La questione della stabilità dei nuovi vaccini a mRNA, cioè della loro capacità di mantenersi efficaci e sicuri nel tempo, in rapporto alle condizioni ambientali in cui sono conservati, è stata sotto i riflettori fin dal momento della loro autorizzazione. La necessità di temperature inferiori a quelle ottenute con i normali frigoriferi, sufficienti per proteggere altri farmaci dello stesso tipo, poneva una serie di ostacoli aggiuntivi alla realizzazione di una campagna vaccinale che voleva e doveva essere la più estesa e rapida della storia umana. Ma in una situazione ottimale, rispettando tutte le regole, quanto possono durare i preziosi flaconcini?
La domanda, in realtà, non riguarda solo questi prodotti, caratterizzati dalla estrema fragilità del materiale di cui sono composti, l’RNA messaggero, che tende a disgregarsi molto facilmente. Anche per i vaccini a vettore adenovirale, come quelli prodotti da AstraZeneca e Johnson&Johnson, si è posta, e si pone, la questione della data di scadenza. Come spesso abbiamo visto nel corso di questa pandemia, si tratta di un problema inizialmente scientifico, che tuttavia reca con sé importanti ripercussioni sanitarie, economiche, politiche sia per i singoli Paesi, sia per gli equilibri geopolitici internazionali.
Dottore, come si stabilisce la data di scadenza di un farmaco o di un vaccino?
In generale, è bene rispettare la data di scadenza presente sull’etichetta di un vaccino, come sulla confezione di qualunque altro farmaco, che varia di solito tra uno e cinque anni a confezione chiusa [1,2]. Quello è infatti il limite di tempo entro il quale l’azienda produttrice garantisce che i materiali contenuti nel prodotto siano ancora stabili e non siano andati incontro a fenomeni di deperimento in grado di ridurne l’efficacia o, molto più raramente, la sicurezza, purché ovviamente siano state rispettate le condizioni di conservazione richieste.
Proprio la necessità di stoccare grandi quantità di materiali in vista di pandemie o altri tipi di emergenze ha però indotto l’esercito americano a chiedere alla Food and Drug Administration di studiare se, in caso di necessità, non fosse possibile estendere la durata dei farmaci per non essere costretti troppo spesso a buttarne via tonnellate così da avere i magazzini pieni, sempre pronti all’uso [3]. I risultati dello Shelf Life Extension Program (SLEP) sono stati sorprendenti: quasi il 90% dei farmaci da banco o su prescrizione esaminati dall’autorità statunitense si sono rivelati ancora in perfette condizioni fino a oltre cinque anni dopo essere teoricamente scaduti e nessuno presentava problemi a un anno dalla data raccomandata[4]. Il dato vale soprattutto per i farmaci in formulazioni solide, mentre soluzioni e sospensioni tendono a essere più vulnerabili, anche agli sbalzi di umidità e temperatura.
Tutto questo però non riguarda i vaccini, né altri prodotti biologici che anche l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) valuta a parte [5]. In questi casi l’estensione della data di scadenza può essere valutata come un uso non approvato del medicinale, ed essere quindi autorizzata in emergenza, sulla base di prove scientifiche, come è stato fatto inizialmente per gli stessi vaccini anti Covid-19.
Dottore, che caratteristiche particolari hanno i vaccini contro Covid-19?
Nel caso specifico dei vaccini anti Covid-19, la loro autorizzazione all’uso non prevedeva una data di scadenza stabilita dall’agenzia regolatoria, ma questa era apportata sull’etichetta a discrezione del produttore. Nessuna delle aziende che hanno portato a termine lo sviluppo dei vaccini anti Covid-19 autorizzati in occidente potevano sapere quanto a lungo si sarebbero mantenuti stabili. Non c’era un’esperienza sufficiente per garantire una durata di tre anni, come avviene in genere per la maggior parte dei vaccini, per cui sono state indicate in un primo momento date di scadenza molto ravvicinate, spesso di soli tre mesi. Sulla base di nuovi dati presentati dalle aziende alle agenzie regolatorie, a riprova della stabilità dei loro prodotti nel tempo, la durata dei diversi vaccini è stata a mano a mano estesa [6,7]
Nel caso dei vaccini a RNA messaggero, poi, si poneva in più il limite dei tempi ristretti di resistenza del prodotto una volta scongelato dalle temperature estreme a cui è normalmente conservato. Anche su questo punto le agenzie regolatorie, una volta verificato che anche così i vaccini conservano le loro proprietà, hanno allungato il periodo di possibile permanenza in un normale surgelatore [8,9,10].
A procedure simili di valutazione passo a passo sono stati sottoposti anche farmaci biologici messi a punto contro Covid-19, come gli anticorpi monoclonali.
Dottore, ma perché è stato necessario spostare queste date di scadenza?
All’inizio del 2021, quando i primi vaccini contro Covid-19 hanno cominciato a essere distribuiti ai diversi Paesi che li avevano prenotati, il collo di bottiglia della più grande campagna vaccinale del mondo era soprattutto la capacità produttiva di un numero di dosi senza precedenti. Con il passare dei mesi, l’industria è riuscita a portare la produzione su una scala abbastanza ampia da garantire forniture più che sufficienti, mentre le maggiori difficoltà sono emerse a valle della catena di distribuzione: in alcuni Paesi resistenza ed esitazione portano a rifiutare la vaccinazione anche se offerta in maniera facile e gratuita; altrove, soprattutto nelle aree più povere del mondo, i vaccini donati dalle organizzazioni internazionali rischiano di restare stipati nei magazzini per la difficoltà logistica di raggiungere i cittadini, soprattutto quelli che abitano in zone remote. I tempi che passano dal momento in cui il vaccino lascia l’azienda a quello in cui raggiunge il braccio di una persona da proteggere si possono così allungare moltissimo. Milioni di dosi di vaccino rischiano quindi di scadere prima di arrivare a destinazione.
Sappiamo che vaccinare il maggior numero di persone possibile in tutti i continenti è una condizione necessaria al superamento della pandemia: gettare prodotti ancora buoni, ma che non sono ancora riusciti a essere somministrati, solo per l’indicazione precauzionale apportata sulla loro etichetta, sarebbe un errore imperdonabile, che potrebbe costarci molto caro [11].
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