Il mal di schiena è una condizione molto comune: nel corso della vita, oltre 8 persone su 10 finiscono per soffrirne (Balagué et al. 2012). La prima cosa da tenere presente è che normalmente il dolore si riduce nel giro di qualche settimana. La comunità scientifica, dunque, tiene a sottolineare come si tratti di un disturbo che – sebbene fastidioso e per brevi periodi invalidante – solo talvolta nasconde una patologia seria.
Perché viene il mal di schiena?
Le cause del mal di schiena possono essere diverse: può originare da una caduta o da un movimento eccessivo o sbagliato ma, in molti casi, chi ne soffre non è neanche in grado di ricordare il momento o il motivo specifico successivamente al quale è insorto il dolore. Il mal di schiena può essere dovuto a un’ernia o a una protrusione di un disco intervertebrale che causa la fuoriuscita di materiale discale che può comprimere i nervi spinali circostanti. Il principale sintomo è, ovviamente, il dolore. Frequentemente è seguito da intorpidimento e formicolio agli arti interessati dai nervi coinvolti. Tra le altre possibili cause, possiamo citare l’artrite e l’invecchiamento o il deterioramento della colonna vertebrale. Raramente, anche l’osteoporosi può essere un fattore di rischio: è la fisiologica riduzione di massa ossea che si osserva con il passare degli anni (Maestri et al, 2000).
Posso prevenire il mal di schiena?
La mancanza di esercizio può predisporre al mal di schiena: ne consegue che un’attività fisica regolare e adatta alla propria condizione ed età è sicuramente protettiva. Allo stesso modo, essere in sovrappeso può rivelarsi dannoso, perché causa sofferenza alla colonna vertebrale. Occorre anche prestare attenzione nel sollevare pesi, svolgendo questo tipo di incombenze nella maniera più corretta, quasi ovunque descritta (vedi per esempio il pieghevole preparato da Sapienza Università di Roma).
Qual è l’approccio corretto del medico al mal di schiena?
La base del percorso diagnostico, terapeutico e riabilitativo è la comunicazione tra il medico e la persona che a lui si rivolge lamentando il dolore. La rassicurazione è un aspetto importante e spesso trascurato (Maher, 2017). Un corretto inquadramento della “storia” del paziente è fondamentale per ricostruire i fattori di rischio o gli eventi scatenanti. È anche un elemento importante per aumentare la soddisfazione dell’utente e l’aderenza da parte sua alle raccomandazioni del curante (Hopayan e Notley, 2014).
Posso chiedere al medico la prescrizione per una risonanza magnetica?
Già dalla prima visita dal medico, molte persone chiedono venga loro prescritto un esame di risonanza magnetica solo per averne sentito parlare da amici, dai media o persino dalla pubblicità diretta ai cittadini da parte, soprattutto, di strutture di diagnosi e cura convenzionate con il servizio sanitario. Diverse società scientifiche hanno invece raccomandato ai clinici di non assecondare i pazienti più “esigenti”, così da ridurre il numero di test di imaging inappropriati o non necessari (Rao e Levin, 2012).
L’abitudine a prescrivere una risonanza magnetica già al primo incontro col medico in caso di mal di schiena è stata oggetto di valutazione da parte di un progetto internazionale chiamato Choosing wisely (in italiano “scegliere in modo saggio”). I referenti italiani dell’iniziativa hanno prodotto una scheda breve e chiara che raccomanda di non eseguire l’esame “se non sono presenti gravi sintomi di tipo neurologico o sistemico” come una perdita inspiegabile di peso, un dolore acuto nel corso della notte, febbre persistente, difficoltà nel fare pipì o nel trattenere le feci. Anche aver sofferto in passato di una malattia oncologica può suggerire al medico la prescrizione dell’esame (Slow medicine & Choosing wisely Italia).
Non sarà la solita storia del razionamento delle prestazioni per un problema di costi?
A parte il consumo inutile di risorse, l’imaging prescritto ed eseguito in modo inappropriato espone inutilmente i pazienti a radiazioni eccessive, disagi e danni che derivano dalla cascata di interventi diagnostici e terapeutici (Webster et al. 2014) che spesso seguono l’identificazione di una lesione che – oltre a non essere causa del disagio sofferto – sarebbe destinata a restare silente (Rao e Levin, 2012).
Quasi una persona su 5 tra quelle sottoposte a risonanza magnetica per mal di schiena non rientrano tra quelle per le quali l’esame sarebbe suggerito dalle principali linee guida internazionali (Graves et al. 2014).