Le persone con diabete mellito hanno un alterato metabolismo degli zuccheri. Ciò significa, che, in assenza di cure, i loro valori di glicemia (cioè la concentrazione di glucosio nel sangue) sono superiori alla norma anche a digiuni. In base alle cause e ai meccanismi con cui si arriva a questo, si possono distinguere in linea generale due forme principali della malattia, su cui il digiuno intermittente può avere effetti differenti [1].
Il diabete di tipo 1 è infatti una malattia prevalentemente su base autoimmune, provocata per lo più dalla reazione anomala del sistema immunitario contro le cellule beta del pancreas. Queste cellule sono deputate alla produzione di insulina, un ormone indispensabile alla vita perché permette a tutto l’organismo di utilizzare il glucosio circolante. Le persone con diabete di tipo 1 devono quindi assumere insulina dall’esterno, attraverso iniezioni o microinfusori, a dosaggi e nei tempi necessari a mantenere livelli fisiologici di glicemia in relazione ai pasti.
Queste persone devono evitare picchi o valori cronicamente elevati di glicemia, ma anche il digiuno può essere pericoloso, scatenando crisi ipoglicemiche che possono portare a perdita di coscienza e convulsioni e in qualche caso mettere a rischio la vita.
Viceversa, attualmente non abbiamo alcuna prova che il digiuno possa servire come cura. L’eventuale scelta di non mangiare per molte ore, per esempio per motivi religiosi, deve quindi essere soppesata, valutata ed eventualmente concordata con molta attenzione insieme ai propri specialisti, accompagnandola sempre a un attento e costante monitoraggio dei valori di glicemia [2].
Dottore, ma il diabete di tipo 2 è diverso?
Nel diabete di tipo 2, invece, inizialmente l’insulina non manca, ma le cellule dell’organismo diventano via via più resistenti al suo segnale che le invita ad assumere glucosio, rimuovendolo dal sangue. Questa perdita di sensibilità, detta “insulino-resistenza”, ha una forte componente ereditaria ma in genere si associa anche a stili di vita poco sani, in particolare a un’alimentazione eccessiva e sbilanciata e a scarsa attività fisica. Per questo il diabete di tipo 2 è più frequente in persone che sono anche sovrappeso o francamente obese, hanno ipertensione arteriosa e alti livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue.
In questi casi perdere peso è un obiettivo importante, che spesso aiuta a migliorare il controllo della glicemia e talvolta consente di fare a meno dei farmaci [3]. Se può aiutare a dimagrire, il digiuno intermittente può quindi avere una sua utilità. Ma anche in questo caso occorre consultarsi con il medico e monitorare con attenzione la glicemia per evitare il rischio di un eccessivo calo degli zuccheri, di picchi iperglicemici reattivi o di disidratazione, dal momento che circa un terzo dell’acqua che ci serve si introduce col cibo.
A oggi, le prove di una maggiore efficacia rispetto ad altri metodi per dimagrire e della sicurezza del digiuno intermittente nelle persone con diabete restano tuttavia limitate e in parte contraddittorie [4,5]. Anche un recente lavoro che sulla stampa italiana è stato presentato come conferma della possibilità di trattare in questo modo la malattia, in realtà dice altro: tra i soggetti che avevano limitato a determinate fasce orarie i loro pasti si è osservata dopo tre mesi solo una leggera perdita di peso in più – in media poco più di un chilo – rispetto a chi era stato assegnato a una normale dieta ipocalorica, senza alcun vantaggio in termini di compenso glicemico [6].
Dottore, ma in che cosa consiste esattamente il digiuno intermittente?
Esaminare la letteratura scientifica su questo tema è complicato dal fatto che – come abbiamo spiegato nella scheda relativa al digiuno intermittente come metodo per dimagrire – questa espressione comprende molte pratiche diverse.
È considerato infatti digiuno intermittente sia quello di chi si astiene completamente da qualunque alimento o bevanda, o solo dai cibi solidi, uno o più giorni la settimana, sia chi restringe i pasti in una particolare fascia oraria, sempre o per determinati periodi, per ragioni religiose, professionali, o per semplice abitudine. Ultimamente hanno preso molto piede piani nutrizionali suggeriti soprattutto come mezzi per perdere peso, ma anche per prevenire malattie croniche o per puntare a una maggiore longevità.
Le versioni più comuni sono indicate come 5:2 – con due giorni la settimana non consecutivi a bassissimo tenore calorico (circa 500-600 calorie) – oppure come 16:8, 18:6, 12:12 a seconda della distribuzione di tempi quotidiani in cui sia consentito o no assumere alimenti. L’annuncio, qualche mese fa, della possibilità di “guarire” il diabete di tipo 2 con il digiuno intermittente si basava su un regime molto severo, il trattamento di nutrizione medica cinese (Chinese Medical Nutrition Therapy, CMNT), in cui si alternano 10 giorni di dieta libera con 5 a bassissimo tenore calorico, fornito da pasti preconfezionati [7]. Esistono comunque molte varianti che qualcuno ritiene possano essere disegnate su misura delle esigenze di ognuno.
Dottore, ma a cosa serve il digiuno intermittente nelle persone con diabete?
Dal punto di vista scientifico, questi regimi alimentari nascono da due diversi filoni di ricerca. Da un lato, alcune forme di digiuno intermittente sono finalizzate a ridurre in maniera drastica l’apporto totale di cibo, così da avvicinarsi a quei regimi di restrizione calorica che hanno mostrato vantaggi in termini di salute e longevità in alcune specie animali e, più limitatamente per ora, negli esseri umani.
Nelle persone, però, è difficile raggiungere e mantenere nel tempo uno stato di privazione calorica estrema e al contempo equilibrata comparabile a quella ottenuta in laboratorio, anche per il valore culturale, sociale e di piacere che nella nostra specie si sovrappone alla pura necessità fisiologica di alimentarsi [8].
Accanto a questa linea di ricerca, c’è quella che indaga l’impatto di una diversa distribuzione dei pasti nel tempo, anche a parità di apporto calorico. Secondo queste teorie, non contano solo quantità e qualità degli alimenti, ma anche l’orario a cui vengono assunti. Nel digiuno intermittente alternare l’assunzione libera di cibo a periodi più o meno lunghi di digiuno darebbe all’organismo segnali a livello cellulare e metabolico diversi da quelli di chi mangia regolarmente tre volte al giorno.
Ciò avverrebbe per una diversa modulazione degli ormoni che regolano i livelli del principale zucchero – il glucosio – nel sangue, il suo ingresso e utilizzo da parte delle cellule, il suo richiamo in caso di necessità dai depositi contenuti nel fegato e nei muscoli oppure la mobilitazione di grasso laddove è accumulato come riserva di energia [9-11].
Nei pazienti con diabete di tipo 2 qualcuno ritiene quindi che il digiuno intermittente possa, oltre che far perdere peso, ridurre la resistenza all’insulina e di conseguenza la necessità di farmaci.
Dottore, ma cosa dicono gli studi fin qui condotti sull’argomento?
Questo nuovo approccio alla nutrizione ha, dal punto di vista evolutivo, un fondamento teorico sensato. Più o meno lunghi periodi di astinenza dal cibo riportano l’organismo alle condizioni nelle quali è stato selezionato: sono infatti passati solo pochi decenni da quando, in alcune parti del mondo, le persone hanno cominciato ad avere un accesso illimitato e ininterrotto ad alimenti molto calorici; per il resto l’umanità ha sempre dovuto – e in gran parte ancora deve – conquistarsi a fatica il fabbisogno minimo giornaliero necessario.
Il nostro corpo è quindi predisposto ad accumulare riserve per i tempi più difficili più che a sedersi a tavola tre volte al giorno, abitudine che potrebbe aver contribuito, insieme alla minore attività fisica, alla diffusione delle malattie croniche tipiche della nostra epoca [12]. Sovrappeso e obesità, infatti, sono fattori di rischio per malattie cardiovascolari, tumori e diabete di tipo 2.
Le prove a oggi disponibili nella letteratura scientifica, tuttavia, non ci permettono di affermare che il digiuno intermittente di per sé sia meglio di un’alimentazione bilanciata suddivisa sui tre pasti tradizionali, né per la popolazione generale, né per chi soffre di diabete di tipo 2.
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