Dobbiamo vaccinare i bambini contro Covid-19?

18 Febbraio 2022 di Roberta Villa

Dobbiamo vaccinare anche i bambini contro Covid 19La raccomandazione a vaccinarsi contro Covid-19 ha proceduto in senso inverso all’età: prima i grandi anziani, poi le persone di mezza età, gli adulti, i ragazzi e da qualche mese, con l’arrivo del prodotto di Pfizer in formulazione pediatrica, anche i bambini dai cinque agli undici anni. Per loro si è dimostrato sicuro ed efficace un dosaggio ridotto a un terzo rispetto a quello degli adulti (10 microgrammi di mRNA invece che 30). Presto dovrebbe arrivare anche la versione per i più piccoli, per vaccinare i bambini dai sei mesi ai cinque anni non ancora compiuti [1].

In questa fascia di età è stato condotto un trial con due somministrazioni di un dosaggio minimo, soli 3 microgrammi di materiale, che si è dimostrato efficace da sei mesi a due anni, mentre non sembra aver evocato una risposta anticorpale soddisfacente nel sottogruppo dei più grandicelli: per questo si è deciso di prolungare lo studio per verificare se la protezione si possa ottenere con una terza iniezione, come si è ormai visto essere necessario anche per gli adulti e gli adolescenti [2].

Dottore, ma ho paura a vaccinare mio figlio…

Come spiegavamo in questa scheda a proposito delle donne in gravidanza, anche i bambini sono soggetti nei confronti dei quali sentiamo di dover avere qualche precauzione in più: li vediamo più fragili (e in un certo senso lo sono), ma soprattutto non possono decidere per sé. Per cui siamo noi che dobbiamo assumerci la responsabilità di scegliere tra due opzioni: da un lato affrontare il rischio che si ammalino, con un virus che nella maggior parte dei casi passerà inosservato, o procurerà solo un raffreddore ‒ ma che più raramente potrebbe portarli in ospedale o provocare loro conseguenze patologiche ancora poco chiare, non si sa per quanto tempo ‒ dall’altro acconsentire a vaccinarli con un prodotto che ci sembra ancora troppo nuovo, poco sperimentato, contenente materiale genetico, qualcosa che già di per sé spaventa.

Davanti a un dilemma che ci coinvolge in maniera così emozionale è sempre bene fare riferimento ai dati di cui disponiamo per chiarire meglio i termini della questione. In Italia il 62% dei ricoveri pediatrici, sotto i diciotto anni, riguarda attualmente i bambini più piccoli, che ancora non possono essere vaccinati. Nella settimana tra il 28 dicembre e il 3 gennaio queste ospedalizzazioni sono quasi raddoppiate rispetto alla settimana precedente, in linea con quanto si è visto in tutti i Paesi in cui si è diffusa la variante Omicron. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità tra prima di Natale e Capodanno è stato registrato nei bambini tra zero e cinque anni quasi lo stesso numero di casi che in tutta la pandemia prima di allora. Il tasso di ricoveri è stato però in proporzione circa cinque volte inferiore, e quello di ingressi in terapia intensiva e di decessi circa dieci volte meno. Omicron quindi, anche in questa fascia di età, sembra più contagiosa, ma meno aggressiva.

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Quanto cambia le cose la variante Omicron?

Non sappiamo ancora con certezza quanto questa impennata sia dovuta alle diverse caratteristiche del nuovo virus, né perché sembri colpire più duramente l’infanzia [3]. Una delle possibilità è semplicemente che il grandissimo numero di infezioni provocato dall’alta contagiosità di Omicron si rifletta anche in una quota più rilevante di bambini ammalati. Certamente tutti i Paesi che hanno subito l’ultima ondata hanno visto i reparti pediatrici riempirsi rapidamente, e anche le terapie intensive pediatriche, le quali però si saturano con numeri molto più bassi rispetto a quelle dedicate agli adulti dal momento che (per fortuna) sono molti di meno i casi che, in condizioni normali, richiedono per i più piccoli questo livello di cure.

Il tema ovviamente non riguarda solo i piccolissimi, ma tutta l’età pediatrica. Secondo la Federazione Italiana Aziende Sanitarie Ospedaliere (FIASO) [4], nei quattro ospedali pediatrici e nei reparti di pediatria degli ospedali sentinella usati come campione della situazione nazionale si è passati in una settimana, dal 28 dicembre 2021 al 4 gennaio 2022, da 66 a 123 minori in ospedale, mentre quelli in terapia intensiva sono sempre pochi, ma comunque triplicati da 2 a 6 in una settimana. Non sono grandi numeri, ma fare il possibile per evitare ai nostri figli un ricovero, qualunque sia la loro età, è già una motivazione sufficiente a vaccinarli, come hanno già fatto milioni di genitori di bambini in età scolare e adolescenti nel resto del mondo e in Italia.

Dottore, quali sono le conseguenze di Covid-19 nei bambini?

Dobbiamo vaccinare anche i bambini contro Covid 19In relazione alle circostanze e politiche nazionali, ma soprattutto in base alla strategia scelta per gestire la pandemia, alcuni Paesi, come il Regno Unito [5], hanno deciso di riservare la vaccinazione dei bambini ai soggetti a rischio, ma molte società scientifiche di pediatria di tutto il mondo [6], come quelle italiane [7], si sono espresse chiaramente a favore della vaccinazione [8].

Oltre all’evoluzione più grave della malattia e ai decessi ‒ per fortuna davvero rari nel nostro paese in età pediatrica ‒ dobbiamo considerare le complicazioni a medio e lungo termine: in un caso ogni 3-4.000 circa nei minori di ventun anni, dopo due-sei settimane da una forma leggera o addirittura asintomatica di Covid-19 si può verificare una “sindrome multinfiammatoria sistemica” [9], in sigla MIS-C [10], che può coinvolgere tutti gli organi, mettendo in serio pericolo la vita. In caso di dolori addominali, vomito, diarrea, congiuntivite, manifestazioni cutanee o improvvisi cali di pressione in bambini o ragazzi che nelle settimane precedenti sono stati positivi o sono venuti a contatto con positivi, è quindi bene rivolgersi subito al medico. Un pronto e adeguato trattamento, per lo più in un contesto ospedaliero, riesce nella maggior parte dei casi a consentire la guarigione, sebbene questo possa richiedere del tempo. La vaccinazione sembra comunque in grado di ridurne del 90% il rischio [11].

Dottore, anche i bambini possono soffrire di long Covid?

Più difficile per ora è stimare l’efficacia della vaccinazione nei confronti di un’altra complicazione a lungo termine di Covid, che non dipende dalla gravità della forma iniziale, ormai battezzata nel linguaggio comune come long Covid. Come abbiamo spiegato nella scheda “Il long Covid colpisce anche i bambini?” , infatti, anche tra i bambini e i ragazzi [12] come negli adulti (ne abbiamo parlato nella scheda “Covid-19 potrebbe diventare una patologia cronica?”) è segnalata una frequenza non trascurabile di questa condizione cronica che comporta, a distanza di dodici settimane dalla negativizzazione del tampone, la persistenza di alcuni sintomi come stanchezza, mal di testa, difficoltà di concentrazione, memoria e apprendimento, che possono influire ulteriormente sul malessere psico-sociale, oltre che fisico, che molti portano con sé dopo questi due anni difficili.

La reale incidenza di queste situazioni nei bambini è per ora difficile da quantificare con precisione: si va da un caso su sette secondo una ricerca condotta in Inghilterra [13], a stime molto inferiori da parte di altri gruppi di lavoro [14]. Anche per questo non disponiamo per ora di dati sufficienti per confermare l’utilità della vaccinazione contro long Covid anche in età pediatrica, sebbene i risultati ottenuti negli adulti – di cui abbiamo parlato nella scheda “I vaccini contro SARS-CoV-2 proteggono da long Covid?” – per quanto non univoci [15], possano far ben sperare anche per i più piccoli.

È vero che a questa età i vaccini sono più pericolosi?

i bambini non possono essere vaccinati per Covid-19?Al contrario, i vaccini autorizzati per i bambini contro Covid-19 sembrano essere particolarmente sicuri. Al momento della loro introduzione molti si preoccupavano che i trial clinici su cui si basava l’autorizzazione da parte delle autorità sanitarie avessero coinvolto un minor numero di partecipanti rispetto a quelli riservati agli adulti. Questo è comprensibile, alla luce di quanto detto prima: è più facile offrirsi volontari per una sperimentazione che mettere a disposizione il proprio figlio, per quanto convinti si sia della validità di un prodotto che già nei più grandi si è mostrato molto sicuro. Inoltre i trial pediatrici, proprio per il maggior valore che la società attribuisce alla vita e alla salute di un minore, prevedono polizze assicurative molto più costose di quelli per adulti, per cui coinvolgere numeri superiori a quelli previsti normalmente per altri vaccini non sarebbe stato probabilmente sostenibile nemmeno per una grande azienda come Pfizer. I quasi tremila bambini coinvolti nella fase 2-3 dello studio non sono quindi “troppo pochi” [1], ma in linea con i numeri di altri trial sui vaccini pediatrici, tanto più che in questo caso l’alto profilo di sicurezza ed efficacia verificato negli adulti [16] e nei ragazzi più grandi [17] lasciava già ragionevolmente prevedere che anche nei più piccoli non ci sarebbero stati problemi rilevanti.

Una volta autorizzato, anche per i bambini è stato poi possibile mettere il vaccino di Pfizer alla prova sul campo, che in pochi mesi, con la vaccinazione di decine di milioni di bambini in tutto il mondo, ha permesso di raggiungere una mole di dati difficilmente paragonabile a esperienze passate. Oggi siamo in grado quindi di mettere sull’altro piatto della bilancia i possibili rischi della vaccinazione, rispetto agli effetti negativi legati all’eventualità di incontrare il virus: un’eventualità che oggi con Omicron è considerata dagli esperti quasi una certezza, a meno di vivere come eremiti. Per i bambini la lista si accorcia moltissimo, perché ‒ al di là degli effetti collaterali più comuni e transitori (dolore, arrossamento e gonfiore nella sede dell’iniezione, stanchezza o mal di testa) ‒ le reazioni avverse messe in evidenza in rarissimi casi negli adulti e negli adolescenti, come la miocardite, sono ancora meno frequenti, tanto che è difficile accertare un collegamento con la vaccinazione: su oltre 300.000 bambini vaccinati negli Stati Uniti il sistema di vaccinosorveglianza attiva non ne ha registrato nemmeno un caso; sul totale di quasi 9 milioni, ne sono state segnalate undici, tutte lievi e risoltesi in breve tempo [18].

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Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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