Covid-19 aumenta il rischio di herpes zoster?

12 Giugno 2023 di Roberta Villa

dopo covid-19 aumenta il rischio di herpes zosterÈ stato ormai dimostrato su milioni di persone che chi è stato contagiato da SARS-CoV-2 ha un maggior rischio di sviluppare il cosiddetto fuoco di sant’Antonio (herpes zoster) durante la malattia o nelle settimane e nei mesi successivi rispetto a chi non ha mai incontrato il coronavirus [1]. Le segnalazioni di un analogo aumento dopo la vaccinazione contro Covid-19 non hanno invece trovato per ora, sui grandi numeri, alcuna conferma.

Dottore, ma che cos’è il fuoco di sant’Antonio?

L’herpes zoster, o fuoco di sant’Antonio, è dato dalla riattivazione del virus della varicella rimasto latente nell’organismo, anche molti anni dopo la guarigione. Si manifesta inizialmente con un forte dolore in una parte del corpo, da un solo lato, spesso al torace o all’addome, più raramente al cranio e al volto, nel territorio innervato dal nervo trigemino. Dopo qualche giorno compare nella stessa sede un’area infiammata, con macchie rilevate (papule) che evolvono nel giro di poche ore in vescicole allungate, pruriginose e piene di liquido, spesso disposte lungo una striscia corrispondente al decorso del nervo sottostante.

Il virus della varicella infatti permane anche per decenni, tenuto a bada dal sistema immunitario, all’interno del sistema nervoso periferico (in particolare a livello dei cosiddetti “gangli sensitivi”, nei pressi del midollo spinale e all’origine dei nervi cranici). Quando, a causa dell’invecchiamento o di altre condizioni che riducono l’efficienza delle difese immunitarie, questo controllo viene meno, il virus può cominciare a replicarsi manifestandosi con la dolorosa sintomatologia appena descritta.

Dottore, qual è la relazione tra herpes zoster e Covid-19?

La questione di un legame tra Covid-19 e herpes zoster venne sollevata fin dall’inizio della pandemia, quando alcuni Paesi – per esempio il Brasile – denunciarono un diffuso aumento dei casi di fuoco di sant’Antonio rispetto al periodo precedente [2]. Seguirono anche parecchie segnalazioni di casi clinici isolati, che non bastavano tuttavia a dimostrare un rapporto di causa ed effetto [3,4]. Talvolta non è stato facile, nei primi mesi della pandemia, distinguere le lesioni cutanee provocate dal coronavirus da quelle di altri agenti infettivi risvegliati dall’infezione [5].

Per verificare se all’infezione da Covid-19 si associasse davvero un maggior rischio di herpes zoster occorreva uscire dai singoli aneddoti, che si possono giustificare con l’età avanzata dei soggetti o con il semplice caso. Bisognava guardare ai grandi numeri messi a disposizione dagli enormi database sanitari esistenti ormai in molte parti del mondo.

dopo covid-19 aumenta il rischio di herpes zosterIl primo, uscito nella primavera del 2023, è stato uno studio retrospettivo, condotto in Cina mettendo a confronto le informazioni cliniche di quasi 2,5 milioni di individui con e senza una diagnosi confermata di Covid-19. I risultati mostrano che effettivamente nei colpiti da SARS-CoV-2 il rischio di sviluppare herpes zoster nell’anno seguente il tampone positivo supera di quasi il 60% quello di persone con caratteristiche simili, ma in cui non era stata documentata l’infezione da coronavirus. Nel gruppo Covid-19 si registrava anche un aumento del 30% del rischio della pericolosa localizzazione all’occhio (herpes zoster oftalmico) e un rischio quasi triplicato di un herpes zoster disseminato anche al di là di un’area circoscritta, con complicazioni potenzialmente letali [6]. L’associazione restava invariata anche analizzando in maniera separata le diverse fasce di età, il sesso o il fatto di essere vaccinati o non vaccinati contro Covid-19.

Un lavoro simile è stato effettuato dai ricercatori dell’azienda farmaceutica GSK, produttrice di un vaccino contro herpes zoster, paragonando i dati di quasi 350.000 pazienti dai 50 anni in su che avevano avuto Covid-19 con più di un milione e mezzo di coetanei dalle caratteristiche simili in cui non era però mai stata diagnosticata l’infezione. Anche in questa popolazione si conferma un incremento di rischio associato all’infezione, sebbene in misura meno marcata che nel campione cinese (15% in più tra tutti i soggetti contagiati, che sale di poco oltre il 20% tra quelli ricoverati in ospedale) [7].

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Dottore, come mai Covid-19 aumenta il rischio di herpes zoster?

Per spiegare l’aumento dei casi di herpes zoster nelle settimane e nei mesi successivi all’infezione da Covid-19, qualcuno ha chiamato in causa l’uso talvolta eccessivo e inappropriato che si è fatto in alcune fasi della pandemia di farmaci, come il cortisone, capaci di abbassare le difese dell’organismo.

Più probabilmente però è il coronavirus stesso che può talvolta determinare una alterata funzione del sistema immunitario, e in particolare delle cellule T. Durante l’infezione si assiste spesso anche a un calo del numero dei linfociti nel sangue (fenomeno detto “linfopenia”), un fenomeno osservato anche prima della pandemia nei soggetti con herpes zoster [8,9,10,11]. Ciò potrebbe quindi essere sufficiente al virus dell’herpes zoster per ricominciare a moltiplicarsi nel tessuto nervoso dando luogo alla dolorosa malattia.

 

Dottore, ma non succede lo stesso dopo la vaccinazione contro Covid-19?

Nelle fasce di età a cui è stato indirizzato in maniera prioritaria il vaccino in occidente (persone sopra i 60 e poi i 50 anni, e soggetti fragili, soprattutto immunodepressi), l’insorgenza di herpes zoster non è un caso raro. Ogni anno si calcola che su 1.000 persone il fuoco di sant’Antonio venga a circa 5 ultracinquantenni e a 6 o 7 sessanta o settantenni, con un picco nei soggetti di 75-79 anni. È chiaro che nel momento di massima estensione della campagna vaccinale, quando si somministravano fino a 500.000 dosi al giorno, non era improbabile che la procedura anticipasse la comparsa di un disturbo legato all’età e alle condizioni della persona vaccinata, più che al vaccino in sé. Come possiamo dire però che il ruolo del vaccino sia diverso da quello dell’infezione?

Una revisione sistematica degli articoli pubblicati fino al 31 dicembre 2021 e pubblicata nell’estate del 2022 suggeriva anzi un aumento del rischio di herpes zoster dopo la vaccinazione superiore a quello osservato per la malattia [12]. Sebbene gli autori sottolineassero più volte che le loro conclusioni non volevano scoraggiare la vaccinazione, i cui benefici superavano comunque i rischi, il lavoro lasciava qualche fondo di preoccupazione. Anche in questo campo, però, nei mesi successivi sono arrivati studi basati su popolazioni più ampie e quindi molto più affidabili.

dopo covid-19 aumenta il rischio di herpes zosterPer accertare il ruolo della vaccinazione anti Covid-19 si è infatti usato un database altrettanto numeroso di quelli utilizzati per verificare l’effetto dell’infezione, costituito da più di due milioni di persone vaccinate contro Covid-19. I casi di herpes zoster che si sviluppavano nel mese successivo alla procedura – o nel tempo che trascorreva fino alla seconda dose – più ragionevolmente correlabili al vaccino, sono stati poi messi a confronto con quelli che si osservavano, nella stessa coorte di persone, da due a tre mesi dopo la vaccinazione. Non si è trovata nessuna associazione; anzi, il rischio è risultato leggermente inferiore subito dopo la vaccinazione, dato che comunque non è significativo [13].

Dottore, si può dire lo stesso del vaccino antinfluenzale?

Per ulteriore conferma, gli stessi ricercatori hanno poi confrontato l’incidenza di herpes zoster dopo la vaccinazione contro Covid-19 con quella successiva all’antinfluenzale prima della pandemia, o comunque prima dell’introduzione dei vaccini anti Covid-19, ma anche questa analisi non ha mostrato alcun aumento del rischio legato alla nuova vaccinazione.

Lo stesso confronto con l’antinfluenzale prima della pandemia o prima dell’introduzione dei vaccini anti Covid-19 è stato effettuato con riferimento al solo interessamento degli occhi: dopo oltre 3 milioni e mezzo di vaccinazioni contro Covid-19 è stata registrata una sessantina di casi di herpes oftalmico, con una frequenza che non è risultata superiore rispetto a quella riportata rispettivamente in 5 e 4 milioni di persone vaccinate contro l’influenza nei mesi e anni precedenti [14].

Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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