite necrotizzante, ma le tossine che alcuni germi possono imparare a produrre. Non si tratta di specie esotiche, ma di microrganismi comuni come Staphilococcus aureus o Streptococcus pyogenes, che da soli o in coppia, in determinati sottotipi e in particolari condizioni del paziente, possono raramente scatenare questa complicazione, in seguito a traumi, ustioni o ferite, anche chirurgiche.

Quando le tossine liberate da una fascite necrotizzante o da un’altra grave infezione che invade l’organismo stimolano una risposta immunitaria cellulare esagerata e aspecifica, che danneggia tutti gli organi e tessuti, si parla di “sindrome da shock tossico” [3].

Dottore, qual è il batterio responsabile dei casi in Giappone?

In Giappone è stato registrato di recente un aumento di queste gravi sindromi da shock tossico: nel 2023 l’Istituto nazionale di malattie infettive giapponesi ha segnalato 941 casi, ma nei primi due mesi del 2024 questi sono già 378, diffusi su quasi tutto il territorio.

Il fenomeno è ancora oggetto di studio: qualcuno lo riconduce alla ridotta circolazione dei batteri nei primi anni di pandemia, altri a un possibile calo delle difese immunitarie dovute all’infezione da Covid-19. In ogni caso, l’attuale aumento dei casi sembra essere riconducibile alla comparsa di varianti particolarmente trasmissibili e aggressive di Streptococcus pyogenes di gruppo A, tra cui una chiamata M1UK, che sembra colpire persone adulte, ma mediamente più giovani rispetto alla norma [4,5]

Dottore, ma che cosa provoca la sindrome da shock tossico?

Come già detto, la sindrome da shock tossico è causata dall’immissione nel circolo sanguigno di grandi quantità di tossine, come può accadere nel corso di una fascite necrotizzante o di una infezione invasiva (polmonite o meningite) che il sistema immunitario non riesce a controllare [6]. Non può essere quindi conseguenza della sola infezione da parte di uno streptococco come quelli che in questi mesi si stanno diffondendo anche in Italia, soprattutto nelle scuole.

In genere questo batterio molto diffuso (Streptococcus pyogenes beta emolitico di gruppo A, anche noto con l’acronimo SBEGA) vive senza dare sintomi sulla pelle e sulle mucose di persone sane, da cui può trasmettersi ad altre causando raffreddori, faringotonsilliti, ma nei casi più gravi anche polmoniti o meningiti [7]. Ne esistono molti diversi sierotipi, che provocano reazioni immunitarie indipendenti, non protettive le une nei confronti delle altre. Per questo, diversamente da quel che accade con altri agenti infettivi, è possibile contrarre lo streptococco più volte nella vita, e talvolta anche nel corso dello stesso anno. 

A distinguere gli streptococchi l’uno dall’altro c’è anche la capacità di produrre particolari tossine come quella detta “pirogenica”, responsabile della febbre o “eritrogenica” che provoca sulla pelle i puntini rossi (esantema cutaneo) tipici della scarlattina.

Solo alcuni, quindi, sono in grado di liberare la tossina dello shock tossico (TSST-1) o altre in grado di scatenare la gravissima reazione di cui si parla in Giappone, e solo dopo aver provocato una infezione importante – non al primo, comune mal di gola.

Dottore, ma è la prima volta che si verifica un’epidemia come questa?

Anche in passato, ben prima della pandemia, si registravano casi di shock tossico provocati da streptococchi o da stafilococchi di diverse specie, in Giappone come in Europa [8,9,10].

In Europa e negli Stati Uniti se ne parlò soprattutto durante gli anni Ottanta, per una forma associata alla gestione del ciclo mestruale. In quegli anni si diffusero infatti tamponi interni molto assorbenti per cui soprattutto le ragazze più giovani erano indotte a tenerli per molte ore al giorno senza cambiarli. Ciò, in caso di contaminazione, favoriva la proliferazione di batteri, soprattutto stafilococchi, che dalla vagina si diffondevano ai tessuti circostanti [11].

Dottore, ma come ci si può difendere da questo pericolo?

Non c’è al momento in Italia alcun allarme per sindrome da shock tossico come sembra stia capitando in Giappone, né le autorità hanno raccomandato particolare prudenza nei confronti di chi viaggia o torna da quel Paese, dove i casi, rispetto al numero di abitanti, restano comunque rari

Anche se a oggi non esistono vaccini contro i batteri ricondotti a questa sindrome ci si può comunque proteggere dall’infezione con le normali misure igieniche, prima fra tutte il lavaggio accurato delle mani e la corretta disinfezione delle ferite.

Argomenti correlati:

Medicina

Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
Tutti gli articoli di Roberta Villa

Bibliografia