Bere l’acqua del rubinetto fa venire i calcoli?

17 Agosto 2023 di Sara Mohammad (Pensiero Scientifico Editore)

una persona riempie un bicchiere d'acqua trasparente al rubinetto della cucina“Attenzione a bere l’acqua del rubinetto, perché fa venire i calcoli!”. Questa credenza, ancora piuttosto diffusa, deriva dal fatto che la maggior parte dei calcoli ai reni sono costituiti da sali di calcio e che l’acqua di casa può contenere, in alcuni casi, quantità significative di questo sale minerale. Consumarla tutti i giorni, si pensa, potrebbe incrementare la concentrazione di calcio nelle urine, favorendo la calcolosi. Vediamo come stanno le cose.

acqua bottiglia icon cibo food

Ho sentito che, se si hanno i calcoli, si deve bere molta acqua…

È vero. I calcoli ai reni si formano quando i sali di calcio e altre sostanze, poco solubili in acqua, tendono ad accumularsi, si aggregano fra loro e danno origine prima a cristalli, poi a veri e propri sassolini. Per aumentare la quantità di urina prodotta quotidianamente ed evitare così che i sali di calcio raggiungano livelli troppo elevati, è importante bere tanto.

Ma esattamente quanta acqua bisogna bere?

Per chi ha già sofferto di calcoli ai reni, viene raccomandato di bere acqua in quantità tali da produrre almeno due litri di urine al giorno [1]. L’Associazione Europea di Urologia consiglia, in assenza di fattori di rischio, di bere almeno 2,5-3 litri di acqua al giorno [2]. Tuttavia, il fabbisogno idrico giornaliero cambia moltissimo da una persona all’altra e può variare molto anche nella stessa persona a seconda della stagione (pensiamo a quanti liquidi si perdono nei mesi estivi con l’aumento della sudorazione).

Se avere in mente una quantità minima di acqua da bere ci aiuta a bere tanto, ben venga. Ma basta sapere che, in assenza di problemi di salute, bere ogni volta che si sente lo stimolo della sete è sufficiente per rimanere idratati.

La calcolosi, infatti, è collegata allo stato di idratazione dell’organismo: una bassa quantità di urine o urine troppo concentrate, indice di un’idratazione insufficiente, sono state associate a un aumentato rischio di calcoli renali [3].

Se non riesco a bere tanta acqua, posso aiutarmi con altre bevande?

Non è consigliabile soddisfare il fabbisogno idrico giornaliero sostituendo l’acqua con altre bibite, specie se si tratta di bevande che contengono zucchero e se ne facciamo un uso abituale. Fra le conseguenze per la salute di un consumo elevato di queste bevande c’è anche un peggioramento della calcolosi [4]. Questo tipo di bibite solitamente apporta notevoli quantità di fruttosio, che tende a favorire l’accumulo di calcio e di ossalato di calcio [5].

Dottore, mi scusi se torno sulla questione. Per prevenire i calcoli renali, quindi, è meglio bere acque con poco calcio?

una donna anziana beve un bicchiere d'acqua nel salotto della propria casaFa bene a ritornare al punto, ma ci tengo a sottolineare che, al contrario di quello che pensiamo, la qualità dell’acqua che si beve tutti i giorni non incide sulla formazione di calcoli renali: è la quantità che conta. Lo dicono due recenti studi che hanno analizzato le proprietà chimiche dell’acqua consumata quotidianamente in relazione all’incidenza di calcoli ai reni.

Dopo aver confrontato l’acqua del rubinetto di alcune località ad alta e bassa incidenza di calcolosi, uno studio indiano non ha riscontrato differenze statisticamente significative né in termini di durezza, cioè di quantità di calcio e magnesio presenti, né in relazione ad altri parametri [6].

Anche in confronto ad acque oligominerali, a basso contenuto di calcio, acque considerate dure, cioè calcaree, non sembrano essere collegate allo sviluppo di calcoli [7]. Quello che invece risulta correlato è l’apporto idrico giornaliero: chi soffriva di calcolosi beveva molta meno acqua di chi non aveva mai avuto calcoli ai reni.

Dottore, ma siamo sicuri che l’acqua di casa mia non sia troppo dura?

Secondo il Ministero della Salute, l’acqua delle città italiane ha una durezza compresa fra i valori di 20,6 e 98 mg di carbonato di calcio per litro d’acqua [8]. In entrambi gli studi già citati, le acque analizzate erano mediamente o molto mineralizzate, in alcuni casi con valori di durezza di gran lunga superiori (oltre 200 mg/L) a quelli dell’acqua di casa nostra.

Altri due dati dovrebbero tranquillizzare: il primo è che l’Organizzazione Mondiale della Sanità non individua un limite massimo di durezza nelle acque potabili associato a conseguenze dannose sulla salute [9]. Il secondo è che le acque minerali ricche di calcio, anziché favorire la comparsa di calcoli renali, aiutano in realtà a prevenire la calcolosi.

Può dirmi di più, dottore?

La calcolosi dipende in molti casi da una predisposizione genetica: il rischio di sviluppare calcoli ai reni aumenta se in famiglia ci sono altre persone che ne soffrono [10]. Ma abbiamo capito che anche l’apporto giornaliero di calcio è uno dei fattori maggiormente coinvolti nell’insorgenza di questa malattia.

Esistono evidenze scientifiche che un’alimentazione ricca di calcio favorisce l’eliminazione di ossalato di calcio in caso di iperrossaluria, una malattia genetica che predispone alla formazione di calcoli [11]. Ed è stato visto che, anche in assenza di particolari fattori di rischio, un’alimentazione ricca di calcio protegge dal rischio di calcoli ai reni [12].

Perché il calcio dovrebbe prevenire i calcoli?

Il ruolo del calcio nella prevenzione della calcolosi dipende soprattutto dal fatto che, una volta nell’intestino tenue, il calcio forma legami chimici con l’acido ossalico, impedendo che questo venga riassorbito dall’organismo e diminuendo così le probabilità di sviluppare calcoli [13].

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Autore Sara Mohammad (Pensiero Scientifico Editore)

Sara Mohammad ha conseguito un master in Comunicazione della Scienza presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste. Si occupa principalmente di ricerca, neuroscienze e salute mentale. Scrive su MIND, LeScienze, Rivista Micron, Il Tascabile, e collabora con Mondadori Education e Il Pensiero Scientifico Editore. Oltre a lavorare nell'ambito della comunicazione scientifica, insegna scienze alle scuole superiori.
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