Fino a un po’ di tempo fa in Europa si parlava di Dengue solo in relazione a viaggi esotici, dal momento che la malattia era diffusa soprattutto nelle aree tropicali e subtropicali di Africa, Sudest asiatico e Cina, India, Medioriente, America latina, Australia e di diverse zone del Pacifico, dove provocava ogni anno, durante e dopo la stagione delle piogge, circa 20.000 morti.
Qualche mese fa, tuttavia, Jeremy Farrar, direttore scientifico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, aveva messo in guardia le autorità sanitarie di tutto il mondo su quanto il riscaldamento globale aumenti la possibilità che epidemie di Dengue diventino un’importante minaccia alla salute pubblica anche negli Stati Uniti del sud, nei Paesi dell’Europa meridionale – come l’Italia – e in parti dell’Africa che finora non ne erano mai state colpite [1,2].
In seguito all’aumento globale dei casi di Dengue, il Ministero della Salute ha invitato le Regioni a predisporre tutte le misure previste dal Piano Nazionale di prevenzione [3]. In particolare, si raccomanda di potenziare la sorveglianza dei casi in Italia, di implementare le bonifiche e di formare il personale sanitario.
Dottore, come capisco se ho preso la Dengue?
Essere di ritorno da un viaggio in aree dove la malattia è endemica resta l’elemento più rilevante per sospettare la Dengue. Sintomi come febbre alta, forte mal di testa e dolore dietro agli occhi, ma soprattutto dolori muscolari e alle articolazioni (una manifestazione così caratteristica della malattia da farle guadagnare il soprannome di “febbre spaccaossa”) potrebbero comunque dipendere da altre cause più comuni alle nostre latitudini. Anche la possibile presenza di nausea e vomito, e talvolta di un’eruzione cutanea, non permette di porre una diagnosi definitiva senza ricorrere a ulteriori accertamenti, che prevedono la ricerca del virus, o degli anticorpi contro questo, nel sangue del paziente.
Per confermare la diagnosi è bene quindi rivolgersi al medico in caso di disturbi di questo tipo se si è tornati da un viaggio in aree a rischio da meno di 15 giorni o se si vive in una zona dove è in atto un focolaio. Come vedremo tra poco, sapere di aver avuto l’infezione, anche in forma lieve, è infatti un’informazione importante per i comportamenti successivi anche se non incide sulla cura, basata solo sul riposo, l’assunzione di liquidi e l’uso di medicinali contro la febbre e il dolore, tipicamente il paracetamolo, quando questi sintomi ci sono.
Solo una persona infettata su quattro, infatti, sviluppa la malattia, e anche in questo caso i sintomi possono andare da una forma molto lieve (soprattutto nei bambini) a una Dengue grave, gravissima o letale, in meno di un caso su mille, per lo più tra quei rari pazienti che sviluppano una forma emorragica.
Dottore, ma è vero che la seconda volta è peggio della prima?
Rispetto ad altre infezioni, che conferiscono protezione nei confronti dell’agente infettivo responsabile e talvolta anche, almeno in parte, nei confronti di germi simili, la risposta immunitaria dell’organismo alla Dengue è paradossale. Le forme più gravi, infatti, non si verificano più spesso al primo incontro con la malattia, come accade di solito, ma con maggiore frequenza alla seconda infezione o a quelle successive.
La presenza di anticorpi poco efficaci, infatti, invece di proteggere dall’infezione, facilita l’ingresso del virus nella cellula, con un fenomeno detto ADE (antibody-dependent enhancement). Se quindi si è già contratta l’infezione in passato, occorre prestare maggiore attenzione ai segni di un’evoluzione verso una forma grave, che nel giro di poche ore può rendere critica la situazione.
I campanelli di allarme sono dolori addominali, vomito, sanguinamenti dal naso, dalle gengive, o nelle feci, accompagnati da un senso di malessere, stanchezza o irritabilità. È importante sottolineare che questo fenomeno si verifica tipicamente uno o due giorni dopo la scomparsa della febbre, fatto che può trarre in inganno e far pensare alla guarigione, mentre rappresenta un’emergenza medica per cui occorre recarsi immediatamente in pronto soccorso.
Dottore, il numero dei casi di Dengue è in aumento?
È difficile fornire un numero esatto dei contagi, perché spesso l’infezione decorre in maniera asintomatica, soprattutto nei bambini. Si stima tuttavia che, dall’inizio del secolo all’anno record rappresentato dal 2019, il numero di casi documentati sia aumentato a livello globale di circa dieci volte, passando da 500.000 a oltre 5 milioni totali. L’incremento è attribuito da un lato all’aumento degli spostamenti di persone e merci tra le varie parti del pianeta, dall’altro agli effetti della crisi climatica. Di come l’emergenza climatica possa portare nuove malattie, avevamo parlato qui.
Le grandi epidemie di Dengue, nei Paesi in cui è endemica, si ripetono di solito con cicli di 3-4 anni. Dopo l’anno terribile del 2019 un leggero calo dei casi era quindi prevedibile, ma potrebbe essere stato anche favorito dal blocco degli spostamenti dei primi anni di pandemia. Nel 2023 la Dengue è tornata però a superare i 5 milioni di casi registrati con circa 5.000 decessi in oltre 80 Paesi, allargando il numero di focolai e di aree del mondo interessate, anche a causa di fenomeni meteorologici occasionali (El Niño), che hanno accentuato gli effetti del cambiamento climatico soprattutto in termini di precipitazioni eccezionali e aumento dell’umidità in alcune zone. A peggiorare la situazione si aggiungono, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la debolezza dei sistemi sanitari messi alla prova da Covid-19 e l’instabilità politica e finanziaria in Paesi che fronteggiano crisi umanitarie complesse e grandi movimenti di popolazione [4].
La situazione sembra particolarmente grave in Sudamerica, dove nel 2023 si è verificato l’80% dei casi, cioè più di 4 milioni. In particolare, in Brasile in questi primi mesi del 2024 si sta verificando un’epidemia senza precedenti: da gennaio a marzo sono stati segnalati più di 2 milioni di casi, più di quelli di tutto l’anno scorso e quadruplicati rispetto allo stesso periodo del 2023 [5].
Ai nostri climi la Dengue non è endemica, ma dal 2010 si registrano ogni anno anche casi autoctoni, cioè relativi a persone che si sono contagiate in Europa (Croazia, Francia, Israele, Italia, Portogallo e Spagna). Tra i Paesi europei, l’Italia è quella che nel 2023 ha avuto il maggior numero di casi autoctoni: un’ottantina, concentrati soprattutto in Lombardia e nel Lazio, quasi il doppio della Francia, mentre in Spagna sono stati solo tre [5]. L’unico decesso ha riguardato una persona che si è ammalata all’estero prima di rientrare in Italia.
Dottore, la Dengue può provocare una nuova pandemia?
Sebbene il numero di casi registrati l’anno scorso in Italia, e quelli attualmente individuati in Sudamerica, abbiano raggiunto valori record, per le sue caratteristiche questa malattia non rappresenta a oggi una minaccia di tipo pandemico.
La Dengue è infatti provocata da quattro virus molto simili tra loro, che appartengono alla famiglia degli Arbovirus (arthropode-borne virus), cioè dei virus che possono essere trasmessi da persona a persona solo tramite un artropode, nel caso specifico una zanzara. Il vettore tradizionale nell’emisfero occidentale, Aedes aegypti, è lo stesso che trasporta i virus della febbre gialla, di Zika e Chikungunya.
Questa specie di zanzara non resiste ai nostri inverni, mentre i casi autoctoni di Dengue dipendono da Aedes albopticus, anche detta zanzara tigre, che ha colonizzato da decenni molte aree temperate, tra cui l’Italia. I contagi, infatti, non possono avvenire direttamente tra gli individui, ma richiedono che una zanzara adatta a quel particolare virus (che per Dengue in Italia è appunto la zanzara tigre, e non quella più comune, del genere Culex) punga una persona infetta – con o senza sintomi – e poi un’altra, a cui inietta il virus.
Dal momento che la trasmissione dipende dalla presenza delle zanzare, è improbabile che uno di questi virus si possa diffondere con la facilità di un agente infettivo che passa per via aerea. Interrompere la catena in questo caso è più facile, soprattutto con le risorse dei Paesi più ricchi: si può intervenire in maniera efficace con misure di sanità pubblica che eliminino le larve di questi insetti dalle pozze d’acqua e con accortezze individuali di protezione personale (per esempio usando repellenti) e, in generale, svuotando regolarmente sottovasi, grondaie e altri possibili contenitori all’aperto.
Dottore, ma è vero che esiste un nuovo vaccino?
Come si è detto, contro la Dengue non esistono cure specifiche, se non quelle che curano i sintomi, come febbre e dolore. Sono però disponibili due vaccini. Il primo (Dengvaxia, non commercializzato in Italia) è indicato solo per persone residenti in aree endemiche, purché sia stata dimostrata in laboratorio una precedente infezione da Dengue [6].
Il secondo (Qdenga, autorizzato anche dall’Agenzia Italiana del Farmaco) protegge da tutti e quattro i sierotipi del virus anche chi non ne ha mai incontrato nessuno, a partire dai 4 anni di età [7,8,9,10]. Dato il basso numero di casi autoctoni registrati sul territorio nazionale, non è tuttavia attualmente raccomandato per la popolazione generale, ma può essere preso in considerazione, in accordo con il proprio medico o con il centro di medicina tropicale della propria città, da chi prevede di viaggiare in zone a rischio [7,8,9,10].
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