Il conflitto di interessi non è assolutamente “proibito”. È una condizione nella quale può trovarsi qualunque professionista sanitario, dai direttori generali delle aziende sanitarie ai medici, dagli infermieri ai farmacisti. La cosa più importante è distinguere una situazione di conflitto di interessi da una sentenza di colpevolezza. È solo una condizione di maggior rischio e, come tutti i rischi, va conosciuto e gestito nella maniera migliore.
Il conflitto di interessi è una novità dei nostri anni?
Il concetto di conflitto di interesse ha radici antiche: anche Ippocrate aveva sentito il bisogno di dettare un giuramento contenente un impegno esplicito dei medici al rispetto di un insieme di principi etici che, pur profondamente cambiati nel corso della storia, sono il fondamento della promessa che ancora oggi il medico pronuncia all’inizio della propria attività.
Per come lo intendiamo oggi, però, possiamo ricondurre il concetto di conflitto di interessi alla riflessione del filosofo John Locke e alla riflessione sulla natura del rapporto fra governanti e popolo: i primi sono pubblici fiduciari autorizzati dal popolo ad agire in sua vece, con la condizione che il potere sia usato per il pubblico beneficio e non vi siano abusi [1].
Da quanto tempo la comunità scientifica ha iniziato a occuparsene?
La discussione sul conflitto d’interesse in campo medico è iniziata all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, quando i codici etici di alcune professioni hanno iniziato a considerare il problema. Ma è a partire dagli Ottanta, in relazione al crescente ruolo dell’industria farmaceutica e elettromedicale, che la questione è diventata più presente, concentrandosi soprattutto sul rapporto tra medici e informatori scientifici [2].
Negli anni successivi, la discussione si è allargata successivamente all’emergere di alcuni casi di manipolazione di dati pubblicati su riviste scientifiche di prestigio: i direttori dei periodici medici più conosciuti – evidentemente preoccupati delle possibili ripercussioni sul credito del quale godeva il loro lavoro – hanno promosso una serie di iniziative che avevano come obiettivo quello di vigilare sull’integrità dei dati alla base delle ricerche cliniche.
Nel 2001 dodici fra le più importanti riviste scientifiche internazionali pubblicarono un editoriale congiunto nel quale esprimevano in modo chiaro le preoccupazioni inerenti l’obiettività e l’integrità delle ricerche condotte anche grazie ai finanziamenti dell’industria [3]. L’articolo sottolineava l’aumento dei casi di studi scientifici condotti utilizzando disegni di ricerca decisi dalle aziende, con risultati manipolati dalle stesse. Uno degli obiettivi dei direttori delle dodici riviste era quello di contrastare l’abitudine, diffusa tra i ricercatori, di firmare contratti nei quali le aziende si riservano la proprietà dei dati e imponevano il protocollo di studio al quale attenersi, interferendo in tal modo sull’attività di ricerca.
La principale questione sollevata in questa serie di documenti è quella di cui scrivevamo in apertura: il conflitto di interessi è una condizione di rischio sia personale sia per il sistema di tutela della salute. Può influenzare non soltanto l’attività di ricerca e la pubblicazione dei dati ma può anche condizionare i comportamenti dei professionisti sanitari: scelte terapeutiche, modalità di presa in carico di pazienti, ingresso sul mercato di nuovi farmaci o tecnologie biomediche. Il pericolo è dunque quello di mettere in primo piano interessi differenti dalla priorità che dovrebbe ispirare qualsiasi decisione: migliorare la salute del malato o, quantomeno, la sua qualità di vita durante una malattia.
Da cosa si è visto che le scelte dei medici possono essere influenzate?
Negli ultimi trent’anni sono stati condotti molti studi per verificare se e in quale misura i comportamenti dei medici possono essere influenzati da interessi differenti da quello prioritario, vale a dire il bene del paziente. Anche se può sembrare strano, quando un medico riceve un dono anche di modesto valore (qualcosa come 10 o 20 euro: ed è la maggioranza dei casi) il suo atteggiamento nei confronti dei prodotti dell’azienda da cui proviene il regalo cambia.
Un commento recente [4] si è chiesto se l’entità del dono può fare la differenza: quando cioè un regalo può essere considerato grande? Gli autori concludono che è logico che regali di valore preoccupino di più di quelli di poco conto, ma anche le gratificazioni apparentemente modeste influenzano i medici e, ad esempio, li inducono a prescrivere farmaci più costosi [5]. Tra accettare un invito a pranzo da un’industria e prescrivere un medicinale da essa prodotto c’è un legame diretto: un’associazione significativa, come dicono gli epidemiologi, anche quando il pranzo ha un valore contenuto. Ma se il valore aumenta, cresce anche la riconoscenza [6].
Una situazione delicata…
Certamente. È importante che questa condizione di maggior rischio sia percepita dai professionisti. Infatti, raramente la condizione di conflitto di interessi viene riconosciuta come possibile fattore di rischio, in grado di produrre comportamenti poco trasparenti.
Conviene ripeterlo: il conflitto di interessi che può nascere dall’avere relazioni con un’industria farmaceutica o con un’azienda del settore alimentare non è assolutamente da considerare un’illegalità. Tanto più in anni come gli attuali, caratterizzati da una carenza di risorse che si traduce in maggiori difficoltà ad avviare progetti di ricerca indipendenti o di formazione e aggiornamento del medico finanziati dalle istituzioni. Ma sarebbe opportuno che il problema del conflitto di interessi fosse conosciuto e gestito al meglio, perché può comunque danneggiare l’integrità del sistema e compromettere la sua credibilità agli occhi dei cittadini, intaccando la loro nella medicina e nel sistema stesso di tutela della salute [7].
Cosa è stato fatto in Italia per mitigare i problemi che possono derivare dai conflitti di interessi in medicina?
Nel nostro Paese, nel 2006, il Comitato Nazionale per la Bioetica, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha pubblicato un documento dal titolo “Conflitti di interesse nella ricerca biomedica e nella pratica clinica” [8]. Il Comitato conclude che “il conflitto d’interessi non è un comportamento, ma una «condizione» e, pertanto, esso non può essere in sé riprovevole: ogni uomo, infatti, lungo l’arco della sua vita, si trova innumerevoli volte in condizioni di conflitto d’interessi e questo status non è eliminabile dalla vita umana né tanto meno dalla vita professionale.
Si possono avere grandi vantaggi da un’industria e si può mantenere ugualmente un’assoluta correttezza di comportamento, così come si può tenere un comportamento debole di fronte a chi ci può dare un dono insignificante. Nessuno può però negare che la prima condizione sia eticamente molto più rischiosa della seconda, e pertanto appare eticamente importante riconoscere il limite al di là del quale un conflitto d’interessi aumenta con grande probabilità forme di comportamento eticamente censurabili”. Dal punto di vista etico perciò “il conflitto d’interessi, proprio perché costituisce una condizione e non un comportamento, diviene moralmente riprovevole soltanto quando provoca comportamenti riprovevoli”.
Qual è la posizione dei medici su questi argomenti?
Sul tema degli interessi diversi che possono influenzare il medico si sofferma anche il Codice deontologico della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri [9].
Il codice affronta il problema con estrema chiarezza. Nell’articolo 4 è scritto che “l’esercizio professionale del medico è fondato sui principi di libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità. Il medico ispira la propria attività professionale ai principi e alle regole della deontologia professionale senza sottostare a interessi, imposizioni o condizionamenti di qualsiasi natura”.
L’articolo 30 è ancora più mirato: “Il medico evita qualsiasi condizione di conflitto di interessi nella quale il comportamento professionale risulti subordinato a indebiti vantaggi economici o di altra natura. Il medico dichiara le condizioni di conflitto di interessi riguardanti aspetti economici e di altra natura che possono manifestarsi nella ricerca scientifica, nella formazione e nell’aggiornamento professionale, nella prescrizione diagnostico-terapeutica, nella divulgazione scientifica, nei rapporti individuali e di gruppo con industrie, enti, organizzazioni e istituzioni, o con la Pubblica Amministrazione, attenendosi agli indirizzi applicativi allegati.”
Ma il conflitto di interessi riguarda solo i singoli professionisti?
Assolutamente no. Quanto più frequenti sono le interazioni e le collaborazioni tra il pubblico e il privato, tanto maggiori sono i rischi di una perdita di autonomia e indipendenza da parte delle istituzioni. Per ovviare a queste difficoltà molte istituzioni hanno previsto specifiche linee guida metodologiche.
L’Institute of Medicine degli Stati Uniti (che da qualche anno ha cambiato nome in National Academy of Medicine) ha pubblicato le proprie indicazioni operative già nel 2011: gli esperti in condizioni di conflitto di interessi sono invitati ad astenersi dal partecipare alla discussione su decisioni rispetto alle quali potrebbero essere influenzati, anche sottolineando tale scelta con l’uscita dalla sala al momento della votazione [10].
Altri enti, come l’agenzia statunitense che vigila sulle approvazioni dei medicinali (Food and Drug Administration), permettono ai membri di commissioni di votare anche in presenza di possibili rischi di conflitti di interesse solo quando i benefici di un parere esperto sono giudicati maggiori del rischio di un condizionamento. In questo caso l’antidoto è nella trasparenza, essendo le riunioni dei comitati aperte al pubblico.
Nel nostro paese, l’Agenzia Italiana del Farmaco ha elaborato diversi documenti di indirizzo a tutela della trasparenza e della prevenzione della corruzione [11] e l’Istituto Superiore di Sanità sta lavorando da diversi mesi a un regolamento ispirato alle buone pratiche di altre istituzioni internazionali: si prevede che la versione definitiva del documento sia pubblicata nel corso del 2020.
Si tratta di cautele che alcuni enti ancora non riescono a adottare. Evitare che le persone coinvolte nelle commissioni siano in situazione di conflitto di interessi, adottando una progressiva maggiore intransigenza man mano che il ruolo degli esperti diventa più rilevante, non è facile: basti pensare che solo una minoranza delle organizzazioni che preparano linee guida negli Stati Uniti seguono le indicazioni della National Academy of Medicine. Solo nel 35% dei casi viene fornita una dichiarazione in merito ai conflitti di interesse per tutti i membri del gruppo di lavoro [12]. È un problema grave soprattutto nei casi in cui i conflitti di interessi non vengono dichiarati dalle persone che partecipano alla preparazione di linee guida, i documenti su cui si basano (o si dovrebbero basare) le decisioni cliniche dei medici.
Cosa dovrebbe dunque pensare un cittadino riguardo al conflitto di interessi in medicina?
Riepilogando, la cosa più importante è considerare il conflitto di interessi un rischio e non una colpa. Poi, dovremmo tenere a mente che la maggior parte dei professionisti che quotidianamente “fanno” il Servizio Sanitario Nazionale prende decisioni e opera scelte in modo indipendente da qualsiasi pressione, basandosi sulle migliori prove disponibili, sulla propria esperienza clinica e tenendo in massimo conto le aspettative dei malati e dei loro familiari. Terzo, tutti dovremmo sostenere i professionisti sanitari mettendoli nelle condizioni di decidere in modo appropriato e trasparente: il coinvolgimento dei cittadini è essenziale per il miglior funzionamento del sistema sanitario, una delle conquiste più preziose che il nostro Paese è riuscito a regalarsi dal secondo dopoguerra a oggi.