In vista della stagione invernale 2022-2023, i pediatri di tutto il mondo si dicono preoccupati per l’alto numero di infezioni respiratorie che si stanno verificando, e ancor più ci si aspetta che si verificheranno nelle prossime settimane. Si parla addirittura di una tripla epidemia, in cui a Covid-19 si accompagna il ritorno precoce e prepotente del virus dell’influenza e soprattutto del virus respiratorio sinciziale (RSV), già ricomparsi nella scorsa stagione dopo la tregua di quella 2020-2021, monopolizzata da Covid-19 [1,2].
Situazioni critiche per il grande numero di bambini ammalati sono state segnalate in Canada, Regno Unito ed Europa, Italia compresa, così come in Australia e Nuova Zelanda [3,4,5,6,7]. Negli Stati Uniti, dove molti reparti pediatrici erano stati convertiti in settori per adulti durante le fasi acute della pandemia, mancano posti letto per i più piccoli e le attese in pronto soccorso si allungano. Per questo l’Accademia americana di pediatria, insieme all’Associazione degli ospedali pediatrici, ha inviato una lettera al presidente Biden per chiedere di dichiarare uno stato di emergenza per la concomitanza di Covid-19, influenza e virus respiratorio sinciziale [8,9].
Dottore, ma che cos’è il virus respiratorio sinciziale?
Il virus respiratorio sinciziale è un virus a RNA che rappresenta la più comune causa di infezione delle basse vie aeree nei bambini sotto i 5 anni. È responsabile di bronchioliti e polmoniti che, soprattutto sotto l’anno di età, possono richiedere il ricorso all’ospedale. Non dà immunità permanente, per cui ci si può reinfettare più volte nel corso della vita, sebbene con forme via via meno gravi. Negli adulti provoca in genere solo banali raffreddori, ma torna a rappresentare una minaccia negli anziani o nei soggetti con il sistema immunitario compromesso [10].
È stato stimato che nel 2019 il virus abbia provocato nel mondo circa 33 milioni di bronchioliti o polmoniti, che hanno portato a 3,6 milioni di ricoveri ospedalieri con 26.300 decessi registrati. Se però si allarga lo sguardo a tutte le morti che possono essere attribuite a livello globale a questo virus nei bambini dalla nascita ai 5 anni il numero arriva a 101.400. In pratica, il 2% delle morti infantili entro i 5 anni e il 3,6% di quelle da uno a sei mesi di età sono riconducibili a questo virus, e ciò soprattutto nei Paesi a medio e basso reddito, dove si verifica la stragrande maggioranza dei casi e dei decessi [11].
Dottore, ma come mai nell’inverno 2020-2021 sono scomparsi tutti gli altri virus respiratori, a parte SARS-CoV-2?
È convinzione diffusa che la scomparsa globale di tutte le altre infezioni respiratorie, a parte Covid-19, osservata nel 2020, sia dovuta in larga parte alle misure non farmacologiche adottate, con diversi criteri e severità, nei diversi Paesi: misure igieniche, distanziamento, mascherine, chiusure di locali affollati, e così via. Qualche esperto però sta considerando anche un possibile ruolo della cosiddetta “interferenza virale”, un fenomeno per cui la compresenza di diversi virus nell’ambiente, uno dei quali con grandissimo vantaggio sugli altri, potrebbe aver modificato il loro abituale comportamento [12,13].
Secondo un articolo recentemente pubblicato su Science questo fenomeno – noto da tempo, ma che si sta approfondendo in questa situazione globale senza precedenti – dopo aver tenuto a bada gli altri virus respiratori durante il primo dilagare della pandemia, potrebbe forse contribuire a evitare la tripla epidemia di cui si parlava all’inizio, proprio per la competizione tra i diversi virus circolanti [14].
Dottore, ma cosa è cambiato da prima della pandemia?
Prima della pandemia, il virus respiratorio sinciziale in Europa era un virus tipicamente stagionale, che seguiva l’andamento della temperatura e dell’umidità, con epidemie invernali tanto più gravi quanto peggiori erano le condizioni meteorologiche [15].
Già l’anno scorso tuttavia il virus, quasi sparito l’anno precedente, aveva ricominciato a farsi sentire con prepotenza, e in anticipo rispetto alla sua stagionalità abituale. A novembre 2021 l’ospedale pediatrico Meyer di Firenze, uno dei più importanti di Italia, segnalava di aver avuto in un solo mese 140 accessi in pronto soccorso per bronchiolite, contro i 24 del novembre 2019.
L’emergenza non era solo lì. Uno studio multicentrico condotto da ottobre 2021 a marzo 2022 in quattro ospedali e reparti pediatrici italiani dimostra che circa la metà dei ricoveri per cause respiratorie nei sei mesi considerati era da ricondurre a questo virus. Il maggior numero di infezioni da RSV si è raggiunto all’inizio di novembre, lo stesso periodo in cui si è registrato anche un picco dei ricoveri per cause respiratorie, in concomitanza con una minor circolazione di Covid-19 [16]. Anche in altri Paesi l’epidemia stagionale, che normalmente ha il suo picco tra dicembre e febbraio, nel 2021 aveva già cominciato a manifestarsi in anticipo – in Grecia, Stati Uniti e Inghilterra addirittura durante l’estate – subito dopo che erano state rimosse tutte le misure per il contenimento della pandemia. Ciò naturalmente supporta l’idea che tali misure siano state fondamentali a protezione dei bambini [17,18].
Prima della pandemia si stimava che quasi tutta la popolazione pediatrica venisse infettata dal virus entro i primi due anni di vita. I bambini piccoli che non lo hanno incontrato nel 2020 o nella prima parte del 2021 sono quindi andati incontro a un alto rischio di infettarsi nell’autunno dell’anno scorso o di questo. Il loro numero si va quindi a sommare a quello dei più piccoli, che tornano a contagiarsi a pochi mesi, in una situazione ritornata sostanzialmente alla norma. Come abbiamo spiegato nella scheda “I bambini oggi si ammalano di più per un “debito immunitario” dovuto a lockdown e mascherine?”, il cosiddetto “debito immunitario” eventualmente può riferirsi a questo fenomeno, non certo a un indebolimento delle difese dell’organismo.
Dottore, come posso proteggere il mio bambino dal virus respiratorio sinciziale?
C’è però anche un altro meccanismo che può aver fatto arrivare in qualche modo più impreparati i bambini all’incontro con il virus, quando sono state sollevate le misure imposte dalla pandemia. Il principale fattore di protezione dei lattanti nei confronti delle infezioni più gravi sono infatti gli anticorpi specifici contro RSV che la mamma può passare loro tramite la placenta. Poiché, come si è detto, l’immunità nei confronti di questi virus non è permanente, a ogni esposizione la risposta si rinnova. Le donne che hanno già altri figli – e tramite loro hanno quindi maggiori possibilità di venire a contatto con il virus respiratorio sinciziale durante la gravidanza – tendono perciò ad avere livelli più alti di questi anticorpi, e proteggere meglio i nascituri (anche dalle infezioni a cui lo esporranno i fratellini). Durante i primi tempi della pandemia, la scomparsa del virus potrebbe aver fatto mancare questo stimolo, riducendo anche la produzione di anticorpi passati dalla mamma al feto. I neonati e i lattanti si sarebbero quindi poi trovati in condizioni di maggiore vulnerabilità una volta sollevate le misure antipandemiche.
Prendendo spunto dall’osservazione di questa protezione conferita dalla mamma al nascituro, alcune aziende hanno sviluppato candidati vaccini, già in fase avanzata di sperimentazione, da somministrare alla gestante alla fine della gravidanza. Come già si fa per la pertosse, gli anticorpi prodotti dalla mamma in risposta alla vaccinazione passerebbero al feto prima della nascita, così da proteggerlo passivamente nei primi mesi, i più delicati. Non si è invece ancora riusciti a ottenere un vaccino da somministrare direttamente al neonato perché sviluppi in maniera attiva una propria immunità specifica, ma ci si sta lavorando [19].
Nel frattempo, però, nei bambini a maggior rischio, per esempio perché prematuri, si può infondere in 5 dosi un anticorpo monoclonale (palivizumab) che fa da scudo all’infezione, almeno per il periodo più critico [20]. In Europa ne è poi appena stato approvato un altro (nirsevimab) che richiede una sola iniezione ed è indicato a scopo preventivo a tutti i neonati, indipendentemente dai fattori di rischio [21].
Oltre a questi interventi farmacologici, i pediatri raccomandano da sempre di non portare i neonati in ambienti chiusi e affollati, di evitare di farli passare da una persona all’altra, soprattutto se raffreddate, di lavarsi bene le mani prima di prenderli in braccio, di mantenere pulite le superfici che possono mettere in bocca, di tossire e starnutire nel gomito… insomma, di mettere in pratica tutte quelle misure che ci sono state raccomandate anche per la prevenzione di Covid-19. Perché nei neonati e nei lattanti RSV non è un raffreddore, né è consigliabile o in qualche modo “protettivo” incontrarlo da piccoli invece che da grandi.