Covid-19: come un puzzle
Tanti anni fa vedevo la scienza come un sistema rigido, dogmatico, altezzoso e freddo, che faceva sentire inferiore chi non la comprendeva. Solo lentamente, molto lentamente, ho compreso il vero spirito della scienza, che non è niente di tutto questo ma anzi è piena di curiosità per il mondo che ci circonda.
Anch’io sono sempre stata così, sono avida di sapere e scoprire i fatti. Quando un tema conquista la mia curiosità mi ci butto con tutta me stessa, approfondisco, scavo, cerco, chiedo, raccolgo, leggo, studio, rifletto, faccio i miei ragionamenti, mi confronto con altri. Non demordo prima di essere soddisfatta, spesso seguo un filone anche per anni (naturalmente non in continuazione ma ogni volta che trovo delle novità le aggiungo alla collezione dei dati raccolti). Però inizialmente ho fatto un errore molto grave: non ho tenuto conto che bisogna anzitutto assicurarsi che le premesse su cui si costruisce un ragionamento siano giuste.
Ho cominciato a comprendere la scienza anche grazie al sito dell’OMS che circa vent’anni fa ho consultato molto spesso per documentarmi sull’allattamento. Erano gli anni in cui dedicavo parecchio tempo alla promozione dell’allattamento. Così ho visto che la scienza è una cosa molto preziosa che ci guida attraverso un mondo estremamente complesso. Ho apprezzato la chiarezza, la pazienza, l’uso di parole comprensibili anche ai non addetti ai lavori e la grande umanità che si ritrova in quasi tutti i documenti nel sito dell’OMS. Come lettore non mi sono sentita guardata dall’alto in basso ma una persona con dei diritti e anche dei doveri, capace di ragionare e comprendere.
Così ho capito che non è la scienza ad essere dogmatica ma purtroppo alcune persone che la rappresentano in modo aggressivo, e intollerante verso chi non la capisce. Ora credo che sia stato anche questo ad avermi impedito di comprendere la vera natura della scienza.
Tutto questo preambolo per parlare della mole di informazioni a cui siamo esposti da qualche mese, da quando è giunta la notizia che il nuovo coronavirus, emerso dal nulla, riesce a trasmettersi con una certa facilità da persona a persona.
Una cosa molto interessante è che, forse per la prima volta nella storia, si possono vedere al lavoro gli ingranaggi della scienza, non con i tempi normali ma come con una sorta di time lapse. Allo stesso tempo si ha la sensazione di osservare una tragedia che si svolge davanti ai nostri occhi, con noi che ci stiamo muovendo al rallentatore. Nonostante la grande velocità con cui gli scienziati di tutto il mondo producono dati, tante domande importanti non hanno ancora una risposta.
Questa situazione è paragonabile a un difficile puzzle da 1.500 pezzi che una entità diabolica abbia mescolato con un altro puzzle, molto simile, da 250 pezzi. Bisogna ricostruire solo uno dei due, quindi 250 dei 1.750 pezzi non ci servono. I pezzi rappresentano l’enorme numero di studi che vengono pubblicati al ritmo di 50 nuovi al giorno, in media. Bisogna però separare il grano dal loglio: i pezzi che appartengono al puzzle che dobbiamo costruire e quelli che non ci servono perché sono del secondo puzzle.
Meraviglioso ma pericolosissimo allo stesso tempo è che la stragrande parte di questi studi viene pubblicata in modo che risulti accessibile per tutti.
È meraviglioso perché la comunità scientifica ha subito a disposizione tutto ciò che emerge da questi studi, ancora prima della pubblicazione definitiva. Molti studiosi, infatti, usano il servizio della pre-pubblicazione: accedono quindi a studi che non sono ancora stati sottoposti al peer review, cioè alla revisione dei pari. Questo accelera moltissimo i tempi per la condivisione dei dati. Gli scienziati li leggono e, se il tema trattato rientra nella loro specialità, comprendono se hanno davanti un pezzo utile e in questo caso procedono con il puzzle. Altrimenti lo scartano.
Ma questo è un lavoro tutt’altro che facile, ci vogliono dei veri esperti. La parte pericolosa di questa trasparenza dei dati è che chiunque ha la possibilità di leggerli, purtroppo anche molti che ignorano le fondamenta della materia che lo studio in questione tratta. Queste persone non hanno gli strumenti per valutare né la qualità, né le implicazioni, e nemmeno conoscono a fondo il contesto globale. È un errore comune che, quando viene pubblicato uno studio che tratta un tema che attira l’attenzione, gli si dia molto risalto, sui quotidiani e sui social. Generalmente uno studio da solo non ci può dire molto ma, se è valido, è prezioso per procedere con il puzzle.
Dobbiamo fidarci dei gruppi di esperti multidisciplinari che riescono a vedere il quadro per intero e possono veramente portare avanti il puzzle: devono essere loro, via via che questo puzzle prende forma, a fornire le raccomandazioni per i governi, che poi prenderanno le decisioni politiche – una cosa che non spetta né agli scienziati né alle agenzie non-governative come l’OMS. Quest’ultima ha una visione globale del problema, che ovviamente deve includere nelle raccomandazioni la situazione di tutti i paesi del mondo, ricchi e poveri.
Perciò bisogna essere prudenti quando delle persone, anche con le migliori intenzioni, sventolano l’ultimo studio sul Covid-19, dandogli un’importanza che può avere eventualmente solo dopo essere stato valutato dalla comunità scientifica che poi lo inserisce nel posto giusto, oppure lo scarta perché di dubbia qualità.
Quello che vediamo in questi mesi è la comunità scientifica sul banco di scuola che impara l’ABC del Sars-CoV-2 e tutto quello che riguarda questo nemico con corona e scettro. Ogni giorno c’è una nuova lezione.
La collaborazione degli scienziati di tutti i paesi del mondo ci salverà: ce la faremo, grazie alla scienza che non è affatto altezzosa come pensavo anni fa.
Argomenti correlati:
CoronavirusLa Rubrica della MammaRicerca