La dieta in gravidanza determina il sesso del nascituro?

3 Giugno 2024 di Roberta Villa

Dal punto di vista genetico il sesso di ogni individuo dipende dalla presenza nelle sue cellule di una coppia di cromosomi sessuali X (XX) per il sesso femminile oppure da una coppia formata da un cromosoma X e uno Y (XY) per quello maschile. Ciò si decide al momento del concepimento, perché dipende dalle caratteristiche dello spermatozoo che feconda la cellula uovo (anche detta ovocita) [1,2]. Non può quindi essere quel che la futura mamma vorrà mettere in tavola nei mesi successivi a determinare se alla fine nascerà un maschietto o una femminuccia.

Le cellule hanno infatti due versioni di ciascuno dei 23 cromosomi che definiscono la specie umana, una copia ereditata dal padre e una dalla madre. Fanno eccezione le cellule germinali (o gameti), cioè le cellule uovo e gli spermatozoi, che nel corso della loro maturazione perdono metà del proprio patrimonio genetico, cioè una delle due copie di ciascun cromosoma. Ciò è indispensabile perché si possa poi ricostituire nella nuova cellula (zigote), in cui si fonderanno e da cui avrà origine l’embrione, il numero corretto di cromosomi, che altrimenti raddoppierebbe a ogni generazione.

Questo vale anche per i cromosomi sessuali. Dal momento che le cellule femminili hanno due cromosomi X, agli ovociti andranno solo l’uno o l’altro di questi. I precursori degli spermatozoi invece hanno un cromosoma X e uno Y, per cui metà degli spermatozoi sarà portatore di un cromosoma X e l’altra metà di un cromosoma Y. I primi, incontrando l’ovocita, daranno origine a un embrione femmina (XX), i secondi a un maschio (XY).

Quando una donna scopre di aspettare un bambino, quindi, la fecondazione dell’ovocita da parte di uno tra le centinaia di milioni di spermatozoi che sono risaliti fino alle sue tube è già avvenuta. Il fatto che fosse portatore di un cromosoma X o Y non può più quindi essere modificato.

Dottore, quindi il sesso genetico non si può cambiare?

In realtà, in rarissimi casi, è possibile che al momento della nascita il bambino si presenti con un sesso non riconducibile con certezza a uno dei due sessi, diverso da quello predeterminato geneticamente. In termini medici si dice che il suo fenotipo (cioè, come appare il neonato) è diverso dal genotipo (cioè, da quello che prevedono i suoi cromosomi).

Nelle prime fasi della loro crescita, infatti, fino a circa sei settimane dal concepimento, tutti gli embrioni si sviluppano come femmine. È l’attivazione di alcuni geni presenti sul cromosoma Y che a un certo punto induce la differenziazione tra ovaie e testicoli, con la produzione di ormoni androgeni più che estrogeni.

Se per qualsiasi ragione questo processo non si realizza, per esempio per l’insensibilità dei recettori ormonali specifici (sindrome di Morris), nascerà un neonato che potrebbe essere identificato come femmina alla nascita, pur essendo geneticamente maschio. Viceversa, è possibile che in presenza di altre anomalie, l’eccessiva produzione di ormoni androgeni da parte del surrene spinga un embrione geneticamente femmina verso uno sviluppo di tipo maschile (iperplasia surrenale congenita). Queste e altre condizioni sono dette di “intersessualità” e non riguardano comunque la domanda iniziale [3].

Dottore, allora si può influire sul sesso prima del concepimento?

Per tornare quindi al quesito di partenza, ci sono molti studi che hanno cercato di capire se ci sono fattori esterni che facilitano il concepimento di un maschio o di una femmina, alterando il rapporto numerico tra i due sessi, che in natura è di poco superiore a uno a favore dei maschi: ogni 100.000 bambine nascono da circa 102.000 a 108.000 maschi [4].

Lo scarto naturale è molto maggiore in Paesi come la Cina o l’India dove ragioni culturali, politiche ed economiche spingono verso l’aborto selettivo dei feti femmina, considerati più un peso che una risorsa, anche se per fortuna negli ultimi anni questo fenomeno sembra essere meno rilevante [5].

Viceversa, è stata segnalata la possibilità che l’esposizione a sostanze chimiche dette “interferenti endocrini” – perché appunto in grado di influire sul delicato equilibrio ormonale degli organismi – possa ostacolare gli spermatozoi portatori di cromosoma Y più di quanto faccia con quelli X, aumentando la proporzione di nate femmine rispetto ai maschi in alcune parti del mondo, come in passato si è osservato tra i pesci che vivevano in acque inquinate [6].

Potrebbero esistere anche fattori naturali che possono allontanare dalla parità il numero di bambini e bambine nati e nate in una popolazione: in passato si è ipotizzato che la giovane età dei padri, temperature più elevate o situazioni di grande stress come le guerre, favorissero la nascita dei maschi rispetto alle femmine, ma nessuno di questi fattori è mai stato confermato inequivocabilmente [7].

Tornando alla domanda iniziale, cioè all’effetto della dieta, condizioni di grave malnutrizione materna, come durante alcune storiche carestie, possono rendere più difficile la prosecuzione della gravidanza. Dal momento che i feti maschi sembrano più vulnerabili delle femmine, è possibile che in questi casi il rapporto tra i due sessi alla nascita si modifichi a vantaggio di queste ultime, ma le prove al riguardo sono deboli e ancora controverse.

Lo stesso si può dire per il legame tra una dieta ricca di sodio e potassio e un figlio maschio o tra un’alimentazione con molto calcio e magnesio e una figlia femmina. Se esistono dubbi sulla fondatezza di questi risultati a livello di popolazione è ancora più improbabile che se ne possano vedere gli effetti a livello individuale.

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Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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