A Babbo Natale non serve la mascherina perché ha la barba?

14 Dicembre 2022 di Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Obeso, bevitore, sedentario per oltre undici mesi all’anno: così avevamo descritto Babbo Natale nel dicembre 2018 in una scheda forse troppo severa. Le cose non sono cambiate, ma siamo quasi sicuri che anche quest’anno farà il proprio dovere. Lavorerà intensamente nonostante la pandemia abbia lasciato il segno anche dalle sue parti: per quanto possa sembrare strano – trattandosi di una zona molto poco popolata – il primo caso confermato di coronavirus in Finlandia è stato segnalato il 29 gennaio 2020 proprio in Lapponia, nel nord della Finlandia, dove un turista cinese di Wuhan risultò positivo al virus.

Come dicevamo, però, anche quest’anno vedremo in giro Babbo Natale, e c’è da giurare che avrà ancora più da fare e dovrà essere – se possibile – più generoso, perché i tre anni di emergenza sanitaria hanno causato una crisi economica e sociale che ha aumentato la povertà e le disuguaglianze [1]. La pandemia, inoltre, ha cambiato in maniera significativa il modo col quale molti di noi guardano alla salute, alle relazioni con gli altri, al lavoro. A proposito, Babbo Natale dovrà fare ancora più attenzione nel visitare le abitazioni per lasciare i suoi doni, a iniziare dalle sue parti: oggi, in tanti hanno preso l’abitudine di lavorare a casa e i finlandesi sono quelli che in Europa hanno compiuto il passaggio più rapido al telelavoro: addirittura il 75% dei lavoratori di quella nazione è passato interamente a questa modalità. In un sondaggio del 2021, la maggior parte delle persone ha affermato che vorrebbe continuare a lavorare da casa anche dopo la pandemia. E non è l’unica peculiarità dei finlandesi nei confronti di Covid-19…

A cosa si riferisce, Dottore?

A Babbo Natale non serve la mascherina perché ha la barba?Mi riferisco a un’altra delle questioni di cui si è discusso molto nei tre anni passati: l’utilità e l’obbligatorietà dell’uso delle mascherine per proteggere il viso. Si tratta di un’opzione alquanto impopolare tra i finlandesi, poiché la maggior parte dei connazionali di Babbo Natale si è espressa contro l’obbligo, preferendo la libertà di scelta nell’indossarle. Nonostante questa preferenza, l’uso della mascherina è diventato più comune in Finlandia dopo che le autorità nazionali hanno diffuso una raccomandazione che invitava a utilizzarle nelle situazioni in cui non sarebbe stato possibile evitare il contatto ravvicinato. Anche il “vissuto pandemico” in Finlandia conferma la complessità della risposta all’emergenza sanitaria e la varietà degli approcci, comprensibile se si considera la generale impreparazione internazionale all’epidemia [2].

A ogni buon conto, per l’età, i fattori di rischio che condizionano la sua salute e dovendo entrare – sebbene di nascosto – nelle case di così tante persone, Babbo Natale è un convinto utilizzatore delle mascherine e, soprattutto, sta molto attento a indossarle correttamente.

Dottore, cosa intende?

Ne abbiamo già scritto su Dottore ma è vero che? nella scheda “Le mascherine sono ancora utili contro Covid-19?”, ma conviene ripeterlo: nei mesi passati la ricerca sull’efficacia delle mascherine ha prodotto dati importanti. I risultati di alcuni studi hanno evidenziato come la protezione sia teoricamente diversa tra quelle di stoffa e le FFP2 o altri modelli. Nonostante questo, le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dei Centri statunitensi per il controllo delle malattie continuano a essere un pochino diverse tra loro, così che un’importante università canadese ha voluto disegnare e condurre uno studio randomizzato controllato che ha coinvolto ventinove centri ospedalieri di diverse nazioni: i risultati sono stati pubblicati proprio pochi giorni fa, alla fine di novembre 2022, su una rivista molto conosciuta [3].

Cosa ci ha detto questo studio sulle mascherine?

Le mascherine chirurgiche non sono risultate inferiori al modello FFP2 (che in diversi Paesi sono denominate con la sigla N95) nel prevenire il contagio da SARS-CoV-2 dei professionisti sanitari. “Sappiamo che in un laboratorio di fisica, l’N95 filtra più virus di una mascherina chirurgica” ha osservato il cardiologo John Mandrola [4]. “Ma non ci sarebbe nemmeno bisogno di un laboratorio di fisica: basta guardare il profilo di una persona che indossa una maschera medica. Ma le mascherine non si usano nei laboratori di fisica, bensì in quel caos del mondo reale” dove – sembra voler dire il medico statunitense – un posizionamento errato, il cedimento di un elastico o anche una barba un pochino più lunga possono modificare l’efficacia pratica di un dispositivo teoricamente efficiente. Ed è questo che ha dimostrato lo studio coordinato dalla università canadese McMaster.

Dottore, davvero avere la barba lunga compromette la protezione assicurata dalla mascherina?

La combinazione “mascherina più barba” è stata studiata nei mesi più difficili della pandemia, anche se – di nuovo – solo in laboratorio e verificando il potere di filtro di diverse protezioni facciali associate a barba di diversa lunghezza. Le mascherine modello FFP2 riescono a filtrare fino al 94% delle particelle presenti nell’aria e offrono la migliore protezione respiratoria anche per le persone con la barba. Sebbene la capacità filtrante sia notevolmente compromessa dall’aumento della lunghezza della barba, secondo uno studio abbastanza citato e condotto in condizioni protette restano le opzioni migliori rispetto alle mascherine di cotone [5].

A Babbo Natale non serve la mascherina perché ha la barba?Va detto che nei momenti più difficili della pandemia alcuni ospedali – per esempio un centro ospedaliero dell’università di Melbourne in Australia [6] – hanno raccomandato ai professionisti sanitari impegnati nell’assistenza di radersi in modo accurato.

Del resto, l’influenza della barba sull’efficienza di una mascherina per la protezione delle vie respiratorie era una questione nota da tempo e uno studio pubblicato online proprio poco prima dell’inizio della pandemia e svolto sempre in Australia aveva segnalato chiaramente il problema [7]: la probabilità di ottenere una protezione idonea diminuisce con l’aumentare della lunghezza della barba sul viso. Nessuno tra i professionisti sanitari coinvolti nello studio che avesse una con barba folta era riuscito ad avere una protezione sufficiente. E, come se non bastasse, è un problema che viene spesso sottovalutato…

Quindi sarebbe meglio non lasciar crescere la barba?

Queste sì che sono valutazioni soggettive, influenzate da ragioni culturali, religiose o da circostanze molto concrete: basti pensare che chi preferisce non avere la barba passa più di 3.000 ore della propria vita a radersi. Anche le preferenze estetiche possono avere la loro importanza: c’è una letteratura abbastanza vasta a questo riguardo, anche se di qualità metodologica non sempre convincente. Ci dice che i volti maschili con barba folta possono essere considerati i più mascolini, aggressivi, socialmente maturi [8]. Invece, dallo studio che stiamo citando, sembrerebbe che i maschi con una barba appena accennata sono considerati i più dominanti e attraenti.

Qual è il messaggio che devo portare a casa, dottore?

Direi che il regalo più importante che ci può fare Babbo Natale è la capacità di accettare la complessità e la disponibilità ad approfondire e a farsi un’idea in merito ai problemi che si presentano, sempre a partire dai risultati che arrivano dalla ricerca più rigorosa. E il problema della convivenza possibile di barba e mascherine ci dice che spesso il “come” è più importante del “cosa” si fa. Questo vale per le mascherine (il nocciolo della questione è “come” si indossano) ma anche per i medicinali: anche in questo caso, l’“aderenza” è fondamentale e occorre sempre seguire le indicazioni del proprio medico sui modi e i tempi della terapia.

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Autore Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Rebecca De Fiore ha conseguito un master in Giornalismo presso la Scuola Holden di Torino. Dal 2017 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per riviste online e cartacee di informazione scientifica. Fa parte della redazione del progetto Forward sull’innovazione in sanità e collabora ad alcuni dei progetti istituzionali con il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.
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