Covid-19 potrebbe diventare una patologia cronica?

24 Marzo 2021 di Fabio Ambrosino (Pensiero Scientifico Editore)

***AGGIORNAMENTO DEL 18 GENNAIO 2022***

A giudicare dalle statistiche riguardanti la pandemia di Covid-19 si direbbe che l’infezione da SARS-CoV-2 possa avere solo due esiti possibili: la morte o la guarigione. La situazione, invece, sembra essere più complicata di così. Nel corso dei mesi si sono infatti moltiplicate le testimonianze di persone guarite dalla Covid-19 che continuano ad avere problemi di salute di vario genere, anche a distanza di tempo. In alcuni casi, poi, questi strascichi sono tanto gravi da impedire alle persone affette di ritornare veramente a una vita normale. Il problema, emerso già nei primi mesi dell’epidemia in alcuni gruppi di pazienti sui social network [1], è stato definito “long Covid” o, in modo meno colloquiale, “sindrome post Covid-19”. Sebbene sia presto per stabilire quanto a lungo possa durare questa condizione, è evidente che di fronte all’elevatissimo numero di casi di infezione da SARS-CoV-2 il long Covid rappresenta un problema con conseguenze sanitarie potenzialmente enormi.

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In cosa consiste il long Covid?

“L’esperienza suggerisce che un numero considerevole di pazienti sviluppa una sindrome post-virale che può debilitarli sotto molti aspetti per settimane e settimane dopo la cosiddetta guarigione e l’eliminazione del virus”. Così sosteneva all’inizio dell’estate scorsa Anthony Fauci, capo della task force statunitense per la gestione della pandemia di Covid-19 [2]. Nei mesi successivi, poi, il numero di pazienti che riportavano problemi di salute nonostante non risultassero più positivi all’infezione da SARS-CoV-2 è cresciuto a tal punto da diventare un argomento di discussione sempre più presente all’interno della comunità scientifica.

Covid-19 potrebbe diventare una patologia cronica int2I sintomi sono i più vari. Uno studio italiano pubblicato la scorsa estate, basato sui dati relativi a 147 pazienti guariti dalla Covid-19, riportava che quelli più comuni erano – dal più frequente al meno frequente – la stanchezza, il respiro corto, i dolori articolari e quelli al petto [3]. La stanchezza è risultata essere il sintomo più diffuso anche in un recente studio dell’Università di Washington che ha valutato lo stato di salute di 177 persone guarite dall’infezione da SARS-CoV-2 fino a nove mesi di distanza dall’inizio della malattia, seguita dalla perdita del senso del gusto e dell’olfatto [4]. Ma altri sondaggi realizzati nel corso del 2020 hanno fatto emergere anche molte altre manifestazioni, dai brividi al mal di testa, dalla tosse ai problemi gastro-intestinali [2].

Un altro sintomo riportato molto frequentemente dai pazienti guariti dalla Covid-19 è una sorta di nebbia mentale, con problemi di memoria e concentrazione in aggiunta alla costante sensazione di stanchezza. Secondo alcuni autori questo gruppo di sintomi sarebbe riconducibile a una condizione nota col nome di “encefalomielite mialgica” o “sindrome da stanchezza cronica”, che in molti casi si manifesta proprio in seguito a un’infezione [5]. I meccanismi che portano allo sviluppo di questa condizione, tuttavia, non sono ancora del tutto chiari.

Una recente revisione, pubblicata a dicembre del 2021, riporta che più di 100 sintomi persistono dopo la fase acuta di Covid-19 e evidenzia l’importanza di conoscerli per poter supportare i pazienti con cure e prescrizioni adeguate. La maggior parte degli studi considerati in questa revisione riportava sintomi analoghi a quelli evidenti nell’infezione acuta da Covid-19 (cioè sintomi respiratori), ma è emerso uno spettro più ampio di sintomi, da sintomi cardiovascolari a disturbi dermatologici [6].

In generale, però, dopo più di un anno di studi condotti sull’argomento, possiamo dire che le manifestazioni cliniche del long Covid sono molto variabili e ad oggi non esiste un consenso sulle loro caratteristiche poiché i sintomi attribuiti a questa condizione sono numerosi ed eterogenei e possono riguardare soggetti di qualunque età e con varia gravità della fase acuta di malattia. La grande variabilità di sintomi e segni clinici, infatti, possono presentarsi sia singolarmente che in diverse combinazioni, possono essere transitori o intermittenti e possono cambiare la loro natura nel tempo, oppure possono essere costanti. In generale si considera che più grave è stata la malattia acuta, maggiore rischia di essere l’entità dei sintomi nel tempo [7].

Quanti pazienti sviluppano il long Covid?

Difficile dirlo con certezza. Secondo una revisione pubblicata a gennaio 2021 la percentuale di pazienti guariti dall’infezione da SARS-CoV-2 che sviluppa sintomi da long Covid varia tra il 5% e il 50,9% [8].

Ad agosto del 2020 un gruppo di ricerca inglese stimava che il persistere di questi sintomi interessasse circa il 10% dei pazienti guariti dalla Covid-19 [9]. Più o meno nello stesso periodo lo studio italiano citato in precedenza riportava invece dati ben più preoccupanti: ben 125 dei 147 pazienti (87%) da loro presi in considerazione – di età compresa tra i 19 e gli 84 anni – presentava ancora dei sintomi a due mesi dall’inizio della malattia [3]. Secondo altre stime, invece, la percentuale di persone guarite dall’infezione da SARS-CoV-2 che hanno bisogno di assistenza sanitaria a distanza di settimane o mesi dalla negatività al test per la Covid-19 si aggirerebbe intorno al 45-50% [10,11].

Questo dato lo confermerebbe anche uno studio più recente, da cui è emerso che la percentuale di persone guarite dall’infezione da SARS-CoV-2 che necessita di assistenza sanitaria anche a distanza di settimane o mesi dalla negatività al test si aggirerebbe intorno al 50% (quindi una persona su due fa esperienza di questa patologia) [12].

Anche in termini di durata dei sintomi è difficile dare risposte definitive. In un documento pubblicato a fine dicembre l’Office for National Statistics britannico ha stimato, sulla base delle risposte a un sondaggio nazionale, che nel 20% dei casi i sintomi del long Covid durano fino a 5 settimane mentre nel 10% dei casi fino a 12 settimane [13]. Un’analisi pubblicata solo qualche settimana fa su Nature Medicine, basata su più di 4.000 pazienti guariti dall’infezione da SARS-CoV-2, suggeriva invece che il 13,3% delle persone coinvolte presentava sintomi del long Covid per più di 28 giorni, il 4,5% per più di 8 settimane e il 2,3% per più di 12 settimane [14].

Dottore, perché i risultati degli studi sono così diversi tra loro?

La definizione di long Covid al momento è ancora piuttosto nebulosa e non ne esiste una versione univoca e condivisa da tutta la comunità scientifica. Basti pensare alla revisione di cui abbiamo parlato che ha associato al long Covid una lista di circa 100 sintomi relativi a praticamente tutti gli organi del corpo. È evidente, quindi, che con una definizione così generica e omnicomprensiva è difficile capire se uno specifico sintomo sia realmente conseguenza dell’infezione da SARS-CoV-2 o imputabile a qualche altro disturbo. Inoltre alcune persone non sviluppano alcun sintomo durante l’infezione o subito dopo essere guarite, ma iniziano a soffrirne dopo alcune settimane o mesi di benessere, rendendo difficile giudicare se si possa parlare o meno di long Covid.

Covid-19 potrebbe diventare una patologia cronica card long covid

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Autore Fabio Ambrosino (Pensiero Scientifico Editore)

Fabio Ambrosino ha conseguito un master in Comunicazione della Scienza presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste. Dal 2016 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per siti di informazione e newsletter in ambito cardiologico. È particolarmente interessato allo studio delle opportunità e delle sfide legate all’utilizzo dei social media in medicina.
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